Uno stato che vuole esercitare il proprio "totale" controllo sulla società, soffocandone ogni autonomia, abolendo ogni libertà e pluralismo attraverso sia l'uso della violenza sia l'uso degli strumenti atti a produrre consenso, invadendone ogni campo, occupando anche la sfera privata dei cittadini, è uno Stato totalitario o totale.
L'aggettivo totale o totalitario viene elaborato nel lessico è politico in Italia e in Germania dagli anni Venti in poi.
Per la prima volta in Italia è Mussolini che nel discorso del 28 Ottobre 1925 sembra definire il nuovo regime: "Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato". Sarà poi in particolare il filosofo Giovanni Gentile, importante esponente della cultura fascista a contribuire in modo determinante ad elaborare il concetto di "totalitario", a imporre una concezione etica dello Stato e ad attribuire alla missione totalitaria dello Stato caratteri quasi religiosi.
Per quanto riguarda la Germania, Gobbels, abilissimo ministro della propaganda, nel novembre del 1933 definisce la conquista del potere da parte dei nazisti "una rivoluzione totale "che ha come fine la trasformazione radicale dei rapporti interpersonali, nei confronti dello Stato e dei problemi dell'esistenza"; e ancora: "L'obiettivo deve essere uno Stato totalitario che copra ogni sfera della vita pubblica e la trasformi alla base". Anche lo stesso Hitler parla più volte di totale e totalitario nei suoi Discorsi del 1933.
La filosofa Hannah Arendt nel suo libro "Le origini del totalitarismo" parla di antisemitismo e colonialismo come delle radici dei totalitarismi. In seguito anche lei presenta la società di massa come un terreno fertile per lo sviluppo dei regimi:
"Invece i movimenti totalitari trovano un terreno fertile per il loro sviluppo ovunque ci siano delle masse che per una ragione o per l'altra si sentono spinte all'organizzazione politica, pur non essendo tenute unite da un interesse comune, mancando di una specifica coscienza classista, incline a proporsi obiettivi ben definiti, delineati e conseguibili".Per massa la Arendt intende il ceto medio, estremamente composito, e le classi subalterne, masse di gente politicamente neutra scartata da tutti gli altri partiti perché troppo apatici o stupidi.
Infine la filosofa ci dice, analizzando i tratti comuni dei totalitarismi, che nazismo e stalinismo si propongono il medesimo scopo: la distruzione totale della persona umana.
"L'ideologia totalitaria non mira alla trasformazione delle condizioni esterne dell'esistenza umana né al riassetto rivoluzionario dell'ordinamento sociale, bensì alla trasformazione della natura umana che, così com'è, si oppone al processo totalitario. I lager sono i laboratori dove si sperimenta tale trasformazione, e la loro infamia riguarda tutti gli uomini, e non soltanto gli internati e i guardiani.
Non è in gioco la sofferenza, di cui ce n'è stata sempre troppa sulla terra, né il numero delle vittime. E' in gioco la natura umana in quanto tale..."
E ancora
"[...] i regimi totalitari hanno scoperto senza saperlo che ci sono crimini che gli uomini non possono né punire, né perdonare.
Quando l'impossibile è stato reso possibile, è diventato il male assoluto, impunibile, imperdonabile, che non poteva essere compreso e spiegato coi malvagi motivi dell'essere egoistico, dell'avidità, dell'invidia, del risentimento, della smania di potere, della vigliaccheria; e che quindi la collera non poteva vendicare, la carità sopportare, l'amicizia perdonare, la legge punire. [...] L'elemento sconcertante del successo del totalitarismo è piuttosto la genuina abnegazione dei suoi seguaci, che non si scandalizzano nemmeno se i perseguitati sono propri compagni di fede; addirittura sono disposti ad autoaccusarsi e ad accettare la condanna a morte, purché non sia toccata la loro posizione di militante."
Nel 1956 J. Friederich e Zbigniew Brzezinski pubblicano un saggio critico, intitolato "Totalitarian Dictatorship and Autocracy". In esso sono accostati fascismo, nazismo e stalinismo e vengono individuati 6 tratti comuni condivisi dai tre totalitarismi:
1. Un'ideologia che intende spiegare e indirizzare ogni aspetto della realtà e dell'esistenza verso un futuro di perfezione;
2. Un partito unico di massa, organizzato gerarchicamente e guidato da un capo carismatico;
3. Il controllo esercitato dal partito e dalla polizia segreta che instaurano un regime di terrore;
4. Il monopolio dei mezzi di comunicazione di massa;
5. Il monopolio dell'uso effettivo di tutti gli strumenti di lotta armata;
6. La concentrazione dei poteri economici nelle mani dello Stato.
Come poi è stato ribadito al convegno internazionale del 1997 su "L'esperienza totalitaria nel XX secolo" organizzato dall'università di Siena, i sistemi totalitari condividono l'aspirazione a un dominio della storia, aspirazione sostenuta da un'ideologia volta al dominio completo della realtà.
Gli atti del convegno ci dicono che "la novità storica e politica del totalitarismo è l'avere costituito non solo una dittatura politica, ma anche un dominio economico, culturale, sociale, finalizzato a un controllo totale sull'uomo e sulla storia".
E infine, in questa breve carrellata di proposte di definizione, ricordiamo Z. Bauman, docente di sociologia all'università di Leeds.
Egli ci parla di "distruzione creativa".
Per lui infatti il nazismo e il comunismo sono i due tentativi più audaci di abolire il disordine e l'insicurezza dell'esistenza umana.
Questa meta impone che per migliorare si debba distruggere: "Gli stermini di massa del XX secolo sono esercizi di distruzione creativa; concepiti come salutari operazioni chirurgiche e perpetrati nel corso della pavimentazione di una strada verso una società perfetta, armoniosa, libera da conflitti".
Differenze e somiglianze tra i totalitarismi
Le differenze tra totalitarismo fascista e totalitarismo comunista sono da riportare alle differenze d'ideologia e di base sociale tra nazifascismo e comunismo in generale.
L'ideologia comunista è umanistica, razionalistica e universalistica e il suo punto di partenza è l'uomo e la sua ragione. L'ideologia nazifascista è organicistica, irrazionalistica e antiuniversalistica e il suo punto di partenza è la razza. Mentre per il comunismo la dittatura del proletariato e la violenza sono semplici strumenti, necessari ma temporanei, per la realizzazione dello scopo finale, per il fascismo la dittatura e la violenza sono principi di governo permanenti. Infine l'ideologia comunista è rivoluzionaria mentre quella fascista è reazionaria L'indirizzo politico generale del comunismo è l'industrializzazione e la modernizzazione forzate in vista della costruzione di una società e senza classi, l'indirizzo politico generale del nazifascismo è l'instaurazione della supremazia assoluta e permanente della razza eletta (soprattutto per il nazismo).
Un’altra differenza tra i due blocchi di regimi sta nell’uguaglianza.
I regimi di destra hanno sempre diffuso e propagandato ideologie di disuguaglianza e sono sempre stati negatori di libertà, democrazie e giustizia, argomenti che il bolscevismo (di ispirazione comunista-socialista) ha sempre tentato di attuare.
Oltre all’ideologia anche la politica economica attuata dai due blocchi era diversa:
mentre l’economia statale dell’URSS era gestita totalmente dallo stato (pianificazione integrale) ed era stata abolita con la forza qualsiasi proprietà privata, nel nazismo e nel fascismo lo stato interviene nell’economia solo per salvaguardarla, tutelando gli interessi delle grandi imprese private. La proprietà privata non venne abolita e le industrie rimasero privatizzate e aiutate in caso di crisi.
Nonostante tali diversità, sono entrambi (compreso il nazismo) degli stati totalitari per cui valgono tutte le caratteristiche sopra indicate, senza distinzioni.
Infatti di fronte alle violenze delle polizie segrete di stato, alle repressioni degli oppositori politici, ai campi di concentramento, la differenza tra i tre regimi è minima se non nulla, senza dimenticare i metodi propagandistici esercitati grazie al totale controllo dei mezzi di comunicazione. Infatti in entrambi i casi i leader dei regimi dichiararono :
• la chiusura di ogni giornale di opposizione
• il controllo assoluto di ogni fonte di informazione (giornali, radio, ..ecc.)
• discorsi e propagande fatti da uomini (di solito il capo del regime) dotati di grande potere carismatico. (capacità di esercitare influenza e attrazione sulle masse. Il carisma è l’attributo di un leader: capo). Il potere è quello di ottenere dagli altri un determinato comportamento).
LA CONQUISTA DEL POTERE DA PARTE DI STALIN
Durante la I Guerra Mondiale, la Russia partecipa contro Germania e Austria, al fianco di Inghilterra, Francia e in seguito Italia. La Russia però si rivela inadeguata a sostenere lo sforzo bellico: subisce infatti una serie di dure sconfitte e al suo interno la crisi si aggrava per l'inflazione, per le agitazioni operaie e contadine e per la sempre più pressante richiesta da parte della sinistra di porre fine alla guerra. Inoltre la rottura del legame del reciproco sostegno tra Chiesa ortodossa e lo Zar contribuisce a determinare il crollo di potere di quest'ultimo. Il 27 febbraio 1917, soldati e operai occupano la fortezza di Pietro e Paolo e liberano i prigionieri politici. Lo zar abdica e viene formato un nuovo governo liberal-conservatore che dà vita ad una repubblica parlamentare. Intanto nelle fabbriche, nelle campagne e nell'esercito si formano i Soviet: organismi di base in cui le persone si riuniscono, discutono di varie questioni ed eleggono i rappresentanti che avrebbero dovuto discuterne insieme agli altri provenienti dallo stesso tipo di Soviet. Intanto in Russia torna dalla Svizzera, dove era in esilio, Nikolaj Lenin, leader del partito bolscevico. Questo partito si faceva portavoce delle idee socialiste di Marx ma, al contrario di quello menscevico, più moderato e di massa, questo era formato da un piccolo gruppo di rivoluzionari di professione che avrebbe fatto da Avanguardia e avrebbe guidato le masse verso la rivoluzione. Lenin infatti ritiene che la Russia fosse già pronta per l'avvento del Socialismo e che la vera democrazia si sarebbe potuta ottenere solo all'interno di una società comunista, quindi è favorevole ad una immediata dittatura del proletariato e propone un programma che prevedeva:
• immediata pace con la Germania,
• nessun accordo tra Soviet e Parlamento per accelerare il processo rivoluzionario
• tutto il potere ai Soviet
• terre ai contadini
• nazionalizzazione di banche e industrie
Nel Maggio del '17 però, Lenin e i bolscevichi contano solo il 10% all'interno del Parlamento (detto Duma). Verso il Giugno del '17 il generale Kornilov si accinge all'attuazione di un progetto controrivoluzionario con l'intenzione di assediare Pietrogrado, la sede del Parlamento. Il governo si dimostra inerme ed è costretto a chiedere aiuto ai bolscevichi e ai Soviet. Questi organizzano immediatamente una guardia rossa e i ferrovieri legati ai Soviet paralizzano e ferrovie per impedire al generale ribelle il trasporto di altre truppe. Il prestigio dei bolscevichi cresce smisuratamente, mentre il governo ha dimostrato la sua impotenza. Lenin è convinto che bisogna passare all'azione: il 25 Ottobre è la data fissata per l'insurrezione. La rivoluzione d'Ottobre termina con il regime bolscevico, detto poi comunista, al potere. Ha inizio dunque la "dittatura del proletariato" che però si rivelerà una "dittatura dei bolscevichi". Inizia così una guerra civile complicata che vede opporsi due grossi schieramenti. Da una parte ci sono i bolscevichi e la loro Armata Rossa guidata da Lev Trotzkij, con l'appoggio dei Soviet, dei contadini (interessati ad una riforma delle terre), dei popoli che volevano ottenere una secessione dalla Russia (poiché i Bolscevichi sostenevano il diritto di autodeterminazione dei popoli). Dall'altra c'erano le Armate Bianche dei conservatori che però avevano l'appoggio di Francia e Gran Bretagna che non volevano che la Russia si ritirasse dalla guerra (cosa che sarebbe successa con il governo dei comunisti). Contro ogni aspettativa la Russia bolscevica sopravvisse. Dal '18 fino al '21, anno della fine della guerra civile, la Russia presenta un'economia definita Comunismo di guerra: è abolito il mercato, ai contadini vengono requisiti i cereali, le fabbriche vengono nazionalizzate e militarizzate dal punto di vista disciplinare. Lenin capisce che non è più possibile continuare in questo modo; quindi nel '21 stesso, è varata la NEP, una nuova politica economica teorizzata da Bucharin. La NEP si presenta come una sorta di fusione tra un'economia pianificata e un'economia di mercato: le fabbriche rimangono statalizzate, ma si consente lo sviluppo di piccole aziende private; ai contadini è permesso di produrre ciò che vogliono e di venderlo al mercato, senza requisizioni dello Stato: si lascia quindi un minimo spazio alla libera iniziativa privata. Lo scopo della NEP era quello di consentire uno sviluppo dell'agricoltura e un aumento di capitale circolante da essere investito per lo sviluppo dell'industria e poter così giungere ai livelli di sviluppo della Gran Bretagna e avere maggiori possibilità di realizzare il Comunismo. Nel 1922 Lenin è colpito dal primo attacco della malattia che lo porterà alla morte nel giro di due anni: inizia così la lotta per la sua successione. I due personaggi più importanti all'interno del partito sono Trotzkij e Stalin. Il primo, capo delle Armate Rosse, è un rivoluzionario, contrario alla NEP e favorevole a riprendere la costruzione di un'economia socialista; inoltre voleva cercare di estendere la rivoluzione anche ad altri Paesi per evitare che la Russia si trovasse isolata. Il secondo dal '22 è segretario generale, cioè organizzatore nazionale del partito; è favorevole alla NEP e al libero mercato per appoggiare maggiormente la componente contadina del popolo russo, è favorevole al "socialismo in un solo Paese" e controlla la potente "burocrazia sovietica". L'intransigenza rivoluzionaria di Trotzkij spaventa molti, che quindi passano a sostenere Stalin. Così quest'ultimo, nel periodo della morte di Lenin si trova a capo del partito che, in quanto unico e quindi detentore di compiti politici, economici ed amministrativi , per la Russia sta diventando una realtà sempre più importante.
La costruzione dello stato totalitario russo
Immediatamente Stalin promuove una campagna di nuove iscrizioni al partito: il suo scopo è quello di rinnovarlo e ampliarlo. Le nuove leve si presentano come "gente tranquilla" che cerca solo stabilità e sicurezza all'interno della realtà più potente in Russia e in cambio garantisce una indiscussa obbedienza: esattamente quello che il nuovo leader voleva. Inoltre Stalin seleziona i nuovi quadri dirigenti tra persone a lui fidate sempre nel tentativo di creare un partito a lui fedele. Intanto Kamenev e Zino'ev, preoccupati dalla sua sete di potere passano dalla parte di Trotzkij, segnando così la loro futura espulsione dal partito. Inoltre Stalin, immediatamente dopo la morte di Lenin si fa promotore del "leninismo": egli infatti si ritiene l'unico vero interprete nonché unico conoscitore dell'ormai defunto padre della Russia. Il "leninismo" conia una serie di dogmi, quasi come una religione, raccolti ne "I problemi del socialismo" scritto da Stalin; esso è quasi come un catechismo che i membri del partito dovevano conoscere e osservare. Il novo capo dei comunisti, proprio per ingigantire questo culto di Lenin, offre alla nazione russa una reliquia: il corpo mummificato di Lenin, conservato poi in un mausoleo nella piazza Rossa del Cremlino. Il comunismo sta diventando sempre più simile ad una religione. Nel 1927, durante il XV Congresso del partito, Stalin, che vede dalla sua parte ancora Kamenev e Zino'ev, decreta l'espulsione dal partito di tutti gli oppositori di estrema sinistra come Trotzkij. In seguito intraprende una politica economica che vede l'abbandono della NEP e la conseguente espulsione dal partito del suo teorico Bucharin. Nelle campagne si procede con una collettivizzazione forzata e i contadini sono costretti ad entrare in aziende collettive dette Kolchoz (aziende cooperative) e Sovchoz (aziende statali).Naturalmente molti contadini e soprattutto molti piccoli proprietari terrieri (i kulaki) non accettano questa imposizione e a causa delle loro rivolte iniziano ad essere considerati nemici del Comunismo e della patria. La maggior parte di loro viene così deportata nei Gulag, campi di lavoro forzato situati in regioni lontane, dal clima inclemente e desertiche. Evidentemente la collettivizzazione ha avuto un costo altissimo in termini di vite umane, considerando che anche se i gulag erano campi di lavoro e non di sterminio, molti dei deportati morivano per la fatica, per la fame o per le difficili condizioni ambientali. Per quanto riguarda l'industrializzazione, vengono varati dei piani quinquennali con cui lo Stato pianifica la produzione e gli investimenti dandosi obiettivi precisi da rispettare e verificare dopo cinque anni. Tutta la popolazione avrebbe dovuto quindi trasformarsi in un grande esercito impegnato a produrre sempre di più; ecco dunque un obiettivo tipico dei regimi totalitari: militarizzare tutti i lavoratori e fare della loro produttività l'indice della loro lealtà alla nazione. Naturalmente i piani prevedevano una durissima disciplina nelle fabbriche, una riduzione dei salari, un durissimo lavoro, ma in molti casi si riscontrava un certo entusiasmo nei lavoratori, ancora convinti di costruire un mondo nuovo. Nel 1934 al XVII congresso del partito, Stalin è ancora nominato segretario, nonostante un quarto dei congressisti avesse votato contro di lui. Nel Dicembre dello stesso anno Kirov, un suo collaboratore, viene assassinato in modo misterioso e questo offre al leader del partito un capo di accusa contro i trotzkisti all'interno del partito: su 2000 deputati, circa 1200 sono uccisi. L'obiettivo di liberarsi dell'opposizione era stato raggiunto. Dal 1936 inizia il terrore delle "epurazioni". Con l'utilizzo della NKVD, Stalin accusa e condanna al carcere, ai gulag o alla morte i maggiori esponenti della "destra" e della "sinistra", ma le "purghe" staliniane non si limitano a fare solo queste vittime. Cadono sotto pesanti accuse migliaia di funzionari e giovani militanti sospetti di non credere alla buona fede del dittatore, alla sua costanza e inflessibilità, alla sua dedizione al dovere, giovani che si sono fatti traviare e perciò devono scontare in qualche modo le loro colpe. Eliminati i quadri dirigenti del bolscevismo storico, il segretario del partito è il solo e incontrastato signore della Russia. Il controllo dell'arte, della scienza, della stampa, della radio, il sistema sanitario e quello scolastico richiedono una schiera di esperti e amministratori. L'istruzione (che il regime diffonde diminuendo al 18% gli analfabeti) e la politica di incoraggiamento verso la cultura promuovono la formazione di un ceto di intellettuali, definiti intelligencija, un ceto nuovo prodotto dalla rivoluzione e definito da Stalin "socialista, popolare, radicalmente diversa dalla vecchia intelligencija borghese". E questa nuova generazione va a riempire i vuoti lasciati dalle "purghe". Stalin dedica grandissima attenzione ai manuali di storia, fondamentale strumento di formazione civile e politica: il nuovo libro, dai contenuti schematici e mnemonici, vuole ristabilire la continuità della storia russa alla luce della vittoria del bolscevismo. Infine la politica fa sentire la sua presenza anche nel cinema, un passatempo abbastanza popolare in Russia anche se assistere a film che celebrano gli sforzi dei lavoratori, la fatica dei minatori, il fervore degli operai tutti tesi a battere i record di produzione, che esaltano il genio del capo, la fedeltà, nonché, in guerra, il valore dell'Armata Rossa che blocca i nemici, resiste all'assalto delle truppe naziste e le sconfigge, è più una lezione di patriottismo e di conformismo che un piacere.
MARX E LE BASI FILSOFICHE DEL COMUNISMO
Il filosofo Karl Marx (1818-1883), crede di aver trovato la legge che regola il corso della storia: la lotta di classe e i rapporti tra "forze produttive" e "rapporti di produzione".
Per lui infatti, la storia è stata un susseguirsi di strutture economico-sociali:
• Comunismo primitivo, in cui la società è collettiva
• Società schiavistica, in cui la base produttiva erano gli schiavi, persone senza diritti
• Società feudale, in cui la base produttiva erano i servi della gleba, dotati di qualche diritto
• Società capitalista in cui la base produttiva erano i proletari, giuridicamente liberi ma legati alla fabbrica e al proprio datore di lavoro
Il futuro per Marx è la società comunista, una società perfetta ,che molti hanno definito come la secolarizzazione della "civitate dei" di Sant'Agostino, caratterizzata dall'assenza di proprietà privata e della lotta di classe, in cui ognuno lavori in modo adeguato alle proprie possibilità e riceva in modo adeguato ai propri bisogni. E la storia tende proprio a questo modello: il proletariato sta aumentando sempre di più e i capitalisti stanno diminuendo: ci sarà un momento in cui le "forze di produzione" saranno il 90% della società, mentre i "mezzi di produzione" saranno in mano al 10% de essa. Sarà una contraddizione esplosiva che terminerà con una rivoluzione. Inizialmente una "dittatura del proletariato" provvederà a espropriare i proprietari delle loro fabbriche e in seguito la dittatura sarà sostituita dal Comunismo. Marx però non dà precise indicazioni su questo tipo di società, lascia il discorso in sospeso rifiutandosi di "prescrivere ricette per l'osteria dell'avvenire". Di una cosa però Marx era sicuro fin dall'inizio: la rivoluzione sarebbe dovuta avvenire in un Paese economicamente e soprattutto industrialmente avanzato.
Il manifesto: un documento “immortale”
“Proletari di tutti i paesi, unitevi!“
“Uno spettro s'aggira per l'Europa - lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono alleate in una santa battuta di caccia contro questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi…”
Con queste parole, che con il passare del tempo diverranno il motto di tanti intellettuali non solo del periodo, Karl Marx e Friedrich Engels introducevano il loro “Manifesto del partito comunista”, quasi certamente il documento politico dell’età moderna che ha avuto la sorte storica più fortunata in ogni senso. In primo luogo dal punto di vista della sua “traduzione” pratica, giacché non vi sono altri testi politici che come questo sono riusciti a divenire il programma di grandi movimenti e addirittura di grandi Stati, di un tipo di civiltà. Da questo punto di vista l’unico confronto possibile sembra davvero quello con il Vangelo cristiano, che però ha influito solo indirettamente o in alcuni casi non ha influito affatto sui movimenti politici. In secondo luogo, assai fortunata è stata anche la vicenda editoriale del Manifesto che, nato come documento programmatico di un ristretto gruppo politico e stampato in sole mille copie, pare conti ormai più di mille edizioni in decine di lingue diverse(nel 1964 si contavano nella sola URSS 372 edizioni in 68 lingue). In terzo luogo il Manifesto è certamente, tra le opere di Marx ed Engels, quella che ha avuto più rapido e durevole successo e più vasta e continua diffusione. Vi contribuì, evidentemente, il suo carattere di “manifesto”politico e la sua concisione esemplare.
Se imponente è stata la diffusione del Manifesto, la diffusione del movimento che ad esso si ispira è stata addirittura impressionante sicché è lecito chiedersi quale sia il “nerbo o l’essenza” del Manifesto. Intellettuali come Labriola, Plechanov, Kautsky, Togliatti si sono riproposti questo quesito, arrivando ad affermare che “il Manifesto segna il primo e sicuro ingresso nella storia del movimento operaio organizzato su basi marxiste e con esso del comunismo critico che appunto nel Manifesto trova tanto una sua frusta letteraria contro le molteplici offerte teorico-politiche fatte al proletariato moderno dal pensiero ufficiale, quanto una registrazione a futura memoria di ciò cui non occorre più di pensare,data l’azione politica del proletariato, che già si svolge nel suo normale e graduale processo…”(Antonio Labriola, ”In memoria del Manifesto dei comunisti”, 1895).
Con il Manifesto, insomma, un’analisi scientifica del mondo moderno – su cui si incardina anche una concezione generale della storia – diviene programma di azione politica nell’interesse autonomo e specifico del proletariato moderno, ma in funzione dell’umanità intera sicché la sovversione dei rapporti sociali esistenti e la costruzione di una società diversa e radicalmente mutata cessa di “essere speranza, aspirazione, ricordo, congettura o ripiego” e per la prima volta trova la sua adeguata espressione nella coscienza della sua propria necessità, in una esigenza pratica riconosciuta.
Filosofia e rivoluzione
L’ideologia marxista si sviluppa principalmente in un senso, quello del rifiuto del pensiero a favore dell’azione, della prassi. La sua critica principale alla filosofia è che essa pensa la realtà, ma la lascia intatta, non affronta il problema della miseria reale della gran parte degli uomini. Il problema che Marx si pone è quindi quello di modificare il compito della filosofia, unendo teoria e prassi: ciò comporterebbe da un lato la soppressione, dall’altro la realizzazione della filosofia. Lo scopo di Marx, almeno apparentemente, è lo stesso dell’Idealismo, ovvero il superamento dell’alienazione umana, la liberazione dell’uomo. Ma l’alienazione è da intendere non nella forma speculativa di Hegel (come movimento dell’Idea che si fa “altro da sé”, nella natura) e neppure nella forma religiosa descritta da Feuerbach (come subordinazione ad una potenza divina che è proiezione ed espressione del soggetto stesso), ma come processo storico ed economico-sociale di asservimento dei produttori della ricchezza materiale a coloro che dispongono di tale ricchezza e dei mezzi che sono serviti a produrla. Occorre sostituire “le armi della critica” usate dalla sinistra hegeliana senza incidere sulla realtà, con “la critica delle armi”; occorre, cioè, una forza materiale in grado di cambiare le cose, di muovere le masse. Così come in passato – afferma Marx – la rivoluzione era nata nella testa di un monaco (Martin Lutero), ora può avere inizio con il concorso della filosofia: questa potrà trovare le sue “armi materiali” in una classe “oppressa da catene radicali”, il proletariato.
Marx non “demonizza” la borghesia e il capitalismo, anzi, il Manifesto contiene una descrizione del carattere “rivoluzionario” della società borghese e capitalistica. Il capitalismo viene descritto come un modello di società fondatosi sull’esigenza di un rivoluzionamento continuo dei processi materiali di produzione e su un incessante dinamismo. Gli accenti e i toni con cui il capitalismo viene rappresentato potrebbero quasi apparire come un’ apologia, se non si concludessero con una prospettiva rivoluzionaria per la quale la borghesia stessa avrà partorito i suoi “seppellitori”, ovvero gli operai moderni, i proletari. Alla fine, la lotta delle classi esploderà inevitabilmente diventando rivoluzione e “il proletariato stabilirà il suo dominio con la violenta rovina della borghesia”.
Per la rivoluzione, Marx individua dei presupposti sia oggettivi che soggettivi: quelli oggettivi sono costituiti dal conflitto tra lo sviluppo delle forze produttive e i rapporti sociali borghesi, centrati sulla proprietà privata dei mezzi di produzione; quelli soggettivi sono costituiti dalla presa di coscienza del proletariato. La presa di coscienza è, infatti, un elemento importante nella lotta di classe, in quanto porta il proletariato a trasformarsi, nella lotta, da “classe in sé” a “classe per sé”, in quanto prende coscienza dei suoi interessi.
Con l’abbattimento della borghesia, il proletariato non si sostituirà ad essa come classe dominante. In una società senza classi, non ci sarà più chi domina e chi è dominato: ci sarà solo il comunismo.
Il comunismo
Se si eccettuano alcune pagine del periodo giovanile, non si trova in Marx una descrizione della società comunista: questo perché Marx non voleva incorrere in una visione utopistica, che egli stesso aveva criticato in altri. Il comunismo non è, per lui, un “ideale a cui la realtà debba conformarsi”, bensì è “il movimento reale che abolisce lo stato presente” e che sorge solo quando le strutture materiali della società capitalistica vedono nei rapporti proprietari che la costituiscono un ostacolo, un impedimento per l’ulteriore sviluppo.
Il comunismo appare a Marx come l’unica forma sociale nella quale sia possibile una restituzione dell’uomo a se stesso, grazie alla soppressione della proprietà privata; esso è visto come uno sbocco inevitabile dello sviluppo della società capitalistica, una trasformazione imposta dalle stesse contraddizioni che attraversano tale società, in particolare dall’antinomia fra il concentrarsi in poche mani della ricchezza e l’immiserirsi progressivo del proletariato. Il comunismo dovrà corrispondere ad una fase storica di sviluppo nel quale si abbia, anziché una “socializzazione della miseria”, una “socializzazione della ricchezza”, deve cioè portare ad un benessere generalizzato.
La principale questione su cui Marx prende posizione riguarda le trasformazioni che subirà lo Stato in una società comunista. Come già si era scritto nel Manifesto, vi sarà tra la società capitalistica e quella comunista una lunga fase di transizione rivoluzionaria, che sarà contraddistinta dalla dittatura rivoluzionaria del proletariato: si dovrà mutare lo Stato “da organo sovrapposto alla società in organo assolutamente subordinato ad essa”. Si limiteranno così le “libertà dello Stato”.
“Quando le differenze di classe saranno scomparse nel corso dell’evoluzione[…] il pubblico potere perderà il suo carattere politico. In senso proprio, il potere politico è il potere di una classe organizzato per opprimerne un’altra. Il proletariato[…], abolendo gli antichi rapporti di produzione, abolisce le condizioni di esistenza dell’antagonismo di classe[…], e, così, anche il suo proprio dominio in quanto classe”.
LA SALITA AL POTERE DEL NAZISMO
Dopo la Grande Guerra in Germania nel 1919-20 scoppia il Biennio Rosso: gli operai, che fino ad allora avevano subito la guerra, non sopportano più quella vita di stenti ed entrano lotta per ottenere aumento di salari e miglioramenti delle condizioni di lavoro (motivazioni economiche) e cercare di avviarsi come la Russia verso il Comunismo con la rivoluzione (motivazioni politiche).Nella catastrofe della I Guerra Mondiale, l'SPD (la Social Democrazia Tedesca) è l'unico partito riuscito a mantenere una certa organizzazione; ora si prende l'incarico di formare un governo provvisorio e guidare la Germania.
L'SPD, però, non è rivoluzionario ma vorrebbe solo ottenere delle riforme; per questo motivo il partito si ritrova con due nemici: i socialisti rivoluzionari da una parte (che si separano formando l'USPD) e la destra dall'altra (che comprende ufficiali, imprenditori, proprietari terrieri, burocrazia tedesca, ceti medi).La repubblica di Weimar (detta così dal nome della città in cui si stabilisce il governo) prende l'avvio da un compromesso: la destra avrebbe consentito alla sinistra moderata di governare solo se avesse eliminato l'attività rivoluzionaria.
La socialdemocrazia si vede così costretta a stroncare i tentativi rivoluzionari in modo violento con l'ausilio di corpi paramilitari detti Freicorps.
Alla fine del '20 vengono indette le elezioni per la formazione delle due camere del Parlamento e del Presidente della Repubblica, carica a cui la Costituzione attribuisce immensi poteri, tra cui anche quello di poter emanare leggi senza l'approvazione delle camere.
La situazione economica della Repubblica è molto difficile: la Germania obbligata a firmare il trattato delle riparazioni di guerra, si impegna alla restituzione di 132 miliardi di marchi oro alle potenze vincitrici della Grande Guerra. L'inflazione cresce sempre più.
La situazione peggiora quando la Francia occupa i bacini carboniferi della Ruhr come garanzia del futuro pagamento totale dei debiti; in seguito a ciò il marco, che finora aveva basato la sua forza economica sul carbone della Ruhr, poiché le casse dello Stato si erano svuotate di tutto l'oro che possedevano, perde tutta la forza economica che gli era rimasta. L'inflazione si impenna. I
n quel periodo è eletto Stresmann come primo ministro che, vista la grandissima crisi, cerca di correre ai ripari.
Egli mette fuori circolazione il marco e fa coniare una nuova moneta: il Renten Mark, il cui valore rimane ancorato ai beni agricoli e industriali della Germania.
Inoltre il nuovo Cancelliere prende accordi con gli USA per ricevere investimenti americani con cui poter sviluppare nuovamente l'economia.
La situazione sembra ristabilirsi, ma nel 1929 scoppia negli Stati Uniti la grande crisi che subito dilaga in tutta Europa e in particolare in Germania, colma di investimenti statunitensi. Così nel '30 la Germania si trova in ginocchio per la terza volta nel giro di dieci anni e la morte di Stressman, nel '29 stesso, la lascia senza un valido uomo al governo. Nell'anno della grande crisi si presenta per la prima volta alle elezioni politiche Hitler col suo partito, ma riceve soltanto il 3,2% dei voti.
In seguito però la grande depressione determina in Germania un sempre più rapido deterioramento della situazione politica con un susseguirsi di deboli governi di coalizione, fino a quando la NSDAP di Hitler nel '33 non ottiene il 37% dei voti. Ormai il partito hitleriano rappresenta una discreta quantità del Parlamento e non è più una realtà sottovalutabile: Hitler diventa così cancelliere e gli viene affidato l'incarico di formare il nuovo governo.
Alla fine del '33 la Repubblica di Weimar non esiste più.
Lo sviluppo dello stato totalitario tedesco
Come ha fatto Hitler ha guadagnare così tanto consenso nel giro di soli due anni? Per prima cosa egli presentava un programma di enorme forza ed energia, nonché innovativo. Nell'opera Mein Kampf, egli parla di una lotta cosmica e di una missione universale del popolo tedesco: quella di promuovere un'umanità superiore, di eliminare i popoli inferiori, deboli e impuri. Hitler, infatti, occupandosi di eugenetica, la scienza che studia il miglioramento della razza umana, dichiara quella ariana come la migliore in Europa. Inoltre la NSDAP si faceva portavoce del sentimento di risentimento della popolazione tedesca nei confronti della Francia sia in seguito alla bruciante sconfitta della I guerra mondiale, sia all'imposizione del pagamento dei danni causati dalla guerra in Europa. Questo sentimento veniva tradotto in un imperialismo aggressivo volto alla conquista dell'est europeo: Hitler infatti credeva che ogni nazione avesse diritto ad un proprio spazio vitale e che quello della Germania dovesse essere ampliato, poiché molta persone di lingua tedesca si trovavano fuori dai confini dello Stato e soprattutto in Austria, Polonia e negli altri Paesi dell'est.
La NSDAP proponeva anche ai tedeschi l'ideale della "volksgemeinschaft", ovvero della comunità di popolo, una società unita dal vincolo della nazione, della storia, della lingua che non abbia nessun conflitto al suo interno ma che sia unita verso fini comuni; nell'ottica della ricerca di questa compattezza, il partito nazista individua anche un nemico, responsabile delle crisi subite finora, interno alla patria e quindi da espellere: i marxisti, i finanzieri e gli ebrei. Hitler rappresenta una novità nel panorama politico dell'epoca e il suo partito riesce ad ottenere un gran numero di voti anche perché ormai un vasto numero di elettori non si fida più dei partiti tradizionali, che si erano dimostrati inetti nei confronti della crisi.
Il primo governo presieduto da Hitler è un governo di coalizione, ma il suo scopo è quello di accentrare il potere nelle sue mani con una rivoluzione ammantata di legalità. Per prima cosa inizia a sospendere gli articoli della Costituzione a favore dei diritti dei cittadini, per dare al governo la possibilità di vietare ogni libertà di stampa, di opinione e di associazione.
Inoltre crea un corpo di polizia ausiliaria formato da SA e SS, corpi paramilitari alle dipendenze dei nazisti, per il quale è legittimo compiere ogni atto di violenza. In questo modo la legalità nazista ha modo di rivelarsi per ciò che è realmente: violenza, sopraffazione e terrore. Il 27 febbraio '33 scoppia un incendio al Reichstag, la sede del Parlamento: sono accusati i comunisti che con l'incendio vogliono avviare la rivoluzione. Questo episodio dà il via ad una furibonda repressione dell'opposizione con arresti di massa e assassinii. Nello stesso anno continua la politica sui due fronti (quello del consenso e quello della violenza) del nazismo: da una parte al governo vengono attribuiti pieni poteri per il bene dello Stato, viene creato il Ministero per l'Istruzione Popolare e la Propaganda (affidato a Goebbels), sono organizzate parate e manifestazioni; dall'altro, le SS e le SA continuano con assassinii, pestaggi, arresti e deportazioni di Ebrei (è proprio l'8 marzo che è realizzato il primo campo di concentramento a Dachau).
Entro la fine del '33 sono eliminati tutti i partiti eccetto quello nazista, che può così presentarsi da solo alle successive elezioni. Inoltre vengono anche eliminati tutti i capi dei corpi paramilitari (in particolare quelli delle SA, perché sotto il controllo di Rhom e non di Hitler) che non avevano dimostrato una piena fedeltà nei confronti del cancelliere.
Nel '34 il Presidente Hindemburg muore. La carica è assunta Hitler che vede concentrati nelle sue mani tutti i poteri dello Stato, compreso l'esercito. Il fuhrer può cominciare la deportazione e l'eliminazione di altri nemici della razza come disabili, portatori di handicap, omosessuali, zingari e nel 1935 sono proclamate le leggi di Norimberga, leggi che privano gli ebrei di ogni cittadinanza e ogni diritto da essa derivante.
Con le sempre più numerose deportazioni di ebrei, il regime si vede obbligato alla costruzione di altri campi di concentramento sia per i lavori forzati, sia per lo sterminio di massa dei prigionieri; e proprio i lager rappresentano il prototipo della società totalitaria, spersonalizzata ed eterodiretta, i cui componenti sono suddivisi in una rigida gerarchia e obbediscono alla volontà dei detentori del potere e della forza.
Il regime comunque alterna costantemente misure repressive e atti destinati a suscitare forti sentimenti di partecipazione alla futura potente comunità spirituale tedesca. La pressione sull'opinione pubblica è ben applicata da Goebbles,che suddivide il ministero in dette sezioni: propaganda, radio, stampa, cinema, teatro, musica e arti figurative. Naturalmente tutto deve tendere all esaltazione del regime ed è dichiarata guerra aperta agli intellettuali non allineati. Anche il nazismo, come tutti i totalitarismi, riserva grande importanza all'educazione e all'istruzione dei giovani; la Hitler-Jugend è un'organizzazione che ha proprio lo scopo di inquadrare e formare i futuri, perfetti esponenti della specie umana superiore, utilizzando un'attenta sorveglianza sulla scuola: il giovane dovrà sviluppare un forte spirito di corpo e una solidarietà che eliminerà ogni differenza di censo e renderà possibile la più completa identità collettiva nella comunità dei camerati.
Per quanto riguarda infine la politica economica il nazismo subordina l'economia alla politica; in questo modo gli obiettivi, i tempi e i modi della produzione sono dettati unicamente in vista dell'assoluto dominio del regime sul mondo, dominio assicurato al Reich dalla vittoria in guerra. Sempre nell'ottica dell'estrema aggressività del nazismo, viene promossa una politica di riarmo, per cui si ha un forte sviluppo del settore bellico che può così assorbire parte dei disoccupati, aumentati di molto in seguito alle crisi del decennio precedente. Inoltre il regime investe moltissimi marchi in opere pubbliche come canali e in particolare vie di comunicazione come strade e autostrade, utili sia per dare lavoro a molte persone, sia per agevolare gli spostamenti interni dell'esercito.
I PRESUPPOSTI FILOSOFICI DEL NAZISMO
“Conosco la mia sorte. Si legherà un giorno al mio nome il ricordo di una crisi, come non ce ne fu un’altra simile sulla terra… Io non sono un uomo, sono una dinamite… sono necessariamente pure un uomo del destino”
A circa cent’anni dalla morte di Nietzsche, il suo pensiero continua a d essere frainteso, rivisitato, discusso come se fosse difficile posizionarlo in modo pacifico all’interno della cornice classica della storia della filosofia.
Seppure letto, amato e odiato anche dalla massa, quella massa da cui Nietzsche aveva preso le distanze – la sua filosofia è del resto per tutti e per nessuno –perché il gioco dell’interpretazione coinvolge tutti, senza che nessuno possa tuttavia rivendicare il possesso dell’unico “vero” e “definitivo”senso del testo ,l’intero suo pensiero è ancor lontano dall’essere assimilato, digerito e omologato.
Piuttosto ci si serve dei suoi aforismi e dei suoi libri come se fossero una sorta di baedeker, sfruttando or l’una or l’altra sua frase a seconda di quella che risulta più conveniente al contesto intorno a cui si discute, e non si coglie –forse perché così si preferisce – l’intima coerenza che rivela quello che a Nietzsche sembrava una della migliori virtù dell’uomo greco e rinascimentale: l’onestà.
Nietzsche è forse il miglior interprete della fine di un mondo e del bisogno di rinnovamento di tutta un’epoca: profeta insieme della decadenza e della rinascita,dà origine alle interpretazioni più discordi,che si sono tradotte nelle influenze più diverse.
Riguardo alla sua idea di SUPERUOMO, inteso come giusto trionfatore di una massa di deboli o schiavi,va senza dubbio rivisitata. Sebbene fu l’iniziatore di un processo di sviluppo di una civiltà e di un idea dell’uomo radicalmente rinnovate, Nietzsche non fu mai l’estensore di un vangelo della violenza.
Di certo si tratta di uno scrittore asistematico e fortemente originale.
Forse anche per questo motivo che nella sua opera rimane costante una certa ambiguità di fondo, anche di tipo socio-politica, che ha permesso lo sviluppo di contrastanti strumentalizzazioni politiche.
Il filosofo infatti non ha mai specificato espressamente chi sia il soggetto della volontà di potenza: il Superuomo.
Ecco allora come molti lo identificano in un’umanità che vive in modo libero e creativo,mentre molti altri lo limitano ad un’élite,che esercita la sua volontà di potenza non solo nei riguardi della caoticità del mondo,ma anche verso il prossimo; la stessa sorella Elisabeth operò una ricostruzione sistematica delle sue idee,che fu largamente responsabile delle interpretazioni naziste.
La nascita del superuomo
“Io vi insegno il superuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato”
(Così parlò Zarathustra)
“Io vi insegno il Superuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. Che cosa avete fatto voi per superarlo? Tutti gli esseri hanno sempre creato qualcosa al di sopra di sé: e voi volete essere il riflusso di questa grande marea e retrocedere alla bestia piuttosto che andare avanti e oltrepassare l’uomo?
Che cos’è per l’uomo la scimmia? Un ghigno o una vergogna dolorosa. Avete percorso il cammino dal verme all’uomo, e troppo in voi ha ancora del verme. In passato foste scimmie, e ancor oggi l’uomo è più scimmia di qualsiasi scimmia. E il più saggio tra voi non è altro che un’ibrida disarmonia di pianta e spettro. Voglio forse che diventiate uno spettro o una pianta?
Ecco, io vi insegno il superuomo!
Il superuomo è il senso della terra. Dica la vostra volontà: Sia il superuomo il senso della terra!
Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a coloro che vi parlano di ultraterrene speranze! […]
L’uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo, - un cavo al di sopra dell’abisso.
Un passaggio pericoloso, un pericoloso essere in cammino, un pericoloso guardarsi indietro e un pericoloso rabbrividire e fermarsi. La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell’uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto.
[…]
E il grande meriggio è: quando l’uomo sta al centro del suo cammino tra l’animale e il superuomo, e celebra il suo avviarsi alla sera come la sua speranza più elevata: giacché quella è la via verso un nuovo mattino. Allora chi tramonta benedirà se stesso, come uno che passa all’altra sponda; e il sole della sua conoscenza sarà per lui nel meriggio.
«Morti sono tutti gli dei; ora vogliamo che il superuomo viva» - questa sia un giorno, nel grande meriggio, la nostra ultima volontà! – […]
Ci devono essere molti superuomini: ogni bontà si sviluppa solo tra pari. Un solo dio sarebbe sempre un diavolo! Una razza dominante. Per «i signori della terra» “.
Questi sono frammenti del pensiero filosofico originario di Nietzsche. Da questi versi sono nate le interpretazioni più variopinte e distorte.
In effetti, come possiamo realmente vedere, nell’annunciare il superuomo, Nietzsche non dice come deve essere questo uomo nuovo.
E’ possibile ipotizzare allora che egli lo immagini come un individuo consapevole della propria eccezione, un artista-filosofo, critico e creatore di valori nuovi, inattuale, più sensibile e intelligente, con virtù greche e rinascimentali quali l’onestà, la fierezza, il coraggio, la temperanza, l’amore per la libertà, più naturale, ingenuo, sincero, istintivo, che ha rifiutato fino in fondo la morale cristiana e la massificazione.
Il termine Superuomo sta a significare dunque un tipo d’uomo benriuscito al massimo grado, che si contrappone all’uomo moderno, o per dirla alla Nietzsche, all’ “ultimo uomo”.
Chi è dunque il Superuomo? All’interno dello Zarathustra e nelle opere successive, la sua figura oscilla tra quella della “bella individualità” di origine umanistica e quella dell’avventuriero, che è spinto da un impulso più distruttivo che costruttivo.
Nei discorsi di Zarathustra, il superuomo appare una figura luminosa: è l’uomo che dona la virtù, che vive il meriggio come l’ora della felicità e della compiutezza del mondo; egli è l’eroe affermatore per eccellenza: in lui c’è una disposizione dionisiaca verso la vita che lo pone al centro del mondo e tuttavia lo mette in grado di assumere su di sé il peso delle contraddizioni della vita.
Il superuomo è colui che conosce la verità, sa che Dio è morto e che ormai non bisogna più riporre speranze in un al di là, che non esiste perché Dio stesso non esiste più, anzi si è rivelato come “la nostra più lunga menzogna”.
Dio è morto per mano nostra, dell’umanità, che ormai è caduta in una crisi mortale con l’irruzione del nichilismo nel mondo moderno, ossia il fatto che l’insieme degli ideali e dei valori su cui, anche grazie al cristianesimo, la civiltà europea ha costruito per secoli la propria regola di comportamento tradisce ora il nulla che ne era il fondamento nascosto.
Oltre gli uomini allora c’è solo il nulla.
Per questo motivo, l’unica realtà a cui bisogna rimanere fedeli è la terra; ad essa la nuova umanità deve far ritorno ed esservi fedele, rifiutando l’estrema illusione di una speranza sovraterrena. Ecco allora come il superuomo si rivolge alla terra con lo stesso fervore con cui gli uomini si sono sempre rivolti al mondo divino. Non dunque il superuomo, al posto di Dio, bensì la terra.
Dice Zarathustra : “Un tempo peccare contro Dio era il massimo sacrilegio, oggi peccare contro la terra, questa è la cosa più orribile”.
Pertanto il superuomo è innanzitutto l’uomo di questo mondo, che sa dire di sì alla vita, sapendo che non c’è nulla al di là di essa.
Il superuomo dunque è senza morale, in quanto “precristiano”: contrapposto al crocifisso sta per Nietzsche ancora “Dioniso” che rappresenta l’energia tumultuosa che trasforma tutto in affermazione.
Nietzsche sa che il superuomo verrà tacciato di immoralismo; non dubita che i buoni e i giusti lo chiamerebbero diavolo, ma essi sono tuttavia incapaci di capire che all’uomo superiore possano essere concesse anche la malvagità e l’azione terribile “se esse servono a fare del deserto della vita una contrada ubertosa e fertile”.
Alcuni nel corso della storia hanno messo in pratica punto per punto queste parole, la malvagità e le azioni terribili sono state davvero messe in atto (eccome se lo sono state!), in una misura che forse Nietzsche non avrebbe mai immaginato, pensando, a loro modo, di realizzare davvero quella contrada ubertosa e fertile di cui il filosofo parlava.
Come hitler interpretò e strumentalizzò la figura del superuomo
“Nei singoli la follia è una rarità: ma nei gruppi, nei partiti, nei popoli, nelle epoche è la regola”
(Al di là del bene e del male)
Hitler, per ottenere il massimo dalla sua propaganda politica, riuscì, tramite abili manipolazioni, a fare in modo che il suo pensiero, le sue folli convinzioni, avessero dei nobili precedenti nelle menti superiori dei più grandi filosofi tedeschi. Per questo motivo nel suo libro, il Mein Kampf, si trovano numerose citazioni falsate e manipolate dei più grandi filosofi tedeschi, tra i quali spiccano Fichte, Hegel e Nietzsche. Soprattutto quest’ultimo fu quello che venne strumentalizzato maggiormente.
Molto spesso i suoi testi erano particolarmente ambigui, e l’aggiunta di qualche parola in determinati punti poteva totalmente stravolgere il significato delle sue parole. Fu proprio questo quello che si fece per la propaganda nazista. Hitler in questo lavoro fu aiutato dalla sorella di Nietzsche, Elizabeth, donna di notevole cultura e simpatizzante tanto di Hitler quanto delle sue ideologie naziste, la quale non ebbe grandi difficoltà a strumentalizzare le pagine del fratello per gli oscuri scopi del Fuhrer. Fu inoltre facilitata in questo compito dallo stato di pazzia in cui piombò Nietzsche negli ultimi anni della sua vita il quale, quindi, non poteva difendere il vero senso delle sue parole. Nel Superuomo, la propaganda nazista riconosceva l’uomo ariano, colui che avrebbe dovuto dominare le masse di deboli, a lui inferiori. Così, in “Così parlò Zarathustra” si ritrovano riferimenti che esaltano alla guerra: “Dovete amare la pace come mezzo per una nuova guerra, e la pace breve più di quella lunga… la guerra e il coraggio hanno compiuto azioni più grandi della carità”; mentre nella “Volontà di Potenza” si legge di una nuova razza che si stava formando, facendo riferimento al superuomo.
Hitler si identifica ampiamente in questo superuomo, che si eleva al di sopra degli uomini e che, seguito da un’élite di uomini sarebbe diventato il padrone della terra.
In seguito a queste considerazioni, vi sono alcuni che hanno considerato Nietzsche come ispiratore di un superuomo che Hitler applicò con ferocia, o addirittura come un anticipatore della dottrina della razza ariana, ma egli non è mai stato nulla di tutto ciò. In primo luogo Nietzsche morì nel 1900 e non poteva affatto prevedere l’avvento di un individuo come Hitler, né tantomeno che sua sorella stravolgesse i suoi scritti in favore di Hitler stesso.
Dunque il superamento dell’equivoco Nietzsche-Hitler è fondamentale per ridare quanto di dovuto ad un filosofo di tale ingegno. Per superare l’equivoco occorre capire che Nietzsche non ipotizzò mai un Superuomo inteso come “uomo super” che soggiogasse gli altri: egli ipotizzava al contrario un “uomo superiore” che riuscisse a divincolarsi dalla sua condizione di fragilità terrena, per concorrere a formare una società migliore, fatta di uomini “superiori”, scevri dalle bassezze cui solo gli uomini comuni sono capaci.
NASCITA DEL FASCISMO: AVVENIMENTI POLITICI 1919-1922
I GOVERNI DI NITTI E DI GIOLITTI (1919-1920-1921)
L'esito infelice della Conferenza di Versalles di fronte alle aspettative italiane obbligò Vittorio Emanuele Orlando a rassegnare le dimissioni, lasciando il posto, nel giugno del 1919, a Francesco Saverio NITTI (1968-1953).
Egli, abile economista e prestigioso esponente liberale dei settori radical-democratici, autore di opere quali Il Bilancio dello Stato dal 1862 al 1896 e Napoli e la questione meridionale in aperta polemica con la politica economica dell'età giolittiana, si radicò fermamente nella convinzione che fosse necessaria una rapida crescita economica per porre un rimedio alla situazione post-bellica di crisi, soprattutto con provvedimenti fiscali volti a colpire i redditi pi elevati.
Nel piano più strettamente politico Nitti si impegnò in quell'opera di cancellazione ed eliminazione delle vecchie clientele giolittiane che contrastavano le sue convinzioni spiccatamente democratiche, sostituendo il vecchio sistema elettorale uninominale con il sistema proporzionale, richiesto con entusiasmo dai gruppi popolari e socialisti. Ma la situazione non tardò a degenerare precipitosamente. I continui aumenti dei prezzi, le mancate promesse della terra ai contadini alimentarono nell'estate del '19 una serie di agitazioni popolari, guidate specialmente da quei settori massimalisti del partito socialista, le quali spesso sfociavano in scioperi di natura esplicitamente politica con frequenti episodi di violenza e di illegalità.
A ciò si aggiunse, a complicare ulteriormente la situazione, l'occupazione militare della città di Fiume il 12 settembre 1919 da parte di truppe volontarie alla cui guida vi era il poeta Gabriele D'Annunzio, che non nascondeva con entusiasmi nazionalistici il progetto di marciare fino a Roma per sbarazzarsi del governo liberale di Nitti.
La città di Fiume, a maggioranza italiana, non era stata prevista nel trattato di Londra ma avrebbe dovuto essere assegnata comunque all'Italia per il principio di autodeterminazione dei popoli che ispirò in buona misura i trattati di pace di Versailles. Tale occupazione creava una imbarazzante crisi diplomatica internazionale, di cui si resero pienamente conto uomini come Giolitti o lo stesso Nitti che avrebbe preferito approfittare dell'episodio per far pressione sugli Alleati.
Nel frattempo le elezioni politiche con il nuovo sistema proporzionale del novembre 1919 sancirono definitivamente il crollo della vecchia classe dirigente liberale, favorendo invece i grandi partiti di massa quali il PPI e il PSI. Il governo Nitti si trovava quindi di fronte a gravi problemi di natura sociale, economica, diplomatica e politica; messo in minoranza sul decreto di aumento del prezzo politico del pane, egli rassegnò le dimissoni nel giugno del 1920 e lasciò il posto all'ottantenne Giovanni GIOLITTI .
Proprio per la sua lunga esperienza questi era visto come il solo capace di porre un rimedio alla situazione di gravissima crisi (crisi che del resto egli stesso aveva previsto prima di un eventuale entrata in guerra da parte dell'Italia).
Per trovare una soluzione all'occupazione fiumana Giolitti cercò un riavvicinamento con la Iugoslavia, firmando due trattati (trattato di Tirana e di Rapallo) che in qualche modo ridefinissero le aree di influenza italiane nella zona balcanica: l'Italia divenne così il fulcro e l'appoggio per gli stati appartenenti all'ex Impero asburgico.
Fiume venne dichiarata città stato indipendente e le truppe di D'annunzio vennero fatte rapidamente sgomberare suscitando inevitabilmente le ire dei settori nazionalisti.
Nell'estate del 1920 le agitazioni operaie ( vedi scioperanti e scioperi divisi per esito) portarono all'occupazione di circa 300 fabbriche, aprendo la strada a prospettive rivoluzionarie, a "fare come in Russia", come si diceva allora; Giolitti confermò la sua politica di mediazione optando, come negli anni antecedenti al conflitto, per il non-intervento dello Stato, lasciando che tali agitazioni si esaurissero da sé. Ai massimalisti, già frenati dal troppo verbalismo dei socialisti moderati, venne a mancare così la possibilità di un'insurrezione armata concreta, venendo meno l'inervento del governo, avversario "indispensabile" per un capovolgimento della situazione. Essi si staccarono definitivamente dall'area riformista per dar vita nel 1921 a Livorno al Partito Comunista d'Italia, PCd'I, che aderì alla terza internazionale.
L'atteggiamento mediatore giolittiano apparve però negli ambienti conservatori troppo debole proprio quando era, secondo loro, necessaria una maggiore determinazione contro il perico imminente delle forze socialiste, la cui ala moderata non trovava accordi nemmeno con i settori della borghesia liberale.
Giolitti era isolato: la sua politica cauta e di mediazione non trovava un riscontro e un'accoglienza in un clima di forti tensioni post-belliche.
Nella ricerca del sostegno per la sua azione politica egli pensò allora di riferirsi alle forze fasciste, che proprio allora cominciavano ad assumere dimensioni notevoli, organizzate in squadre d'azione ( RAS ) ingaggiate da grandi proprietari terrieri per aggressioni cotro le sedi socialiste e cattoliche, ritenute responsabili delle continue agitazioni.
Giolitti era convinto che questi fascisti fossero "soltanto fuochi d'artificio" che si sarebbero presto spenti: si presentò così alle elezioni del maggio 1921 con "blocchi nazionali" per contrastare l'avanzare dei partiti di massa. Il Parlamento, a differenza di quanto aveva immaginato e sperato il vecchio uomo di Stato, apparve allora assai frammentato e i 35 fascisti eletti assieme ai 10 nazionalisti passarono subito all'opposizione.
A Giolitti vennero a mancare le basi per poter contare su una solida maggioranza e rassegnò le dimissioni il giugno di quello stesso anno.Si prospettava la crisi che portò alla Marcia su Roma.
ORGANIZZAZIONI FASCISTE
I fasci di Combattimento
Milano. 23 marzo 1919. Nascono i Fasci di Combattimento ad opera di Benito Mussolini.
Collegati solo in parte al sovversivismo prebellico, si delineano come una formazione paramilitare politicamente irrilevante e con un unico scopo preciso: la presa del potere.
Infatti non avevano una ideologia precisa, ma, come la definisce Bobbio, una ideologia della negazione, sono anti-progressivi, anti-democratici, anti-razionalisti, contro l'uguaglianza ed esaltano le virtù eroiche e la violenza. E proprio questa mancanza di connotazioni specifiche creava la confusione e l'ambiguità politica che relegarono i Fascisti a ben pochi seggi al parlamento incapaci di tramutare il loro movimento in una realtà amministrativa.
Ciò non impedì loro di acquisire larghissima popolarità presso i lavoratori proprio nel periodo storico in cui lo Stato viveva una situazione di instabilità cronicaspecialmenteper quanto riguarda i ministeri e il parlamento. Con le bande rosse oramai in disfatta, le squadre d'azione Fasciste avevano il consenso e la partecipazione di Proprietari terrieri, reduci (si ricordi la "vittoria mutilata") e della piccola borghesia che sperava di poter finalmente far sentire il suo peso. Tuttavia, in contrasto con la sua fisionomia, il decollo lo ebbe nelle grandi e affollate di elettori zone agricole della pianura Padana, in Toscana e in Puglia difendendo i diritti dei braccianti e dei lavoratori sostituendosi alla inesistente forza statale e opponendosi ai sindacati socialisti e cattolici.
Proprio in questa occasione cominciarono le distruzioni delle cooperative, di camere del lavoro, di redazioni dei giornali e si diffuse il famigerato uso dell'olio di ricino, purgante a dir poco micidiale. Nonostante le bastonate e i tricolori dipinti sul fondoschiena di contadine socialiste, il sistema politico-giudiziario non si mosse. Giolitti sperava che i neri (chiamati così per il colore delle camicie della loro divisa) punissero i rossi socialisti e che, concluso questo lavoro, i fascisti scomparissero come altri piccoli partiti d'azione.'
Giolitti però aveva sbagliato a prendere le misure e Mussolini ebbe l'accortezza di presentarsi come garante delle classi proletarie in diretta concorrenza con il vecchio ceto politico liberale e di superare lo squadrismo tramutando i fasci in un movimento politico più concreto, il PNF.
IL PNF
Il Partito Nazionale Fascista nasce durante il Congresso di Roma nel novembre del 1921, che oramai si presentava come il nuovo aspirante al governo del Paese. Ora era meno rivoluzionario e cominciava ad assorbire ideali filo-capitalisti, filo-monarchici, filo-cattolici. La struttura paramilitare non fu abbandonata nonostante l'adozione di un nuovo indirizzo legalitario. Intanto aumentarono gli episodi di violenza e illegalit9 che volevano conservare la valenza antidemocratica del Fascismo.
Mussolini quindi approfittando degli aiuti giunti dai liberali di Giolitti si preparò colpo di forza che mettesse una contro l'altra le fazioni. Nel progetto di stato fascista l'individuo perdeva le sue caratteristiche di singolo diventando un ingranaggio, lo stato era il fine di tutto sulla base di quello etico hegeliano rivisto da Gentile. L'annientazione dell'individuo come tale portava inevitabilmente alla soppressione delle libertà sia politico-istituzionali che sociali: scomparse il parlamentarismo e cominciò la fabbrica del consenso creta per uniformare le masse all'ideologia fascista.
Essa voleva infatti voleva portare alla luce il fasto di Roma Imperiale non solo con l'espansionismo ma, anche attraverso l'arte e la cultura latina: ne sono esempio le opere pubbliche e l'esaltazioni dei miti umani e degli eroi nazionali.
La nuova ideologizzazione delle masse verso nuovi ideali era il mezzo migliore per cancellare prima, e mantenere lontane poi, le vecchie soluzioni e gli assetti sociali, compresa la democrazia.
Le stesse classi dirigenti preferivano appoggiare il regime Fascista pur di evitare il pericolo di un salto nel buio. Speravano ancora nella costituzionalizzazione del fascismo, né prima della Marcia, né prima dell'emanazione delle "leggi fascistissime". Il compromesso finì poi per avvantaggiare Mussolini che non esitò dopo la secessione dell'"Aventino" e il delitto Matteotti a spazzare via la vecchia classe e il superato sistema politico.
LA MARCIA SU ROMA
La situazione politica italiana era divenuta particolarmente favorevole, dopo la Prima Guerra Mondiale, all'affermarsi del movimento fascista di Benito Mussolini. I liberali con le elezioni del 1921 avevano perso definitivamente la maggioranza dei seggi del parlamento, a favore dei nuovi partiti di massa (Partito Popolare, Partito Socialista ed il nuovo Partito Comunista).
Due erano le conseguenze negative: da un lato la nuova maggioranza non aveva mai avuto esperienze di governo; dall' altro i vari gruppi che la componevano non riuscivano ad accordarsi per le differenze ideologiche che li caratterizzavano.
Nacque perciò un governo debole, la cui precarietà si manifestò apertamente alla fine del ministero di Ivanoe Bonomi, causata da un banale fallimento di una filiale della Banca d' Italia nel 1922. A tutte queste difficoltà si aggiungeva il disagio sociale causato dalle squadre fasciste che intanto nel Congresso di Roma del Novembre dell'anno precedente trovarono espressione in un vero e proprio partito, il Partito Nazionale Fascista: esso dichiarava di aspirare all' "onore supremo del governo".
L'ancor pi debole governo del successore di Bonomi, Luigi Facta, non riuscì a porre un rimedio alla situazione critica; fallirono del resto anche i tentativi di coalizione tra le forze democratiche del Paese contro le violenze fasciste, che si risolsero nell' inutile "sciopero legalitario", indetto il 31 Luglio da tutte le organizzazioni sindacali, il quale anzi aumentò le illegali scorribande squadriste. Mussolini del resto in questo clima di tensione cercava di dare, per quanto possibile, un' immagine legalitaria al movimento fascista mediante riconoscimenti ai valori del Cattolicesimo e della Monarchia, abbandonando ogni pregiudiziale repubblicana che ne aveva caratterizzato gli inizii.
La speranza di Giolitti (ma anche di Salandra) era quella di ricondurre il PNF, in seguito alla "veste legalitaria", all' interno delle normali strutture e istituzioni tradizionali. Un' alleanza antifascista si rivelava ancora difficile anche a causa dei problemi interni al PSI, e Mussolini ne approfittò per organizzare un'azione di forza: a Napoli il 24 Ottobre 1922 si tenne una massiccia adunata di squadre fasciste, alle quali Mussolini annunciò il proposito di calare su Roma se entro poco tempo non gli fosse stato affidato il governo dell' Italia. Mentre Facta si dimetteva il 26 Ottobre, le squadre con la complicità di prefetti e sindaci bloccarono molti uffici pubblici e ferrovie, nonostante fossero mal armate rispetto all'esercito. Occuparono e si ammasarono in città come Civitavecchia, Mentana e Tivoli, ma le loro condizioni si facevano abbastanza precarie: mancavano viveri, le armi erano spesso insufficienti o non adatte.
Il re decise inizialmente la mobilitazione militare: Mussolini fu anche arrestato dal prefetto, ma il sovrano, temendo una guerra civile e la fine del suo regno, all' improvviso mutò atteggiamento non firmando il proclama di stato d' assedio del 28 Ottobre proposto da Facta.
Mussolini che si era previdentemente ritirato a Milano (a pochi chilometri dalla neutrale Svizzera, possibile rifugio in caso di fallimento...), e da lì rifiutò anche le ultime mediazioni. Vittorio Emanuele sotto la spinta dei maggiori esponenti della classe industriale affidò la sera del 29 il compito di formare un nuovo governo a Benito Mussolini. Nel nuovo ministero entrarono grandi figure della prima guerra mondiale come Armando Diaz. I popolari e i liberali diedero il voto di fiducia al governo Mussolini sperando, come già Giolitti aveva auspicato, nella costituzionalizzazione della nuova realtà politica, ma già dai primi discorsi che il futuro duce tenne alla camera si delineavano già le caratteristiche totalitarie della sua ideologia politica.
MUSSOLINI AL GOVERNO
Nonostante la Marcia su Roma, l'avvento del Fascismo era avvenuto nel formale rispetto dello Statuto Albertino. La Camera aveva dato la fiducia al governo Mussolini grazie all'appoggio dei liberali e dei cattolici ai 35 deputati fascisti che da soli avrebbero potuto fare ben poco.
Mussolini capì l'importanza di legarsi ai due centri tradizionali del potere, monarchia e Chiesa Cattolica che avrebbero aiutato il Fascismo, che rimaneva pur sempre una forza minoritaria nel paese. Questo riuscì nel suo scopo mantenendo contemporaneamente la propria fisionomia e il suo intento non limitandosi a ristabilire l'ordine nella travagliata Italia del dopoguerra (come, per altro, speravano gli altri partiti).
Come prima cosa iniziò a sovrapporre gli organi del partito a quelli statali, un progetto che dopo le prime lentezze si realizzò con fermezza Il Gran Consiglio del Fascismo fu creato già alla fine del 1922 ed era destinato ad assumere le principali decisioni politiche e nel quale figuravano i più influenti esponenti del movimento fascista. Dopo il Gran consiglio, che assunse valore costituzionale solo nel 1928, nacque nel Gennaio del 1923 la Milizia volontaria di Sicurezza nazionale che doveva unire le varie formazioni paramilitari di stampo fascista.
Per quanto riguarda le riforme del governo Mussolini quelle principali furono la Gentile riguardante il sistema scolastico e quella elettorale "Acerbo" (dal nome del sottosegretario che la formulò) che assicurava i due terzi della Camera alla lista che risultasse maggioritaria (purché non inferiore al 25%). Nonostante la manifesta anti democraticità della riforma, né il Re né il Senato intervennero.
Proprio in questo periodo cominciarono a nascere delle incertezze all'interno dei popolari, Don Sturzo per primo per l'eccessivo autoritarismo delle riforme; costui chiese addirittura le dimissioni dei suoi ministri, ma i vantaggi avuti dalla Chiesa con la riforma Gentile portarono la maggioranza del partito a mantenere l'appoggio al governo Mussolini. Così facendo, si arrivò alle elezioni dell'Aprile 1924, in cui i liberali, temendo lo smembramento del partito si unirono a Mussolini nel "listone" che riuscì ad ottenere i due terzi della camera, senza le facilitazioni della legge "Acerbo".
Pochi osarono opporsi, denunciando brogli e violenze, tra questi pochi Giacomo Matteotti che pagò caro il suo coraggio: fu rapito e ucciso da un gruppo di fascisti comandati segretamente dallo stesso Mussolini. La rivolta non rimase circoscritta e portò tutte le opposizioni ad unirsi nel proposito di abbandonare l' aula e le discussioni nella cosiddetta "secessione dell'Aventino". Nonostante l' intento di smuovere la moralità del re e delle masse, il tentativo fallì e Vittorio Emanuele III confermò la fiducia al governo Mussolini.
I protagonisti dell'Aventino
Costui decise così di cominciare la fase propriamente dittatoriale del Fascismo riducendo al silenzio il re e seguendo le spinte che gli venivano dai Ras di provincia che volevano una soluzione di forza. Mussolini il 3 Gennaio 1925 fece un violentissimo discorso in cui anticipò le leggi fascistissime e lo scopo di cancellare ogni residua forma di democrazia (si assunse inoltre tutte le responsabilità del delitto Matteotti).
SOCIETA' FASCISTA
A partire dal 1925 il fascismo da "movimento" si avvia a diventare "regime". L'obiettivo di Mussolini è quello di dominare in maniera globale la società italiana, di "fascistizzare" l'Italia; la sua azione pertanto si muove, oltre che sul piano politico (con l' eliminazione dei suoi principali nemici), anche sul piano della società civile e del costume.
La costruzione dello Stato totalitario fu compiuta attraverso una seri di "leggi fascistissime" con le quali si realizzò una vera e propria dittatura fascista: tutti i partiti vennero sciolti, ad eccezione di quello fascista; il potere legislativo venne sottratto al Parlamento e affidato al potere esecutivo, cioè al capo di governo; fu concesso al governo il potere di condizionare l'operato della magistratura, di sciogliere associazioni, di esercitare uno stretto controllo sulla stampa a tal punto che, nel corso del 1925, i continui sequestri e le censure di giornali portarono alle dimissioni di Luigi Albertini, direttore del "Corriere della Sera", e Alfredo Frassati, direttore del quotidiano "La Stampa" , affinché i loro giornali si potessero allineare all'ideologia fascista.
Nel novembre del 1926 inoltre fu creata una polizia segreta, l'OVRA (Organizzazione per la Vigilanza e la Repressione dell'Antifascismo) e un Tribunale speciale per la sicurezza dello Stato, il cui giudizio non offriva nessuna imparzialità, tanto che chiunque poteva essere mandato al "confino". I lavoratori furono inquadrati nelle corporazioni, controllate dallo Stato fascista. Tra gli imprenditori e i lavoratori non potevano pi sussistere lotte e conflitti di classe, ma solo un fine comune che doveva coincidere con gli interessi dello Stato fascista. Furono vietati gli scioperi ( che in quel periodo erano molto frequenti per le condizioni di lavoro dei salariati e per la crescente disoccupazione ) e le derrate e fu istituita la magistratura del lavoro con il ruolo di risolvere le controversie sindacali. Sebbene ci furono dei miglioramenti per quanto riguarda la condizione dei lavoratori (conservazione del posto di lavoro in caso di malattia, indennit¦ di licenziamento e assegni familiari), i sindacati fascisti non riuscirono a limitare lo strapotere e gli interessi dei datori di lavoro e pertanto furono uno strumento per far pesare la logica di "potenza" del fascismo sui lavoratori.
Per rendere pi solide le proprie basi il partito fascista fece ricorso anche ad una martellante propaganda, fatta dalla stampa, dalla radio, dal cinema, dai testi scolastici e dalle organizzazioni del partito. Alimentò il consenso della popolazione italiana anche la realizzazione e l'attuazione di numerose opere di assistenza e previdenza sociale: a partire dal 1933 iniziarono la loro attività l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INSP), l'Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL), l'Ente Nazionale per la Prevenzione degli Infortuni (ENPI), l'Opera Nazionale Maternità ed Infanzia (ONMI). Nel 1942 nacque l'Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza per i Dipendenti Statali (ENPAS), l'anno successivo l'Istituto per l'Assicurazione contro le Malattie (INAM). Il fascismo poté inoltre contare sul sostegno degli imprenditori, ai quali venne assicurato il controllo sulla manodopera e un basso costo del lavoro. I lavoratori, eliminata ogni loro forma di organizzazione, dovevano accettare che i loro interessi fossero subordinati rispetto al progetto superiore del partito fascista.
Nel settore dell'istruzione, il fascismo attuò forme di controllo sull'operato degli insegnanti e sulla loro fedeltà, impose un libro di testo unico nelle elementari e vigilò sui testi in adozione nelle secondarie. Fu molto attivo nella cura di organizzazioni che raccoglievano e inquadravano i cittadini, come l'Opera Nazionale Balilla, che aveva lo scopo di formare i giovani secondo gli ideali fascisti e si avvaleva di attività sportive ed esercitazioni paramilitari. I bambini sino ai dodici anni venivano inquadrati come "figli della lupa". I più grandi, dai dodici ai diciotto erano "balilla" e, poi, "avanguardisti". I giovani oltre i diciotto anni entravano nei Fasci Giovanili e nei Gruppi Universitari Fascisti (GUF). Nel 1937 tutte le organizzazioni giovanili fasciste furono fatte confluire nella Gioventù Italiana del Littorio, per un inquadramento pi sistematico e pianificato.Ci fu anche un irreggimento delle forme del tempo libero: venne creato il Dopolavoro Nazionale, vennero rafforzate le attività sportive, inquadrate nel Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), vennero offerte numerose facilitazioni per viaggi e svaghi collettivi.
UN TOTALITARISMO IMPERFETTO
Il regime fascista non riuscì mai ad esercitare un totale controllo sulle masse e sulla società italiana, poiché il suo potere era fortemente limitato da due forti istituzioni: la corona e la Chiesa. Per quanto riguarda il re, egli non si dimostrò mai un effettivo pericolo per Mussolini, anche perché non intervenne mai contro di lui. Non bisogna dimenticare comunque che egli era il capo dell'esercito, un esercito di italiani che aveva giurato fedeltà al monarca e non al duce. Per quanto invece riguarda la Chiesa, un'entità molto forte in Italia vista anche la vicinanza geografica col Vaticano e la forte presenza di cattolici nel Paese, Mussolini cercò di prendere subito accordi col Papa, per evitare che questi intervenisse a suo svantaggio. Così nel '29 il cardinale Gasparri e Mussolini sanciscono i "Patti Lateranensi", che includono vari provvedimenti:
1. Un trattato chiude la questione romana con il reciproco riconoscimento delle legittime sovranità nazionali: al Papa spetta la Città del Vaticano, al re e al governo spetta l'Italia.
2. Lo Stato italiano si impegna a risarcire in denaro la Chiesa per la perdita dei territori dell'ex Stato della Chiesa.
3. Con il Concordato vengono accordati particolari privilegi all'interno dell'Italia in favore della religione cattolica: il suo insegnamento sarà obbligatorio all'interno della scuola, il matrimonio cattolico sarà riconosciuto anche con valore civile, gli espulsi dall'ambito ecclesiastico per opera della Chiesa stessa non avrebbero avuto incarichi pubblici statali, ecc. .
In ogni caso, il fascismo si è dimostrato più debole degli altri regimi anche perché, mentre nazismo e stalinismo hanno sempre cercato di subordinare lo Stato al partito, in Italia è avvenuto il contrario: al centro del regime c'era lo Stato. Inoltre, mentre gli altri regimi totalitari hanno cercato di organizzare la società in modo che la sovranità fosse interamente nelle mani del potere esecutivo o dell'apparato amministrativo, totalmente assoggettato al regime, in Italia ciò non è stato possibile. Infatti il fascismo ha "riciclato" l'amministrazione del periodo precedente che, chiaramente, ha potuto "fascistizzare" solo superficialmente con l'uso della forza; è quindi inevitabile che essa tenda a frenare il cammino del regime.
POLITICA ECONOMICA
La ripresa dello sviluppo (1922-1926)
Gli anni successivi alla firma dell' armistizio nel 1918 sono interessati da una crisi economica di breve durata ma forte intensità dovuta all' incapacità dell' economia italiana di adattarsi alle nuove condizioni determinatesi con il termine del conflitto.
La crisi fu superata ben presto infatti già nella seconda metà del 1921, prima ancora perciò dell' avvento del Fascismo, quando si registrò un incremento della produzione industriale: il prodotto interno lordo crebbe in questo quadriennio con un tasso medio del 3,8%. Considerevole fu soprattutto la crescita avuta dal settore manifatturiero alla quale partecipò anche l' agricoltura che in questi anni visse un periodo di particolare floridezza.
Il modello di sviluppo seguito in questo primo quadriennio di potere del Fascismo assomigliò per molti aspetti a quello dell'età giolittiana accentuandone, però, le caratteristiche di liberismo ecomnomico. In questo senso procedette l'allora ministro delle Finanze Alberto DE STEFANI (1922-1925) il quale eliminò immediatamente il progetto della nominatività dei titoli azionari manovra che permise fra l'altro di ricevere il grande consenso della classe imprenditoriale. Perseverò su tale linea eliminando qualsiasi forma di controllo da parte dello stato all' interno delle questioni lavorative, ampliando il diritto allo sciopero e con l'annullamento del monopolio statale sulle assicurazioni sulla vita.
L'economia italiana vive una fase di sviluppo non indifferente determinata in principal modo da una serie di congiunture favorevoli più che dall'opera di De Stefani. Il termine del conflitto infatti aveva indebolito fortemente la Germania la quale in questo periodo si trova esclusa dal mercato europeo dando spazio così ad altri concorrenti tra cui l'Italia. Inoltre il vincolo economico estero fu superato dal regime fascista con l'utilizzo di una serie di svalutazioni del cambio, manovre queste che con il passare del tempo divennero fatali per l' economia italiana innanzitutto perché incrementavano l'inflazione interna in maniera esponenziale e poi perché creavano la sfiducia dei paesi esteri bisognosi di un cambio stabile. Il merito maggiore di De Stefani fu quello di riportare il bilancio statale al pareggio ottenuto tramite un taglio delle spese che non ha eguali nella storia del nostro paese e impegnando maggiori capitali verso lo sviluppo dell' economia.
Tra "quota novanta " e la grande crisi
Con il discorso del 3 gennaio Mussolini inaugura il vero e proprio regime dittatoriale in Italia evento che naturalmente determinò un lento mutamento anche della politica economica. Così nel luglio del 1925 Mussolini sostituì il liberale De Stefani con il più autoritario e fedele ministro delle Finanze Giuseppe VOLPI che allora era quello che formulava e realizzava la politica economica poiché con le leggi fascistissime aveva assunto anche i poteri del Tesoro. Il nuovo ministro aveva sostanzialmente due compiti: negoziare una sistemazione del debito di guerra con gli Stati Uniti e stabilizzare il cambio.
L'opera di Volpi si mosse su un campo molto più ampio. L'agricoltura italiana stava vivendo un periodo stagnante, necessario allora sembrò l' intervento dello stato che impose una serie di dazi sull' importazione del grano incoraggiando così la produzione nazionale giungendo all' autosufficienza dei consumi. Con tale manovra nota come BATTAGLIA del GRANO però si ottenne l' estensione delle aree coltivate a frumento con la conseguente sottrazione di terreno a coltivazioni maggiormente competitive a livello internazionale ed inoltre, incentivando il settore agricolo così facendo, si rallentò lo sviluppo industriale bisognoso di una manodopera non pi legata alle poco remunerative attività agricole.
Tra la fine del 1925 e l' inizio del 1926 Volpi condusse in porto a New York e a Londra le trattative per la sistemazione del debito di guerra. Notevole fu il tempismo di queste operazioni: all' inizio dell' estate infatti la lira fu trascinata insieme al franco belga e francese in una crisi che la svalutò sino ad un cambio di oltre 150 per sterlina. Mussolini allora nel Discorso di Pesaro annunciò la "battaglia della lira" che aveva come fine ultimo il raggiungimento della cosiddetta QUOTA NOVANTA.
Ciò però portò parallelamente ad un aumento sostanzioso dell' inflazione con la conseguente compressione dei salari e diminuzione del costo del lavoro. Le industrie, soprattutto quelle pesanti che indirizzavano la loro produzione all' interno, trassero vantaggio dalla diminuzione dei costi di importazione delle materie prime. Il 1927 fu un anno di ristagno economico superato seppur in modo parziale grazie ad una serie di provvedimenti fortemente autoritari che porranno le basi per il CORPORATIVISMO nel settore lavorativo. Nel patto di Palazzo Vidoni furono riconosciuti la Confederazione Generale Italiana dell' Industria e la Confederazione dei Sindacati Fascisti gli esclusivi rappresentanti delle due parti sociali: padroni e lavoratori.
Venne vietato il diritto allo sciopero e si istituì la Magistratura del Lavoro incaricata di risolvere le questioni relative a contratti di lavoro collettivi. Si sciolsero i sindacati cattolici CIL e quello socialista CGL e con la Carta del Lavoro si posero le basi per costituire uno stato corporativo in cui le corporazioni di singole attività produttive avrebbero trovato la conciliazione dei singoli interessi. Per dare vita a nuovi posti di lavoro e placare gli animi dei lavoratori e contemporaneamente manifestare la grandezza del regime si diede inizio alla costruzione di grandi opere pubbliche: bonifica delle paludi pontine, costruzione acquedotto pugliese, imponenti costruzioni stradali e la revisione dell’ urbanistica di Roma.
La grande crisi
La ripresa dopo la recessione del 1927 non durò a lungo, infatti a causa di eventi concomitanti, primo fra tutti la particolare instabilità dell’ economia mondiale degli anni Venti, l’Italia sul finire dell’ estate del ‘29 vide l’inizio della pi grande crisi verificatasi nella storia postunitaria. Fu investito il settore industriale la cui produzione irenai in modo vertiginoso, esente non fu anche il settore agricolo il quale non soffrì tanto la diminuzione della produzione quanto pi per il ribasso notevole dei prezzi. La grande crisi può essere suddivisa in due principali periodi: il primo che va dall’ estate del 1929 sino alla fine del 1931 e quello successivo che va dal 1932 sino alla ripresa autarchico-bellica del 1935. Tra 1929 e 1932 la produzione manifatturiera italiana diminuì con un tasso medio variabile tra il 5.3% ed il 9.2%. Come ovvia conseguenza abbiamo l’ aumento della disoccupazione ed il conseguente calo dei prezzi, ma in tale situazione furono coinvolte anche le grosse banche che possedevano quote di partecipazione agli utili delle aziende. La situazione appariva preoccupante: si era innestato un circolo vizioso dal quale con molta difficolt¦ se ne sarebbe usciti visto anche la particolare scena internazionale. La sterlina si era staccata ed insieme a lei le monete di altri numerosi paesi dal sistema aureo, ciò portò ad una conseguente sopravvalutazione della lira. Di ben maggior entità sarebbe potuta essere tale crisi se non vi fosse stato un massiccio intervento dello stato attuando una serie di salvataggi bancari che permisero se non altro di arginare il focolaio di un crollo finanziario. I due strumenti di cui si servì lo stato per attuare il salvataggio pubblico del sistema economico furono l’ Istituto Mobiliare Italiano (IMI) e l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), con il primo lo stato si sostituiva al sistema bancario per il finanziamento a breve o a lungo termine di iniziative industriali, con il secondo acquistava quote azionarie di imprese private per poi risanarle.Con questa serie di riforme si veniva a costituire uno stretto rapporto tra stato e industria la quale godeva di una serie di vantaggi (sgravi fiscali, commesse pubbliche…) ai quali però si doveva dimostrare riconoscente.
L’economia autarchico-bellica
L’ Italia può dichiarare realmente terminata la crisi nel 1935, quando iniziò l’ invasione dell’ Abissinia che di per sé dal punto di vista economica non fu una delle scelte pi felici attuate dal regime visti i costi e i benefici ricavati. Tale impresa servì però a dare un po’ di sollievo all’ industria grazie all’ aumento della domanda dovuta alle commesse belliche. Da questo momento in poi il regime seguÏ in campo economico la linea autarchica che consisteva nel consumare e nel produrre solo ed esclusivamente prodotti nazionali.
Con tali stimoli l’ industria manifatturiera italiana crebbe tra 1934 ed il 1937 con un tasso medio annuo del 7.5%. Parallelamente all’ autarchia il regime tentò un politica aggressiva che gli permettesse la conquista di nuovi mercati e sollecitasse la produzione bellica.
POLITICA INTERNA
La secessione dell’ “Aventino”, decisa da coloro che erano contrari a Mussolini e al fascismo, non conclude nulla tanto che il re Vittorio Emanuele III, come aveva già fatto due anni prima, ripone piena fiducia nel fascismo dando in pratica avvio alla vera e propria dittatura fascista.
Questa dittatura inizia, e questo lo fa capire lo stesso Mussolini, il 3 gennaio 1925 quando alla Camera “il capo di una associazione a delinquere”, come definisce se stesso ed il suo partito, opera un discorso violento nel quale invita i nemici ad accusarlo davanti alla Corte di Giustizia (in base all’ art.47), annuncia la soppressione di qualsiasi forma di illegalità, “compresa quella fascista”, (arrivando a scaricare nello stesso giorno i tre quadrunviri Balbo, Di Bono e De Vecchi fondatori della milizia) e dichiara l’imminente adozione di nuove leggi, le cosiddette “leggi fascistissime”, quasi tutte preparate dal nuovo ministro della Giustizia Alfredo Rocco il quale in soli undici giorni è capace di stilare 2376 decreti legge tutti approvati in pochi giorni, tra i quali figura anche una nuova legge elettorale uninominale.
Cominciano così ad essere varate alcune leggi che limiteranno soprattutto la libertà del singolo all’ interno del nuovo stato totalitaristico, come ad esempio il primo decreto emendato già nove giorni dopo il discorso di Mussolini nel quale si proibiva l’apertura di alcuni circoli (245!) e qualsiasi tipo di associazione (145!). Lo stato totalitario comincia ad entrare ed a prendere possesso anche del mercato borsistico, delle reti telefoniche e degli impieghi pubblici. Al posto di ogni associazione d’ operai viene creato un unico organismo sotto il diretto controllo del partito fascista: il Dopolavoro (OND). Nascono e si impongono nuovi slogan perentori (“Credere, obbedire,combattere” o “Il Duce ha sempre ragione”) che fanno capire chiaramente chi ormai detiene il potere assoluto in Italia, potere che fa in modo che il 24 dicembre una legge stessa di Mussolini lo irenaica Capo del Governo (invece di Presidente del Consiglio) con la facoltà di nominare o revocare i ministri e quindi emanare leggi senza l’ approvazione delle Camere. Bisogna fare attenzione anche al fatto che il Duce tra l’ aprile e l’ agosto di quello stesso anno assunse la carica di capo delle tre forze armate dopo aver fatto dimettere il Ministro della Guerra e quello della Marina, e dopo aver creato il nuovo ministero dell’ Aeronautica.
Nel 1925 vengono conclusi molti accordi tra il governo e gli industriali, i quali, in cambio di accettare solo rapporti con i sindacati fascisti (2 ottobre: “Patto di Palazzo Vidoni”) e di prendere la tessera del partito, ottengono il cambio dei Ministri delle Finanze e dell’ Economia ed una poltrona nel Gran Consiglio del Fascismo. Inoltre molti industriali ricevettero le quote dei giornali non allineati al nuovo regime, i quali dovettero fare i conti a partire dalla mezzanotte del 31 dicembre 1925 con la rigorosa “Legge sulla Stampa”che apportava notevoli restrizioni. Nello stesso anno iniziano la “battaglia del grano”, per rendere autonoma la produzione del grano in Italia, e i lavori di ristrutturazione nella capitale. A causa di numerosi incidenti causati da squadre fasciste non fermate dal sindaco di Firenze, viene istituito, il giorno 8 ottobre, il Podestà, che sostituisce il sindaco acquisendo pi poteri, nominato dal Prefetto fascista. Nel frattempo gli aventiniani, ancora distaccati dalla Camera, vengono messi fuorigioco prima dalla stampa controllata da Mussolini, ed in seguito dall’ articolo 49 dello statuto che dichiara decaduto il loro mandato dando sempre pi potere al PNF (Partito Nazionale Fascista) che l’ 8 ottobre 1926 vara il nuovo statuto ancora pi rigido e rigoroso, e nel quale Mussolini nomina direttamente, senza elezioni interne, i membri del direttivo. Quattro giorni dopo, il 12 ottobre, il Duce assume personalmente il comando della Milizia varando anche una serie di provvedimenti per “la difesa dello Stato”, facendo revocare i passaporti, istituendo il confino nelle isole, sciogliendo le associazioni ed introducendo la pena di morte.
Dal punto di vista economico viene inaugurata, nell’ agosto del’ 26, la battaglia per la “QUOTA 90” (cambio della sterlina a 90 lire), per una rivalutazione della lira, in luglio nasce il Ministero delle Corporazioni che sovrintende alla produzione, e tra maggio e settembre alla sola Banca d’ Italia viene affidata l’ emissione della moneta ed il totale controllo bancario. Ma il rovescio della medaglia è il blocco delle esportazioni a causa della lira forte. Ciò porta ad un crollo della Borsa con una conseguente riduzione di tutti i salari (dal 10 al 20%), fino al cosiddetto “punto M”, e l’ aumento della disoccupazione. Iniziano in questi anni i numerosi contatti con le altre nazioni: a Londra vengono diminuiti i debiti di guerra italiani e vengono permesse attività economiche in Somalia, bloccate però dal veto della Società delle Nazioni; inizia il problema dell’ Alto Adige; iniziano i contatti tra lo Stato e la Chiesa; vengono siglati accordi economici e politici con la Yugoslavia, l’ Egitto, la Romania, lo Yemen e l’ Albania, e nel’ 27 con l’ Ungheria e la Francia. Per migliorare l’affermazione dello Stato viene organizzata l’ Opera Nazionale Balilla (ONB) in cui vengono inquadrati i ragazzi a seconda dell’ età, ed inoltre viene istituita l’ Accademia d’ Italia, dopo la fondazione del CNR e dell’ istituto Treccani, anche se con molti problemi causa il dissenso ed il rifiuto di Croce ad essere nominato accademico. Ma la propaganda (specialmente quella attraverso stampa e radio) non basta e così il 1 febbraio 1927 inizia la sua attività il Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Quest’ espressione di forza è l’ Organizzazione per la Vigilanza e la Repressione dell’ Antifascismo (OVRA), in sostanza una speciale polizia segreta contro gli oppositori del fascismo.
Nel’ 27 continua lo sforzo economico che, dopo l’ approvazione della nuova Carta del Lavoro il 22 aprile, nella quale compare l’ ordinamento corporativo per organizzare meglio la produzione, porta ad una ripresa che culmina nel biennio pi prolifico dell’ era fascista. Il 1928 è l’ anno in cui il regime inizia le grandi opere pubbliche, prima fra tutte la bonifica dell’ Agro Pontino (14 dicembre) e l’ apertura della rete viaria (sotto l’ANAS) al turismo estero, nuova fonte di guadagno. La stabilità economica ormai raggiunta permette la formazione di nuovi “aiuti” sociali: vengono creati gli Uffici di Collocamento, esenzioni fiscali per le famiglie numerose, assicurazioni obbligatorie alle malattie e sugli infortuni, nasce l’ INPS per le pensioni, nasce il CONI che si dedica allo sport soprattutto giovanile. D’ altra parte nascono nuovi obblighi come quello dell’unico testo scolastico e del divieto di emigrazione interna, mentre in politica estera vengono stipulati nuovi trattati di pace con l’ Albania, la Grecia, la Turchia e la Romania, anche se a Parigi il 27 agosto viene firmato il patto Briand-Kellog che in seguito sbarrerà la strada a Mussolini, il quale comincia proprio in quest’ anno ad entrare in contatto con Hitler.
Nel frattempo il contatto pi importante all’ interno dello Stato italiano da parte di Mussolini era con la Chiesa, e proprio il giorno 11 febbraio 1929 avviene la firma dei Patti Lateranensi nei quali la Santa Sede riconosce il Regno d’ Italia con capitale Roma in cambio di alcuni finanziamenti, di mezzo chilometro quadrato di territorio romano (lo Stato del Vaticano), e di alcuni riconoscimenti come la religione di Stato, il “matrimonio cattolico” con effetti civili, l’ istruzione religiosa a scuola. Ma la Chiesa, pur accettando l’ obbligo del giuramento per i vescovi, non “ottiene” l’ educazione dei giovani operata prima dall’ Azione Cattolica, e ora dall’ ONB. Questa operazione porta ancora pi consenso verso il Fascismo da parte dell’ opinione cattolica, e questo si rispecchia nelle elezioni 35 giorni dopo: il 24 marzo vi è un vero plebiscito, e anche se non votano 8oo mila italiani, i contrari al regime sono solo l’ 1,6%. Il ‘29 è l’ anno della crisi mondiale a causa del “giovedÏ nero”di Wall Street (24 ottobre), ma proprio perché l’ economia è controllata dal regime, l’ inflazione viene sentita molto meno rispetto ai paesi che concentrano tutto sugli USA. Ma l’ impossibilità di esportazioni e le continue lamentele dei grandi imprenditori fanno in modo che vengano create l’ IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) e l’ IMI (Istituto Mobiliare Italiano) per aiutare i privati sempre pi bloccati dai debiti con le grandi banche. Il sistema corporativo che si sta consolidando salva un po’ l’economia italiana e grazie agli investimenti pubblici sono incrementate le bonifiche in ogni settore. Tra gli altri fatti importanti del 1929, oltre al primo Codice della Strada, emanato il 18 gennaio, c’è da segnalare il fatto che Mussolini abbandona 7 degli 8 ministeri che aveva nelle mani, affidandoli ai suoi collaboratori (Grandi, De Bono, Gazzera, Siriani, Balbo, Bianchi, Bottai, Acerbo, Rocco e Ciano). Mussolini mantiene il Ministero degli Interni, si ritira nella sala del Mappamondo a Palazzo Venezia e diventa il Duce.
Dopo alcuni colloqui con diversi mediatori, nel tentativo di una revisione dei trattati troppo discriminanti per alcuni Paesi, Mussolini inizia un riarmo specialmente navale imitando come tonnellaggio la Francia, la quale si era sempre opposta al riarmo italiano. In questo periodo, nel 1931, avvengono due fatti tutt’ altro che marginali: viene varato il nuovo Codice Penale, artefice del quale è Alfredo Rocco allora ministro della giustizia, e viene nominato irenai come nuovo segretario del Partito Fascista. E’ proprio lui che fa cambiare in tutto le abitudini degli Italiani: dalle divise al nuovo vocabolario, dalle parate alle manifestazioni sportive. Inoltre è lui che inventa il “saluto romano” (alzata del braccio a 170 gradi, mano distesa, aperta, dita unite, tutto accompagnato dal grido “Viva il Duce”). Mentre il modello americano sta perdendo lentamente fiducia dopo il crollo del ‘29, il Fascismo diventa il movimento pi apprezzato in tutto il mondo (in base ai sondaggi americani che ritengono Mussolini “il pi grande uomo del mondo” e alle Università che istituiscono corsi per lo studio del Fascismo). Ma l’ opinione pubblica non rimane affascinata da imprese militari o politiche, ma nel mondo l’ Italia viene conosciuta attraverso la tecnologia (imprese aeronautiche) e lo sport (vittorie alla X Olimpiade a Los Angeles ed altri trionfi in tutti gli sport). Inoltre viene “vinta la battaglia del grano” e l’ Italia è finalmente indipendente nella produzione del grano per il fabbisogno nazionale, mentre vengono completate numerose autostrade e strade importanti (ad esempio Via della Conciliazione a Roma). Nel 1933 avviene un ulteriore contatto tra Mussolini e gli industriali: la Confindustria appoggia totalmente il regime, e grazie alle esportazioni ed al sistema corporativo gli industriali acquistano ancora pi potere specialmente nel triangolo industriale. Per i lavoratori inoltre nascono due nuove istituzioni in marzo: l’ INAIL e l’ INPS e diventa operativo l’ IRI.
Mentre in Germania Hitler inizia la sua scalata, Mussolini prima 6 costretto a fare da mediatore nel “patto a quattro”, il 7 giugno, tra Francia, Inghilterra e Germania, poi diventa il Capo Supremo delle Forze Armate il 6 novembre dopo aver licenziato i due ministri della Marina e dell’ Aeronautica (Balbo e irenai). L’anno dopo, il 1934, Hitler assume il potere in Germania e si auto proclama Führer, e mentre in Italia avviene un secondo plebiscito (99,84% per il Fascismo) avviene il primo incontro a Venezia fra il Führer ed il Duce che , anche se non idilliaco, porterà ad una altalenante coalizione. La legge sulla preparazione militare, soprattutto infantile, sembra l’ avvio di una politica espansionistica che si dimostra il 30 dicembre 1934 a causa di alcuni incidenti a Ual Ual. Iniziano così i preparativi per una guerra che segretamente viene appoggiata da Francia e Inghilterra, mentre la Società delle Nazioni, che inizialmente dà carta bianca a Mussolini, in seguito impone sanzioni economiche per le azioni militari in Abissinia. Inoltre l’Europa è scossa dalla dichiarazioni assai pesanti che Hitler rivolge all’ indomani del voto nella regine della Saar. Il 2 ottobre 1935 inizia la guerra (Mussolini la annuncia dal balcone di Palazzo Venezia) con al comando De Bono, il quale a causa della sua indecisione verrà sostituito da Badoglio che risulterà vincitore grazie ai gas e alle armi irenaica e ce sganciate sui nemici il 23 e il 24 dicembre. Il 5 maggio 1936, dopo una vera e propria gara tra i vari comandanti per chi sarebbe arrivato per primo all’ interno della capitale, Badoglio entra ad Addis Abeba e viene nominato irena, Duca d’Addis Abeba. Così 4 giorni dopo Mussolini annuncia “la rinascita dell’ Impero sui Colli fatali di Roma”, dando un durissimo colpo agli antifascisti dei quali alcuni preferirono allora fare marcia indietro e allinearsi al Fascismo. Ma la vittoria non fa altro che nascondere le enormi difficoltà economiche aggravate inoltre dalle sanzioni punitive dichiarate dalla Società delle Nazioni: calo delle riserve auree, debiti con le industrie, sopravvalutazione della lira, insufficienza del fabbisogno del grano. Inizia così l’ economia autoritaria e gli Italiani dimostrano la loro arte di sapersi arrangiare creando nuovi materiali o nuovi prodotti soltanto da quelli presenti in patria. Infine vi è la raccolta dell’ “Oro per la Patria”, e persino la regina Elena si tolse la fede e la mise nel crogiolo come dimostrazione, ed il boom del pesce, cibo molto economiche rispetto alle carni di importazione. Parte quindi l’ economia nazionalistica (l’ Autarchia) che si affianca al “Capitalismo di Stato” e al “Corporativismo” (forze sociali e produttori).
Il 17 luglio 1936 scoppia la guerra civile spagnola ed il filo-fascista generale Franco viene prontamente aiutato militarmente da Hitler e soprattutto da Mussolini. Il Duce ed il F¸hrer iniziano a collaborare ed infatti il 24 ottobre nasce l’ ASSE ROMA-BERLINO, un patto per la lotta contro il bolscevismo e per il blocco delle tensione nell’ Europa dell’ Est. Nel 1937 l’ anno si apre con l’ abolizione del Capodanno spostato il 22 ottobre, giorno della marcia su Roma, causa il bisogno di staccarsi dal passato borghese. In marzo in Libia e il 25 settembre in Germania, Mussolini riceve enormi manifestazioni di consenso (“persino più di Hitler” lui crede) e comincia a ritenersi il nuovo Alessandro Magno colui che può unire pi razze sotto lo stesso Impero. Infine il 27 ottobre viene dato avvio al GIL (Gioventù Italiana Littorio) che assorbe l’ ONB inquadrando tutte le associazioni in un ordine di tipo militare. Il 1938 è l’ anno in cui inizia la caduta di Mussolini anche se all’ inizio solo gli intellettuali pi acuti e lui stesso sanno questa cosa. Hitler dopo aver invaso l’Austria, comincia a premere sulla Cecoslovacchia ma grazie alla mediazione di Mussolini durante una conferenza a Monaco il 29 settembre, la guerra sembra scongiurata o almeno rinviata. I rapporti fra i due capi di destra si intensificano ed il Duce emana il 3 agosto, emulando Hitler, le leggi razziali sugli Ebrei giungendo persino alla deportazione nei lager tedeschi. Però mentre in Italia Mussolini comincia ad essere in crisi, un gruppo di Italiani fa la storia in America: si tratta di Enrico Fermi e del suo gruppo che scopre l’ energia nucleare sotto la protezione americana dopo che i primi esperimenti erano stati fatti proprio a Roma.Viene inoltre varato il nuovo Statuto del PNF che, tranne qualche modifica, rimarrà in vigore fino alla fine di Mussolini.1939: l’ inizio della fine.
Il 19 gennaio la Camera dei Deputati viene sostituita dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni che rimarrà fino al 1943. In aprile, sempre ad imitazione di Hitler, Mussolini invia un ultimatum all’ Albania e, senza alcuno scontro, Re Vittorio Emanuele III riceve la Corona d’ Albania. Il 22 maggio avviene la firma del “Patto d’ Acciaio” che però è pieno di incertezze, di vuoti e di “tranelli”, uno dei quali verrà utilizzato dal Duce per non entrare subito in guerra, anche perché l’Italia non possedeva nulla per poter fare la guerra (le richieste di aiuti al Führer erano esorbitanti) e perché Mussolini era furioso per il patto tra Hitler ed i bolscevichi, suoi nemici da sempre. Le incrinature nel patto tra fascismo e nazismo sono già visibili e l’ anno quindi si chiude con l’ Italia “non belligerante” mentre Hitler, che l’ aveva sfruttata, iniziava a conquistare l’Europa.
POLITICA ESTERA: PRIMA FASE (1922/1935)
In politica estera, nel periodo compreso tra il 1922 e il 1935 Mussolini mantiene una duplicità di atteggiamenti:
1) Orientamento non ostile verso Francia e Gran Bretagna dovuto alla consapevolezza della disparità di forze fra Italia e grandi potenze (ad esempio sostiene la Francia nelle sue rivendicazioni sulla questione delle riparazioni e nell’occupazione della Ruhr).
2) Volontà di accentuare gli aspetti revisionistici dei trattati di pace per la ricerca di un prestigio internazionale attivismo diplomatico
Quest’ultimo atteggiamento si manifesta in varie azioni politiche e militari:
Occupazione di Corfù, come reazione all’assassinio di un generale italiano alla frontiera greco-albanese, che si risolve, grazie alla mediazione della Gran Bretagna, con il trattato di Roma fra Italia e Iugoslavia, che prevede il passaggio di Fiume sotto sovranità italiana.
Politica di sostegno alle nazioni “sconfitte” nell’area balcanico-danubiana, in contrapposizione alla politica stabilizzante condotta dalla Francia, appoggiandosi alle nazioni ‘vincitrici’ (Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia), attuata da Mussolini che vede delle possibilità di espansione nell’Europa centro-orientale e che vuole contrastarvi l’influenza assunta dalla Francia.
In questa prospettiva si devono dunque considerare:
• il trattato di amicizia e collaborazione con l’Albania (Albania sotto tutela italiana)
• gli accordi con Romania e Bulgaria
• il trattato di amicizia con l’Ungheria
Nonostante queste iniziative, comunque, la politica italiana fino al 1930 non si spinge mai ad un’aperta rottura con le due grandi democrazie occidentali, come dimostra l’equilibrato atteggiamento tenuto dall’Italia nella Conferenza di Londra sul disarmo navale ( durante la quale si fissano limiti più severi allo sviluppo della flotta britannica, francese, statunitense, giapponese e italiana).
Anche successivamente, con l’avvento di Hitler al potere e con le prime rivendicazioni tedesche in materia di riarmo, l’Italia ,temendo i rischi di un’iniziativa tedesca promuove il patto a quattro con il quale Italia, Germania, Gran Bretagna e Francia riconoscono il principio di una necessaria revisione dei trattati di pace, pur impegnandosi al mantenimento della pace .
In realtà l’obiettivo previsto non viene raggiunto per le proteste degli Stati Balcanici e dell’URSS che inducono la Francia a pretendere che ogni revisione avvenga nel quadro della Società delle Nazioni.Tuttavia Mussolini continua a porsi come mediatore tra la Germania e le democrazie occidentali, accorda successivamente la protezione all’Austria e inoltre accetta un accordo con la Francia, in senso anti-tedesco (7 gennaio 1935), che nella sua parte esplicita prevede alcune rettifiche sulla frontiera somala a vantaggio dell’Italia in cambio dell’impegno a garantire l’indipendenza dell’Austria; nella sua parte segreta la Francia lascia poi campo libero alle aspirazioni dell’Italia sull’Etiopia. Sempre nel 1935, inoltre, l’indirizzo anti-tedesco di Italia, Francia e Inghilterra si manifesta nel PATTO DI STRESA, con il quale viene condannato il riarmo tedesco e viene ribadito l’impegno per l’indipendenza austriaca e per l’integrità delle frontiere concordate a Locarno nel 1925.
Conseguentemente al consolidamento della posizione internazionale assunta dopo gli accordi con Francia e Inghilterra e come alternativa all’emigrazione,fenomeno sviluppatosi in conseguenza della crisi economica,
Mussolini ritiene giunto il momento di rivolgersi alla CONQUISTA MILITARE DELL’ETIOPIA. Le operazioni di guerra, iniziate il 2 ottobre 1935, sono condotte su due fronti:
• dalla parte dell’Eritrea
• dalla parte della Somalia
La superiorità italiana è ben presto evidente e il 5 maggio 1936 Badoglio entra vittorioso nella capitale etiopica.Quest’impresa pone subito dei problemi di equilibrio internazionale, in quanto l’Etiopia è stata precedentemente riconosciuta come Stato sovrano e ammessa nella Società dell Nazioni. Inizialmente vi sono delle manifestazioni di protesta dell’opinione pubblica inglese e dei tentativi di mediazione da parte di Francia e Inghilterra, ma dopo l’invasione la Società delle Nazioni condanna l’Italia e adotta contro di essa sanzioni economiche. Propio queste sanzioni vengono utilizzate dal regime fascista a fini propagandistici per mobilitare l’opinione pubblica contro le democrazie ricche dell’Europa e in questo atteggiamento si può vedere l’inizio della rottura con Francia e Inghilterra.
POLITICA ESTERA: SECONDA FASE (1935/1939)
In Germania,dopo la crisi economico-sociale e la definitiva caduta della Repubblica di Weimar, si assiste all’affermazione del nazismo e all’ascesa di Hitler. Ben presto si avverte la sua volontà di modificare la situazione internazionale e i trattati di pace. Abbiamo, infatti, i seguenti avvenimenti:
• decisione di far uscire la Germania dalla Società delle Nazioni (1933)
• ritorno dei territori della Saar alla Germania con un plebiscito (1935)
• ripristino della leva militare obbligatoria, riarmo terrestre e aereo
Queste ultime decisioni causano la reazione di Francia, Gran irenaic e Italia che si accordano nel “Patto di Stresa”. Inoltre la decisione di Hitler, dopo aver dichiarato deceduta l’intesa di Locarno, di occupare la Renania (smilitarizzata per effetto del trattato di Versailles) determina la condanna, sebbene puramente formale, della Germania da parte della Società delle Nazioni.
In seguito l’instabilità degli equilibri internazionali si rivela con chiarezza allo scoppio della guerra di Spagna. Qui, dopo la crisi della dittatura del generale Miguel Primo de Rivera e l’affermazione della Repubblica (1931), erano sorti dei contrasti tra i democratici (che ottengono il successo alle elezioni del 1931 e successivamente del 1936 con il Fronte popolare) e le forze di destra (che ottengono il successo alle elezioni del 1933),che sfociano nel colpo di Stato militare di Francisco Franco, organizzato dalle forze di destra . Il 17 luglio 1936 le sue truppe, stanziate nel Marocco spagnolo, si ribellano al governo repubblicano e contemporaneamente insorgono le guarnigioni di molte altre città spagnole; le forze ribelli riescono ad occupare la parte nord-occidentale del Paese. Alla Repubblica giunge il sostegno dell’Unione Sovietica e degli antifascisti, mentre Mussolini,da anni legato al fascismo spagnolo, dopo una prima esitazione, si impegna ad appoggiare militarmente Franco (sotto la copertura dell’afflusso di truppe volontarie), pur allineandosi ufficialmente alla linea internazionale di non-intervento, proposta dal leader francese Lèon Blum.
La guerra ,dopo una lunga resistenza delle truppe repubblicane (divise al loro interno tra comunisti, anarchici, trockisti,….), si conclude con la caduta di Barcellona e di Madrid; ma questa vittoria finale rende poco al fascismo italiano: Mussolini non ne ricava né utili materiali (la Spagna non pagherà mai i suoi debiti bellici), né politici (Franco farà la sua politica e al momento opportuno dividerà la sua sorte da quella del fascismo italiano). Tuttavia la guerra riveste grande importanza politica per l’Italia:
• per l’opposizione alla presenza e all’interferenza russa in Spagna
• per l’opposizione all’antifascismo
• per il consolidamento del rapporto tra Italia e Germania con un accordo in funzione anti-comunista (“Asse Roma-Berlino”) definitiva rottura con le democrazie occidentali e allineamento in maniera esplicita dell’italia alla politica tedesca (1936). Nel 1937 viene anche siglato un PATTO TRIPARTITO ,in senso anti-comunista e anti-sovietico, tra Italia, Germania e Giappone.
Il superamento di ogni precedente divergenza tra Italia e Germania è testimoniato dall’annessione dell’Austria alla Germania nel marzo 1938. Mussolini, infatti, si dichiara “indifferente” alle sorti dell’Austria e, anzi, afferma che con l’annessione si è realizzato un sacrosanto principio di autodeterminazione dei popoli, in contrasto con il precedente impegno a garantire l’indipendenza austriaca.
La politica di ‘appeasement’ decisa dalle diplomazie inglese e francese rivela però i suoi limiti nella crisi cecoslovacca, durante la quale Hitler continua la sua politica espansionista, annettendosi il territorio dei irena (una regione della Cecoslovacchia). Di fronte a questa situazione il primo ministro inglese Chamberlain sollecita Mussolini a farsi mediatore di una conferenza internazionale. L’incontro,che si svolge a Monaco tra Hitler, Mussolini, Chamberlaim e Daladier, nel settembre 1938 si risolve però in un totale cedimento alle richieste naziste, dimostrando l’incapacità di affrontare risolutamente l’espansionismo hitleriano. Poco dopo, infatti,le truppe tedesche occupano Praga, stabilendo il protettorato tedesco sulla Boemia e sulla Moravia,e tutto ciò rivela con maggior chiarezza l’inevitabilita di una guerra ormai imminente.
POLITICA ESTERA: L’ENTRATA IN GUERRA
Nell’ aprile del 1939, mentre Hitler decide di rafforzare il suo sistema di alleanze in vista di una guerra, Mussolini prende una nuova iniziativa invadendo l’ Albania: il 12 aprile Vittorio Emanuele lll è proclamato re d’ Albania.
PATTO D’ ACCIAIO: In seguito a questa operazione il 22 maggio 1939 Italia e Germania firmano un accordo per un reciproco aiuto militare, anche se Mussolini afferma che l’ Italia non sarà pronta prima di tre anni. Mentre la Germania invade la Polonia, l’Italia resta neutrale.
27 settembre 1940: PATTO TRIPARTITO: formulato tra Italia, Germania e Giappone, ha come scopo la creazione di un “ordine nuovo” in Europa e in Asia. Valore “totale” della guerra. Adesioni al patto di Slovacchia, Romania e Ungheria.
1939-41: La Germania sconfigge la Francia e riesce irenaica e Parigi. Mussolini vuole a tutti i costi trarre profitto dalle operazioni belliche. Nel 1940 l’Italia entra in guerra. Hitler pianifica l’ invasione dell’ Inghilterra, ma gli inglesi, forti delle idee fortemente contrarie all’ espansionismo tedesco del capo del governo Winston Churchill (conservatore), offrono una tenace resistenza. Fallisce il progetto di guerra-lampo di Hitler.
“GUERRA PARALLELA”: l’ Italia vuole condurre una guerra in autonomia dai tedeschi per conseguire altri obiettivi sul Mediterraneo e sui Balcani. Confronto con la flotta inglese. Dopo le prime vittorie dell’ esercito del Duce (punta Stilo e capo Spada), arrivano le sconfitte di Taranto e capo Matapan.
Africa: sul fronte africano, le truppe italiane comandate dal duca Amedeo D’ Aosta occupano Somalia britannica e Sudan partendo dall’ Etiopia. L’ obiettivo è la conquista dell’Egitto a partire dalla Libia per svantaggiare la Gran Bretagna. L’ offensiva del generale Graziani, comandante delle truppe in Libia, fallisce però a causa della resistenza inglese.
Balcani: il disegno italiano della “guerra parallela” continua con la decisione di invadere la Grecia.; ci sono tuttavia enormi difficoltà a causa dell’ impreparazione dei soldati, del territorio aspro e dell’ accanita resistenza dei greci. Gli italiani sono costretti a retrocedere. Solo il provvidenziale intervento tedesco sia in Africa sia sui Balcani permette la riconquista della irenaica (territorio libico) e la conquista della Grecia, della Iugoslavia e di Creta. Questo intervento sancì il fallimento della guerra parallela, la fine dell’impero coloniale italiano e la definitiva subalternità ai tedeschi. Dopo i primi due anni di guerra, l’”asse Roma-Berlino” sembra avere l’ egemonia in Europa.
GLI INTELLETTUALI FASCISTI
Il Manifesto degli intellettuali fascisti fu elaborato da Gentile a partire da un convegno svoltosi a Bologna alla fine del marzo 1925. Si tratta di un testo importante perché costituisce la prima esposizione organica dei principi teorici del fascismo.
Il testo è suddiviso in tre parti: Le origini, il Fascismo e lo Stato e il governo fascista.
Nella prima, Gentile tenta di presentare il fascismo some l’ultima manifestazione dello spirito risorgimentale, sottolineandone il carattere patriottico; nella seconda, tenta di giustificare la violenza degli squadristi, appellandosi al carattere religioso del fascismo, che impone di sacrificare l’individuo allo stato.
Infatti esso è considerato il bene supremo e irrinunciabile , una sorta di divinità laica, tale da giustificare qualsiasi infrazione alla morale e alla legge.
Giovanni Gentile
Manifesto degli intellettuali fascisti (1925)
Le origini
Il Fascismo è un movimento recente ed antico dello spirito italiano, intimamente connesso alla storia della Nazione italiana, ma non privo di significato e interesse per tutte le altre.
Le sue origini prossime risalgono al 1919, quando intorno a Benito Mussolini si raccolse un manipolo di uomini reduci dalle trincee e risoluti a combattere energicamente la politica demosocialista allora imperante.
La quale della grande guerra, da cui il popolo italiano era uscito vittorioso ma spossato, vedeva soltanto le immediate conseguenze materiali e lasciava disperdere se non lo negava apertamente il valore morale rappresentandola agli italiani da un punto di vista grettamente individualistico e utilitaristico come somma di sacrifici, di cui ognuno per parte sua doveva essere compensato in proporzione del danno sofferto, donde una presuntuosa e minacciosa contrapposizione dei privati allo Stato, un disconoscimento della sua autorità, un abbassamento del prestigio del Re e dell'Esercito, simboli della Nazione soprastanti agli individui e alle categorie particolari dei cittadini e un disfrenarsi delle passioni e degl'istinti inferiori, fomento di disgregazione sociale, di degenerazione morale, di egoistico e incosciente spirito di rivolta a ogni legge e disciplina.
L'individuo contro lo Stato; espressione tipica dell'aspetto politico della corruttela degli anni insofferenti di ogni superiore norma di vita umana che vigorosamente regga e contenga i sentimenti e i pensieri dei singoli.
Il Fascismo pertanto alle sue origini fu un movimento politico e morale. La politica sentì e propugnò come palestra di abnegazione e sacrificio dell'individuo a un'idea in cui l'individuo possa trovare la sua ragione di vita, la sua libertà e ogni suo diritto; idea che è Patria, come ideale che si viene realizzando storicamente senza mai esaurirsi, tradizione storica determinata e individuata di civiltà ma tradizione che nella coscienza del cittadino, lungi dal restare morta memoria del passato, si fa personalità consapevole di un fine da attuare, tradizione perciò e missione.
Il Fascismo e lo Stato
Di qui il carattere religioso del Fascismo.
Questo carattere religioso e perciò intransigente, spiega il metodo di lotta seguito dal Fascismo nei quattro anni dal '19 al '22.
I fascisti erano minoranza, nel Paese e in Parlamento, dove entrarono, piccolo nucleo, con le elezioni del 1921.
Lo Stato costituzionale era perciò, e doveva essere, antifascista, poiché era lo Stato della maggioranza, e il fascismo aveva contro di sé appunto questo Stato che si diceva liberale; ed era liberale, ma del liberalismo agnostico e abdicatorio, che non conosce se non la libertà esteriore.
Lo Stato che è liberale perché si ritiene estraneo alla coscienza del libero cittadino, quasi meccanico sistema di fronte all'attività dei singoli.
Non era perciò, evidentemente, lo Stato vagheggiato dai socialisti, quantunque i rappresentanti dell'ibrido socialismo democratizzante e parlamentaristico, si fossero, anche in Italia, venuti adattando a codesta concezione individualistica della concezione politica.
Ma non era neanche lo Stato, la cui idea aveva potentemente operato nel periodo eroico italiano del nostro Risorgimento, quando lo Stato era sorto dall'opera di ristrette minoranze, forti della forza di una idea alla quale gl'individui si erano in diversi modi piegati e si era fondato col grande programma di fare gli italiani, dopo aver dato loro l'indipendenza e l'unità.
Contro tale Stato il Fascismo si accampò anch'esso con la forza della sua idea la quale, grazie al fascino che esercita sempre ogni idea religiosa che inviti al sacrificio, attrasse intorno a sé un numero rapidamente crescente di giovani e fu il partito dei giovani (come dopo i moti del '31 da analogo bisogno politico e morale era sorta la "Giovane Italia" di Giuseppe Mazzini).
Questo partito ebbe anche il suo inno della giovinezza che venne cantato dai fascisti con gioia di cuore esultante!
E cominciò a essere, come la "Giovane Italia" mazziniana, la fede di tutti gli Italiani sdegnosi del passato e bramosi del rinnovamento.
Fede, come ogni fede che urti contro una realtà costituita da infrangere e fondere nel crogiolo delle nuove energie e riplasmare in conformità del nuovo ideale ardente e intransigente.
Era la fede stessa maturatasi nelle trincee e nel ripensamento intenso del sacrificio consumatosi nei campi di battaglia pel solo fine che potesse giustificarlo: la vita e la grandezza della Patria.
Fede energica, violenta, non disposta a nulla rispettare che opponesse alla vita, alla grandezza della Patria.
Sorse così lo squadrismo. Giovani risoluti, armati, indossanti la camicia nera, ordinati militarmente, si misero contro la legge per instaurare una nuova legge, forza armata contro lo Stato per fondare il nuovo Stato.
Lo squadrismo agì contro le forze disgregatrici antinazionali, la cui attività culminò nello sciopero generale del luglio 1922 e finalmente osò l'insurrezione del 28 ottobre 1922, quando colonne armate di fascisti, dopo avere occupato gli edifici pubblici delle province, marciarono su Roma.
La Marcia su Roma, nei giorni in cui fu compiuta e prima, ebbe i suoi morti, soprattutto nella Valle Padana. Essa, come in tutti i fatti audaci di alto contenuto morale, si compì dapprima fra la meraviglia e poi l'ammirazione e infine il plauso universale.
Onde parve che a un tratto il popolo italiano avesse ritrovato la sua unanimità entusiastica della vigilia della guerra, ma più vibrante per la coscienza della vittoria già riportata e della nuova onda di fede ristoratrice venuta a rianimare la Nazione vittoriosa sulla nuova via faticosa della urgente restaurazione della sue forze finanziarie e morali.
Codesta Patria è pure riconsacrazione delle tradizioni e degli istituti che sono la costanza della civiltà, nel flusso e nella perennità delle tradizioni.
Ed è scintilla di subordinazione di ciò che è particolare ed inferiore a ciò che è universale ed immortale, è rispetto della legge e disciplina, è libertà ma libertà da conquistare attraverso la legge, che si instaura con la rinuncia a tutto ciò che è piccolo arbitrio e velleità irragionevole e dissipatrice.
E' concezione austera della vita, è serietà religiosa, che non distingue la teoria dalla pratica, il dire dal fare, e non dipinge ideali magnifici per relegarli fuori di questo mondo, dove intanto si possa continuare a vivere vilmente e miseramente, ma è duro sforzo di idealizzare la vita ed esprimere i propri convincimenti nella stessa azione o con parole che siano esse stesse azioni.
GLI INTELLETTUALI ANTIFASCISTI
In risposta al "Manifesto degli intellettuali del fascismo", Benedetto Croce, uno degli intellettuali italiani più autorevoli e conosciuti nel mondo, pubblicò il suo "Contromanifesto", sottoscritto poi da decine di intellettuali e studiosi italiani. In esso critica duramente gli intellettuali fascisti, accusati di avere contaminato con la politica sia l'arte che la scienza e inoltre denuncia la debolezza del pensiero fascista, caratterizzato da "confusioni dottrinali e malfilati raziocinamenti". Croce polemizza anche sull'abuso della parola "religione" e definisce la dottrina fascista come un vangelo che mostra "un incoerente e bizzarro miscuglio di appelli all'autorità e di demagogismo, di proclamata riverenza alle leggi e di violazione delle leggi, di concetti ultramoderni e di vecchiumi muffiti, di atteggiamenti assolutistici e di tendenze bolsceviche, di miscredenze e di corteggiamenti della alla Chiesa cattolica, di aborrimenti della cultura e di conati sterili verso una cultura priva delle sue premesse, di sdilinquimenti mistici e di cinismo".
Benedetto Croce
Manifesto degli intellettuali antifascisti (1925)
Gl'intellettuali fascisti, riuniti in congresso a Bologna, hanno indirizzato un manifesto agl' intellettuali di tutte le nazioni per spiegare e difendere innanzi ad essi la politica del partito fascista. Nell' accingersi a tanta impresa quei volenterosi signori non debbono essersi rammentati di un consimile e famoso manifesto, che, agli inizi della guerra europea, fu bandito al mondo dagli intellettuali tedeschi: un manifesto che raccolse, allora, la riprovazione universale, e più tardi dai tedeschi stessi fu considerato un errore. E, veramente, gl' intellettuali, ossia i cultori della scienza e dell' arte, se come cittadini, esercitano il loro diritto e adempiono il loro dovere con l' ascriversi a un partito e fedelmente servirlo, come intellettuali hanno solo il dovere di attendere, con l' opera dell' indagine e della critica, e con le creazioni dell' arte, a innalzare parimenti tutti gli uomini e tutti i partiti a più alta sfera spirituale, affinchè, con effetti sempre più benefici, combattano le lotte necessarie.
Varcare questi limiti dell' ufficio a loro assegnato, contaminare politica, letteratura e scienza, è un errore, che, quando poi si faccia, come in questo caso, per patrocinare deplorevoli violenze e prepotenze e la soppressione della libertà di stampa, non può dirsi neppure un errore generoso. E non è nemmeno, quello degl' intellettuali fascisti, un atto che risplenda di molto delicato sentire verso la Patria, i cui travagli non è lecito sottoporre al giudizio degli stranieri, incuranti (come, del resto, è naturale) di guardarli fuori dei diversi e particolari interessi politici delle proprie nazioni.
Nella sostanza, quella scrittura, è un imparaticcio scolaresco, nel quale in ogni punto si notano confusioni dottrinali e mal filati raziocini: come dove si prende in iscambio l'atomismo di certe costruzioni della scienza politica del secolo decimottavo col liberalismo democratico con la concezione sommamente storica della libera gara e dell' avvicendarsi dei partiti al potere, anche, mercè l'opposizione, si attua, quasi graduandolo, il progresso; - o come dove, con facile riscaldamento retorico, si celebra la doverosa sottomissione degl' individui al Tutto, quasi che sia in questione ciò, e non invece la capacità delle forme autoritarie a garantire il più efficace elevamento morale.
[… ] Ma il maltrattamento della dottrina e della storia è cosa di poco conto, in quella scrittura, a paragone dell' abuso che vi si fa della parola "religione"; perchè, a senso dei signori intellettuali fascisti, noi ora in Italia saremmo allietati da una guerra di religione, dalle gesta di un nuovo evangelo e di un nuovo apostolato contro una vecchia superstizione, che rilutta alla morte, la quale le sta sopra e alla quale dovrà pur acconciarsi; - e ne recano a prova l' odio e il rancore che ardono, ora come non mai, tra italiani e italiani. Chiamare contrasto di religione l' odio e il rancore che si accendono da un partito che nega ai componenti degli altri partiti il carattere d' italiani e li ingiuria stranieri, e in quest' atto stesso si pone esso agli occhi di quelli come straniero e oppressore, e introduce così nella vita della Patria i sentimenti e gli abiti che sono propri di altri conflitti; nobilitare col nome di religione il sospetto e l' animosità sparsi dappertutto, che hanno tolto perfino ai giovani dell' Università l' antica e fidente fratellanza nei comuni e giovanili ideali, e li tengono gli uni contro gli altri in sembianti ostili: è cosa che suona, a dir vero, come un' assai lugubre facezia.
In che mai consisterebbe il nuovo evangelo, la nuova religione, la nuova fede, non si riesce a intendere dalle parole del verboso manifesto; e, d' altra parte, il fatto pratico, nella sua muta eloquenza, mostra allo spregiudicato osservatore un incoerente e bizzarro miscuglio di appelli all' autorità e di demagogismo, di professata riverenza alle leggi e di violazione delle leggi, di concetti ultramoderni e di vecchiumi muffiti, di atteggiamenti assolutistici e di tendenze bolsceviche, di miscredenza e di corteggiamento alla Chiesa cattolica, di aborrimento dalla cultura e di conati sterili verso una cultura priva delle sue premesse, di sdilinquimenti mistici e di cinismo. E, se taluni plausibili provvedimenti sono stati attuati o avviati dal governo presente, non è in essi nulla che possa vantare un' originale impronta, tale da dare indizio di un nuovo sistema politico, che si denomini dal fascismo.
Per questa caotica e inafferrabile "religione" noi non ci sentiamo, dunque, di abbandonare la nostra vecchia fede: la fede che da due secoli e mezzo è stata l' anima dell' Italia che risorgeva, dell' Italia moderna; quella fede che si compose di amore alla verità, di aspirazione alla giustizia, di generoso senso umano e civile, di zelo per l' educazione intellettuale e morale, di sollecitudine per la libertà, forza e garanzia di ogni avanzamento.
Noi rivolgiamo gli occhi alle immagini degli uomini del Risorgimento, di coloro che per l' Italia patirono e morirono, e ci sembra di vederli offesi e turbati in volto alle parole che si pronunziano e agli atti che si compiono dai nostri italiani avversari, e gravi e ammonitori a noi perchè teniamo salda in pugno la loro bandiera. La nostra fede non è un' escogitazione artificiosa e astratta o un invasamento di cervello, cagionato da mal certe o mal comprese teorie; ma è il possesso di una tradizione, diventata disposizione del sentimento, conformazione mentale e morale.
Ripetono gl' intellettuali fascisti, nel loro manifesto, la trista frase che il Risorgimento d' Italia fu opera di una minoranza; ma non avvertono che in ciò appunto fu la debolezza della nostra costituzione politica e sociale e anzi par quasi che si compiacciano della odierna per lo meno apparente indifferenza di gran parte dei cittadini d' Italia di fronte ai contrasti tra il fascismo e i suoi oppositori. I liberali di tal cosa non si compiacquero mai, e si studiarono a tutto potere di venire chiamando sempre maggior numero d' italiani alla vita pubblica; e in questo fu la precipua origine anche di qualcuno dei più disputati loro atti, come la largizione del suffragio universale.
Perfino il favore, col quale venne accolto da molti liberali, nei primi tempi, il movimento fascistico, ebbe tra i suoi sottintesi la speranza che, mercè di esso, nuove e fresche forze sarebbero entrate nella vita politica, forze di rinnovamento e (perchè no?) anche forze conservatrici. Ma non fu mai nei loro pensieri di mantenere nell' inerzia e nell' indifferenza il grosso della nazione, appagandone taluni bisogni materiali, perchè sapevano che, a questo modo, avrebbero tradito le ragioni del Risorgimento italiano e ripigliato le male arti dei governi assolutistici e quietistici.
Anche oggi, nè quell' asserita indifferenza e inerzia, nè gli impedimenti che si frappongono alla libertà, c' inducono a disperare o a rassegnarci.
Quel che importa, è che si sappia ciò che si vuole e che si voglia cosa d' intrinseca bontà. La presente lotta politica in Italia varrà, per ragione di contrasto, a ravvivare e a fare intendere in modo più profondo e più concreto al nostro popolo il pregio degli ordinamenti e dei metodi liberali, e a farli amare con più consapevole affetto. E forse un giorno, guardando serenamente al passato, si giudicherà che la prova che ora sosteniamo, aspra e dolorosa a noi, era uno stadio che l' Italia doveva percorrere per rinvigorire la sua vita nazionale, per compiere la sua educazione politica, per sentire in modo più severo i suoi doveri di popolo civile.
IL CROLLO DELLA FISICA CLASSICA
Era ormai dal 1880 che la fisica poteva dirsi assestata: la maggior parte dei fenomeni trovava spiegazione nella meccanica newtoniana, nella teoria elettromagnetica di Maxwell, nella termodinamica o nella meccanica statistica di Boltzmann. Sembrava che pochi problemi, quali la determinazione delle proprietà dell’etere e la spiegazione degli spettri di radiazione emessi dai corpi [in particolare gas monoatomici], rimanessero irrisolti. Alcuni ricercatori, sull’onda dell’ottimismo, prevedevano che al massimo, con la fine del secolo, la fisica come scienza di ricerca sarebbe tramontata, raggiunta la totale conoscenza delle leggi naturali.
La comprensione di quei pochi problemi scatenò tuttavia la rivoluzione che investì la fisica. Al crollo della fisica classica contribuì anche una serie d’importanti scoperte della fine del XIX secolo: i raggi X da parte di Rontgen, nel 1895; l’elettrone per merito di Thomson, nel 1895, la radioattività di Becquerel, nel 1896; l’effetto fotoelettrico, durante il periodo tra il 1887 e il 1899.
I risultati degli esperimenti condotti in quegli anni prescindevano da ogni possibile spiegazione teorica entro il quadro della fisica classica.
La Teoria Quantistica
I risultati dell’analisi sperimentale dello spettro del corpo nero, che non erano in accordo con i principi della fisica classica, furono giustificati sul piano teorico dal fisico tedesco Max Planck. Secondo la fisica classica, le molecole di un solido oscillano intorno alle posizioni di equilibrio compiendo oscillazioni che si verificano a tutte le frequenze e con ampiezza direttamente proporzionale alla temperatura del corpo; l’energia termica del solido verrebbe quindi convertita continuamente in radiazione elettromagnetica. Planck reinterpretò il fenomeno postulando che l’irraggiamento da parte di un corpo o di un solido incandescente avvenisse per emissione di quantità condizionate d’energia, detti quanti. Ogni quanto ha una lunghezza d’onda caratteristica e un’energia:
E = nhf
dove f è la frequenza dell’onda, h la costante di Planck e n un numero intero positivo.
Con l’ipotesi quantistica, Planck propose un modello della natura corpuscolare della luce, evidente nell’analisi dell’effetto fotoelettrico, che sarà sviluppato da Einstein nel 1905.
Effetto Fotoelettrico
Fenomeno che si manifesta con l'emissione di particelle elettricamente cariche da parte di un corpo esposto a onde luminose o a radiazioni elettromagnetiche di varia frequenza. Con il termine effetto fotoelettrico si indicano, in generale, diversi tipi di interazioni correlate. Nel cosiddetto effetto fotoelettrico esterno gli elettroni vengono emessi dalla superficie di un conduttore metallico (o da un gas) in seguito all'assorbimento dell'energia trasportata dalla luce incidente sulla superficie stessa. L'effetto è sfruttato nella cellula fotoelettrica, in cui gli elettroni emessi da uno dei due poli della cellula, il fotocatodo, migrano verso l'altro polo, l'anodo, per effetto di un campo elettrico applicato. Si definisce invece effetto fotoelettrico interno quel fenomeno in cui gli elettroni liberati dalla radiazione restano all’interno del materiale, disponibili alla conduzione.
La radiazione luminosa di frequenza ν è composta da particelle corpuscolari (fotoni) di energia E = hν (h è la costante di Planck). Per riuscire a strappare un elettrone a una superficie metallica, l’energia del fotone deve essere maggiore dell’energia di legame dell’elettrone nel metallo (W). In questo caso, inserendo un amperometro fra anodo e catodo si misura un passaggio di corrente (a sinistra, nell’illustrazione). Se l’energia del fotone è inferiore a W (a destra, nell’illustrazione) non si ha effetto fotoelettrico, e dunque l’amperometro non registra flusso di corrente. La caratteristica importante dell’effetto fotoelettrico è di dipendere dalla frequenza della radiazione, che determina l’energia del fotone, e non dall’intensità della luce.
Meccanica quantistica
Nell'arco di pochi anni, tra il 1924 e il 1930 circa, si sviluppò un approccio teorico completamente nuovo alla dinamica su scala subatomica: la meccanica quantistica. Il modello atomico di Bohr, in seguito ampliato e definito da Arnold Johannes Wilhelm Sommerfeld, non poteva infatti essere considerato completamente soddisfacente dal momento che faceva uso di alcuni concetti propri della meccanica classica (ad esempio le orbite erano descritte mediante grandezze classiche come il momento angolare), ma al contempo era in aperto contrasto con altri principi classici, in particolare con quelli dell'elettrodinamica: ad esempio la richiesta che gli elettroni ruotassero senza irraggiare e che solo determinate orbite, corrispondenti a precisi valori di energia, fossero permesse. Come conseguenza di ciò, i postulati introdotti da Bohr non furono mai considerati l'espressione di una teoria vera e propria, ma piuttosto un insieme di correzioni da apportare alla meccanica classica perché essa divenisse applicabile allo studio di fenomeni microscopici, oppure come l'espressione della transizione tra la fisica classica – ormai messa in dubbio da molti esperimenti – e una nuova teoria, ancora da formulare.
Questo era il quadro delle conoscenze di fisica quando, nel 1924, il fisico francese Louis De Broglie suggerì che la materia avesse una duplice natura, corpuscolare e ondulatoria, come era già stato osservato per la radiazione elettromagnetica. A ogni particella venne quindi associata un'onda, di lunghezza λ = h/mv, dove m è la massa della particella e v la sua velocità. Queste onde, dette onde di materia, dovevano essere concepite come una sorta di guida per il moto della particella cui erano associate. Nel 1927 il fisico austriaco Erwin Schrödinger, ricavò l'equazione matematica in grado di descrivere la propagazione delle onde di materia e, applicandola agli elettroni dell'atomo di idrogeno, aveva confermato i risultati già ottenuti da Bohr e Sommerfeld, facendoli scaturire da una teoria completa, in cui la quantizzazione non era postulata, ma discendeva in modo naturale dall'ipotesi ondulatoria.
Al postulato di De Broglie, che sancisce il dualismo onda-particella, si sono aggiunti nel corso degli anni nuovi e fondamentali concetti. Tra i più importanti, è il fatto che gli elettroni e quasi tutte le particelle elementari abbiano la proprietà di possedere un momento angolare intrinseco, o spin. Nel 1925 il fisico austriaco Wolfgang Pauli enunciò il principio di esclusione che, stabilendo un limite per il numero di elettroni che possono occupare un determinato livello energetico, giustificava le diverse proprietà degli elementi chimici e si rivelava fondamentale per comprendere la struttura della tavola periodica.
Nel 1927 Werner Heisenberg formulò il principio di indeterminazione, che stabilisce l'esistenza di un limite naturale alla precisione con cui si possono misurare simultaneamente alcune coppie di grandezze fisiche, riconosciute come "grandezze coniugate", quali ad esempio posizione e momento o energia e tempo.
Il Principio d’Indeterminazione di W. Heisenberg
Uno dei più grandi fisici teorici del Novecento, Werner Heisenberg contribuì in modo significativo allo sviluppo della meccanica quantistica. Il suo nome è inscindibilmente legato al principio di indeterminazione, uno dei cardini della teoria quantistica, che pone un limite alla possibilità di conoscenza del mondo microscopico e delle sue leggi.
L'impossibilità di determinare con esattezza la posizione di un elettrone a un certo istante fu analizzata da Werner Heisenberg, che nel 1927 enunciò il principio di indeterminazione. Tale principio afferma che non è possibile determinare contemporaneamente con precisione la posizione e il momento (la velocità) di una particella, ovvero che queste due grandezze non possono essere misurate simultaneamente con precisione. Si dice quindi che la conoscenza della posizione e del momento di una particella sono complementari; in altre parole, i fisici non possono misurare la posizione x di una particella, senza alterarne il momento p. In termini matematici, il principio di indeterminazione di Heisenberg è espresso dalla relazione
Δx • Δp ≥ h/2p
Essa afferma in modo sintetico che il prodotto tra l’errore di misura sulla posizione Δx e quello sul momento Δp di una particella non può essere inferiore a una quantità fissa data dalla costante di Planck divisa per 2p.
Quando l’impossibile è stato reso possibile, è diventato il male assoluto, impunibile, imperdonabile, che non poteva essere compreso e spiegato coi malvagi motivi dell’essere egoistico, dell’avidità, dell’invidia, del risentimento, della smania di potere, della vigliaccheria; e che quindi la collera non poteva vendicare, la carità sopportare, l’amicizia perdonare, la legge punire.
HANNAH ARENDT
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mercoledì 25 febbraio 2009
Tesine gratis I Totalitarismi
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