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domenica 1 marzo 2009

Appunti economia gratis : Analisi per indici

Partendo da questo dato è possibile costruire il seguente schema in "report form":

FATTURATO -
COSTO MATERIE PRIME -
COSTO SERVIZI =
VALORE AGGIUNTO -
COSTO DEL PERSONALE =
MARGINE OPERATIVO LORDO (EBITDA) -
AMMORTAMENTI =
MARGINE OPERATIVO NETTO (REDDITO OPERATIVO O EBIT)
In tale prospetto va messa in evidenza la grandezza «valore aggiunto» la quale rappresenta il plusvalore (della teoria economica marxista) che l'azienda consegue con la semplice attività di compravendita dei beni e dei servizi: sottraendo a tale valore il costo per il personale (che è il fattore interno più rilevante) si ottiene il Margine Operativo Lordo (MOL) (indicato, nella terminologia inglese come EBITDA ovvero Earning Before Interest Taxes and Depreciation/Admortisation) e detraendo da quest'ultimo gli ammortamenti (effettuati dalla impresa per recuperare gradualmente, attraverso quote annuali, i costi sostenuti anticipatamente per dotarsi di un'adeguata struttura produttiva che consente di avviare i cicli produttivi) otteniamo il Margine Operativo Netto (MON) (o EBIT).
Strumento per il raggiungimento del EBIT è il Capitale Investito (CI) il quale è costituito dalla somma dei valori della struttura produttiva, del magazzino e dei crediti.
In un'ottica di analisi per indici il primo indice di bilancio che può essere costruito con i dati così acquisiti è il «Return On Investment» (ROI) il quale è dato da:

Tale indice di bilancio riporta la redditività del capitale investito attraverso la gestione tipica dell'azienda (ed è dunque indice fondamentale per capire come sia gestita l'azienda dall'imprenditore): tale redditività dipende dall'intensità del fatturato, dai costi aziendali tipici e dal capitale investito.
Da notare che il ROI può anche essere espresso come combinazione di due ulteriori indici di bilancio: l'indice è dato infatti dalla moltiplicazione del «Return On Sales» (il quale è un indice di misurazione indiretta dell'intensità di incidenza dei costi tipici di esercizio sulla gestione):

e del «Assets Turnover» (il quale riporta la proporzionalità esistente fra fatturato e capitale investito):

L'impresa cercherà di ottenere pari valori dell'indice tenendo quanto più basso possibile il valore del capitale investito.
Il capitale investito, che può essere diviso - in un ottica temporale - in "attivo fisso" (coincidente con la struttura produttiva) ed "attivo circolante" (magazzino più crediti), genera un fabbisogno finanziario di pari entità che viene coperto dal Capitale Proprio (CP) e dal Capitale di credito (CC) dove la remunerazione del primo è assicurata dall'utile d'esercizio mentre il secondo genera un flusso passivo di oneri finanziari (interessi per la remunerazione contrattuale del capitale di terzi avuto in prestito).
Sottraendo all'EBIT gli oneri finanziari e le imposte (ovvero quel particolare onere che bisogna sopportare per la convivenza in un contesto sociale che va assicurata da parte di tutti) otteniamo il "risultato netto d'esercizio" che può essere sia attivo ("utile netto" o "profitto": cioè l'obiettivo che la impresa si pone quando avvia i suoi cicli produttivi) o passivo ("perdita netta").
Esiste una stretta relazione fra tre indici: ROI,i,ROE
i (tasso di remunerazione del capitale di terzi)

che è grandezza non gestibile dal management aziendale poiché viene decisa, di volta in volta, sulla base dei provvedimenti delle autorità monetarie che sono a loro volta vincolate in ambito internazionale dalla manovra sul tasso di sconto),
ROE (Return On Equity)

indica la redditività del capitale proprio e, da un punto di vista qualitativo, può essere suddiviso in tre ulteriori indici secondo il seguente schema (detto schema Dupont dall'azienda americana che per prima lo utilizzò negli anni '20 del XX secolo):

Il ROE è quindi dato da ROI, rapporto di indebitamento e tasso di incidenza della gestione non tipica sul MON (il quale indica, in percentuale, quanta parte del MON è stata sottratta dagli oneri finanziari, dalle imposte e dalla gestione straordinaria) ma non esiste un rapporto ottimale di valori fra questi indici poiché la situazione aziendale deve essere valutata, a sistema, nel suo complesso: esiste comunque, qualunque sia il rapporto tra CP e CC una situazione di neutralità nella quale risulta la parità dei tre indici, cioè i=ROE=ROI.
Nel caso in cui ROI e costo medio delle fonti esterne coincidano si ha una sostanziale indifferenza alle fonti di approvvigionamento (risulta, cioè, uguale il ricorso al capitale proprio rispetto al capitale di credito) mentre nel caso in cui il ROI risulti maggiore del costo medio delle fonti esterne la remunerazione del Capitale Proprio cresce in maniera più che proporzionale, mentre se ROIRisulta, quindi, che, a parità di rendimento del capitale investito e di costi del capitale di terzi, conviene all'impresa mantenere o raggiungere un maggiore livello di indebitamento: il minore capitale investito avrà una redditività molto maggiore (cosiddetto "effetto leva") ed i capitali così svincolati potranno essere investiti in operazioni alternative sul mercato; quando invece, a parità di ROI, aumenta il costo del CC aumenta parimenti la rischiosità ed un'impresa fortemente indebitata potrebbe sperimentare utili minori se non addirittura delle perdite rispetto ad aziende che facciano minor affidamento al mercato dei capitali per la copertura del fabbisogno finanziario generato dal capitale investito. Non è quindi possibile affermare l'esistenza di un rapporto ottimale fra Capitale Proprio e Capitale di Credito ma è necessario analizzare la situazione aziendale, in rapporto al mercato, caso per caso.

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