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venerdì 27 febbraio 2009

Tema gratis Filosofia Kierkegaard

Kierkegaard, Søren Aabye (Copenaghen 1813-1855), filosofo danese autodefinitosi "scrittore cristiano", il cui interesse per l'esistenza del singolo e per il valore delle scelte individuali impresse segni profondi nella teologia e nella filosofia contemporanee, in modo particolare

nell'esistenzialismo. Fu educato in un'atmosfera rigidamente pietista e venne assai influenzato dal padre, ricco mercante e scrupoloso luterano dalla cupa religiosità. Studiando teologia e filosofia presso l'università di Copenaghen conobbe la filosofia hegeliana dalla quale, tuttavia, prese le distanze. Nel 1840 si fidanzò con la diciassettenne Regine Olsen; il matrimonio tuttavia gli parve incompatibile con la vocazione filosofica che sentiva crescere dentro di sé. Nel 1842 ruppe improvvisamente il fidanzamento e contemporaneamente comprese di non voler diventare un pastore luterano. L'eredità lasciatagli dal padre gli consentì di dedicarsi interamente all'attività intellettuale, e nei rimanenti quattordici anni di vita portò a termine più di venti opere. Lo sforzo che gli richiedevano l'inesauribile attività di scrittore e le polemiche cui prese parte compromisero gradualmente la sua salute. Nell'ottobre del 1855 fu colpito da paralisi; morì un mese dopo.
Verità soggettiva
Contrario a ogni filosofia sistematica, egli pose l'accento sulla natura ambigua e paradossale della condizione umana, affermando che i problemi fondamentali della vita eludono le spiegazioni razionali e oggettive; la verità più grande appartiene infatti al singolo, temporalmente determinato. Kierkegaard sostenne inoltre che la filosofia sistematica considera l'esistenza umana non soltanto da una falsa prospettiva ma, spiegando la vita in termini di necessità logica, diviene anche un mezzo per sfuggire alla responsabilità etica. Non esistono infatti criteri oggettivi che stabiliscano la validità incondizionata di una scelta. Tutto questo portò dunque Kierkegaard a criticare fortemente la filosofia di Hegel dove esistevano solo verità oggettive.
I tre stadi
Nella sua prima opera importante, Aut-aut, (1843), descrisse due stadi dell'esistenza tra cui l'individuo può scegliere: lo stadio estetico e quello etico. La forma di vita estetica è una sorta di raffinato edonismo che si fonda sulla ricerca incessante del piacere e sulla soddisfazione dei desideri, destinate però a sfociare nella frustrazione e nella disperazione per il fatto di rimanere nel vertice delle infinite possibilità. La forma di vita etica è caratterizzata dalle scelte possibili dell'uomo in un intenso e appassionato impegno individuale nell'adempimento del dovere e degli obblighi pubblici e religiosi socialmente sanciti. Limite di questo stadio è però il peccato. In seguito Kierkegaard vide in questa sottomissione al dovere la cessazione della responsabilità individuale e postulò un terzo stadio, quello religioso, in cui la sottomissione alla volontà di Dio, pur nella sua paradossale assurdità, rivela la libertà autentica superando il peccato grazie al pentimento.
Il salto paradossale
In Timore e tremore (1843) Kierkegaard illustrò la necessità di compiere il "salto" nella vita religiosa, che è "assurda" e rischiosa. L'individuo vi è condotto dal sentimento dell'angoscia (Il concetto dell'angoscia, 1844), che è fondamentalmente timore del nulla ma nel contempo apertura di un orizzonte di libertà. Questa decisione del salto paradossale è però la decisione del singolo che "proprio lui, il suo Io" sta davanti a Dio, è questa la conquista dell'infinità che non si raggiunge se non attraverso la disperazione (stato comune a tutta l'umanità).
Essenza e esistenza
Kierkegaard pone l'accento sulla differenza fra essenza e esistenza. Infatti per il filosofo danese l'essenza era qualcosa che caratterizza l'essere umano, quindi è universale e oggettiva; al contrario l'esistenza è quel modo in cui io interpreto il mio essere umano, è particolare ed è caratterizzato dalle scelte, dal suo venir fuori dall'essenza generale dell'uomo, è un progetto personale.

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