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lunedì 2 marzo 2009

Recensione libro Guera e pace

Palesemente, un mondo senza figli è destinato a morire nell'arco di una generazione. E non ci sono eccezioni. I bambini sono fondamentali per prolungare parte di sé oltre la propria morte.

E ogni libro che tenti di dipingere una società deve contenere dei figli. Altrimenti non è nemmeno un quadro astratto, ma è solo assurdo, e sterile. Prendiamo un libro come Guerra e Pace. È per alcuni versi un romanzo sociologico, perché disegna efficacemente la società dell'epoca. E in esso vi sono molti rapporti tra padre e figlio, fondamentali sia nello snodo della vicenda sia nelle riflessioni che i personaggi compiono sul senso della vita. Caliamoci in questa realtà: partiamo dalla Storia, fatta di grandi avvenimenti e scendiamo nel mondano, dove quei grandi avvenimenti non hanno alcun peso, e entriamo con un biglietto d'invito nell'immaginario salone della ricca Anna Pàvlovna Scherer, damigella d'onore dell'Imperatrice di Russia.

Milleottocentocinque, Parigi. Circa un decennio fa, durante la crisi della Rivoluzione, è emersa la figura di un corso, valoroso generale autore delle vittorie in Italia. Sei anni fa, con un colpo di stato ha trasformato una repubblica in un consolato, di cui lui era il capo effettivo. L'anno scorso si è fatto nominare Imperatore dei Francesi. E intanto, ha conquistato Belgio e Italia settentrionale. Ora si accinge a sconfiggere l'Austria, la grande e vicina nemica. Milleottocentocinque, Vienna. Comincia il terrore: Buonaparte l'Anticristo sta per invadere il sacro confine dell'Impero. Milleottocentocinque, Pietroburgo. Nel salone di Anna Pàvlovna si chiacchiera dell'usurpatore del trono francese. Mentre in Francia la Rivoluzione ha sancito l'inizio del potere della borghesia e in Austria è la classe che detiene il potere economico, in Russia essa non esiste, e si hanno solo nobili o contadini e servi della gleba, quindi la crema della società russa non può che vederlo come colui che ha aiutato una classe di uomini non di sangue blu a governare milioni di ettari di terre e di palazzi. Come si può concepire ciò? Solo un uomo che ha ricevuto questo delicato compito da Dio in persona può riuscire, lui e i suoi discendenti. E mentre Anna Pàvlovna dirige come un direttore d'orchestra la discussione di tante persone con il medesimo modo di pensare, ad un tratto si ode un violino dissonante. Sta suonando un'altra aria, forse più moderna, ma incredibilmente stonata alle orecchie degli altri musicisti. Anna Pàvlovna lo prende con sé e lo porta in disparte. È Pierre, figlio illegittimo del conte Kirìll Vladìmirovic Bezùchov. Il vecchio conte Bezùchov è un ricchissimo nobile in punto di morte senza figli legittimi. E mentre al suo capezzale sono le eredi legittime, le principessine cugine del principe Vasilij, improvvisamente indica un quadro, il quadro del figlio che ha ma che non ha mai avuto, Pierre. Capisce che ora deve assumersi quelle responsabilità di padre che aveva costantemente declinato finché era in salute, ed è pentito: prima di morire vuole rivedere il figlio, e ne indica il ritratto. Sa che non ha molto tempo, ma ci aveva già pensato: tempo fa ha spedito una lettera all'imperatore Alessandro, zar di tutte le Russie, con la quale ha chiesto di legittimare Pierre. L'imperatore non ha potuto che acconsentire, dati i precedenti del conte, eroe della vecchia generazione, ormai ridotto agli ultimi granelli di sabbia di una clessidra che cercano di non scivolare sul vetro per cadere di sotto. Dopo di che il morituro ha redatto il suo testamento: Pierre, ora conte Pjotr Kirìllovic Bezùchov, diventerà erede della sua immensa fortuna. Questo gli è di sollievo. Ma deve vederlo, è un desiderio più forte di lui, prima che...
Per Pierre il padre non è il padre, ma è un estraneo. E mentre uno giace pesantemente su un letto, strascicando ogni respiro per paura che possa essere l'ultimo, l'altro ha a che fare con un orso e un commissario insieme a degli amici. Uno scherzo innocente, per lui. Cosa sarà mai legare un commissario sulla schiena di un orso? E intanto i salotti di Pietroburgo lo rimproverano: che figlio snaturato che non piange l'imminente morte del padre che gli ha sempre voluto bene! Ma a Pierre non importa, perché quell'individuo non conta nulla per lui. Qualche giorno dopo, a Mosca, viene coinvolto in un intrigo: Anna Michàjlovna Drubetskàja si contrappone al principe Vasilij, perché la prima cerca di rinvenire il testamento del conte Bezùchov per legittimare Pierre (in modo che lei ne tragga vantaggio), e il secondo cerca di insabbiarlo. Anna Michàjlovna conduce Pierre al letto del padre morente per far risaltare la tristezza di un figlio a cui sta morendo il padre.
Ma chi è per Pierre questo uomo? Non è mai entrato nella sua vita, né la sua morte ora lo disturbava più della morte di un uomo qualsiasi. E vede le ultime forze di quest'uomo spendersi su di lui, per baciarlo. Il che gli è del tutto indifferente.
Pierre è la sua unica ragione di vita. Il vecchio conte Bezùchov ora deve far capire al figlio quanto lo ha amato, sempre, e lo bacia, e scorrono i suoi ultimi attimi, il suo desiderio è esaudito, e ora può anche... è arrivato il momento di...
"Il n'est plus", dice Anna Michàjlovna a Pierre. Ciò gli dispiaceva, non come dispiace la morte di un genitore, ma come quella di un estraneo. Gli dispiaceva l'idea della morte. Ma Anna diffonde la voce del commovente incontro tra i due e di quanto Pierre sia distrutto. La tela di ragno ha il suo effetto, e cattura l'eredità del conte Bezùchov, che va a Pierre, prostrato dal dolore secondo la versione ufficiale ma indifferente secondo la versione intima del suo stato d'animo.

Il principe Vasilij per colpa di quel bâtard ha perso un'immensa eredità. Deve far valere ugualmente i suoi diritti. La tela di ragno si intreccia sempre di più. La tesse con la sua complice, la figlia Hélène. Padre e figlia agiscono insieme dietro le quinte, tirano i fili delle marionette per aggiustare la situazione a loro vantaggio. Con un tacito accordo, ingannano la preda trascinandola sulla ragnatela e la intrappolano. E la spartiscono. Il principe Vasilij non si lascia abbattere dalla grande perdita: si improvvisa intimo amico di Pierre, e gli mette sotto il naso la bellezza marmorea della figlia. Il giorno dell'onomastico di lei, il principe lascia soli i due giovani che parlano del più e del meno. Pierre è attratto da lei, ma capisce che non è per lui, perché è di una bellezza superficiale che lui non condivide. Di colpo entra il principe Vasilij: "– Sia lode a Dio! – disse il principe. – Mia moglie mi ha detto tutto!". Tutto cosa? Penso che se padre e figlia non fossero osservati, si sarebbero strizzati l'occhio. Ora Pierre non può più tirarsi indietro. D'altronde, che può dire? Ormai si è dichiarato (quando? Non riesce a ricordarlo, chissà perché...) e si lascia trascinare dagli eventi. Un mese e mezzo dopo i due erano sposati. Padre e figlia hanno circondato Pierre, inconsapevole, e lo hanno impaludato sulla ragnatela. Ora è completamente a loro disposizione, lui e i suoi milioni. Padre e figlia complici per il loro vantaggio personale.
Facciamo un passo indietro. Quando Anna Michàjlovna sparge la voce della disperazione di Pierre, si trova in casa Rostòv. Il padre è il conte Ilja Andréic Rostòv, la moglie la contessa Natalja Rostòva, i quattro figli Vjera, Nikolàj, Natasa e Petja. Il conte è un nobile di vecchio tipo, e lascia gli affari a un amministratore di cui si fida ciecamente (Miten'ka). La fiducia è mal riposta: anno dopo anno, rublo dopo rublo Miten'ka deruba i Rostòv e lui e la vita dissipata che conducono li ridurranno sul lastrico. È un padre che cerca di non far mancare nulla ai propri figli, almeno dal punto di vista economico. E li ama, come ogni padre ama i propri figli. È il padre più normale del libro, senza infamia e senza lode. Soprattutto il figlio Nikolàj ha un senso di gratitudine verso di lui. Quando gioca a carte con Dolòchov, il gelido ufficiale, perde clamorosamente quarantatremila rubli, nonostante si fosse prefisso di non giocarne più di milleduecento, quanti ne possedeva. Ma il fenomeno della Rovina del Giocatore è implacabile: Nikolàj è ora in mano di Dolòchov. E in lui si affollano i sentimenti di rabbia, di vergogna per non aver rispettato la promessa di conservare quei milleduecento rubli almeno per una stagione, e soprattutto un senso di fallimento: ha deluso papà, come può ora tornare al mondo a testa alta con quella colpa? Dolòchov lo stuzzica, capisce la sua disperazione, e lo provoca, ma Nikolàj resiste e torna a casa distrutto. Adesso deve parlare con papà, ma come può... ecco, gliel'ha detto, papà non ci crede, lui cerca di giustificarsi, dice che sono cose che capitano, e papà si lascia cadere sul divano, perché non sono più ricchi come una volta, e adesso se ne va barcollando, e Nikolàj si sente in colpa, ma non si trattiene più e piange, sulla mano del padre. "– Papà!... pa...pà!... – gli gridò dietro, singhiozzando. – Perdonatemi! – E presa la mano del padre, vi premette sopra le labbra e si mise a piangere."
La sorella è diversa. Natasa, Purezza e Bellezza, Gioia di vivere e Spensieratezza, preferisce la madre al padre. La madre è una delle sue confidenti, perché Natasa deve esternare in tutti i modi il fuoco che c'è in lei: con la cugina Sonja, con il fratello Nikolàj (quando c'è) e con la madre. La madre sa che sarà sempre la prima confidente delle sue figlie (le sue stesse parole portate alla terza persona), ma ciò nonostante non sempre riesce a capirle: nessun fidanzato o presunto tale di Natasa la soddisfa pienamente, e il principe Andréj, la Perfezione, le incute timore. È preoccupatissima dal pericolo che i figli corrono in guerra, e fa di tutto per trattenere l'ardore patriottico del figlio minore Petja che lo spinge a farsi soldato (e che lo spingerà anche a buttarsi di colpo contro i francesi e a morire così stupidamente). È legata alla nobiltà conservatrice, e lo dimostra soprattutto nei confronti di Nikolàj: è costantemente preoccupata dall'amore tra il figlio e la nipote Sonja, una ragazza senza nome e senza dote, e fa di tutto per ostacolare questo sentimento; inoltre, alla fine del romanzo, quando Nikolàj si sposa con la principessa Marja Bolkònskaja, mentre lui lavora duramente per nasconderle la loro precaria situazione economica, lei spende e spande perché non può non condurre una vita sfarzosa. Magari fa anche bei regali al figlio, con i soldi che lui ha penosamente guadagnato. E Nikolàj li accetta, facendo buon viso a cattivo gioco. La verità potrebbe ucciderla, meglio continuare a fingere.

Ho nominato prima, tra i pretendenti di Natasa, un certo principe Andréj. È il principe Andréj Nikolàevic Bolkònskij, figlio del vecchio principe Nikolàj Andréjevic Bolkònskij.
Il vecchio principe Bolkònskij abita in una tenuta di campagna fuori Mosca nella quale è stato esiliato dal precedente sovrano. L'attuale zar gli ha concesso di ritornare, ma lui ha preferito restare lì. Lui, testimonianza del Secolo dei Lumi, idolatra la ragione e l'attività, e passa il tempo scrivendo le sue memorie, costruendo tabacchiere o risolvendo problemi di algebra e di geometria. Tutta la sua vita deve essere ordinata e deve seguire una certa routine, alla quale si deve adattare chi vuole avere a che fare con lui. Ma sopra di tutto, la più grande passione del principe Bolkònskij è la figlia: la principessa Marja Bolkònskaja. Lui la adora, ma non sa come esternare il suo amore se non egoisticamente: la costringe a studiare per venti anni algebra e geometria, perché sa che ciò è bene; la incolpa di qualunque cosa storta accada, e scarica tutti i suoi problemi su di lei, perché le rivolge tutte le sue attenzioni, e le vuole bene. Sì, solo così la può tenere vicino a se. Ha fatto di tutto per convincerla a non sposare quell'Anatole Kuràghin, figlio del principe Vasilij, ed è rimasta sempre con lui, sempre vicino a lui per confortarlo. Il suo più grande amore.
Marja è oppressa dal padre. Sa che lui la adora e che questo e il suo unico modo di amarla che conosce, ma si sente ugualmente oppressa. Si sacrifica a vivere vicino al padre, ma desidera una famiglia, dei figli, come tutte le donne normali. Ma lei non è bella, e il padre insiste su questo punto, pur di tenerla con se. Il padre l'ha anche convinta a non sposare il giovane Anatole Kuràghin, perché le ha fatto capire che non sarebbe stata felice con lui, e allora Marja ha rinunciato all'avere una famiglia, anche se forse in futuro. Lei lo adora, ma come, come può riuscire a sostenere il peso delle colpe che il padre scarica su di lei? Il solo modo che trova è la religione. Ma anche questo è motivo di rabbia per suo padre, che non crede in nulla fuorché nella ragione. Come potrebbe fare per avere una famiglia come tutte le persone normali... Forse... Forse sarebbe meglio se lui morisse... Ma che sta pensando, che vergogna! Come ha fatto a desiderare anche in un solo momento la morte di suo padre!
Da lui, che porta la maschera di un secolo ormai trascorso, nobile conservatore che ad ogni cambiamento finge che esso non sia mai avvenuto e diventa sempre più anacronistico, può fuoriuscire solo un affetto razionale, filtrato dal suo cervello secondo i più rigidi criteri illuministi, e questo può essere capito ma non compreso fino in fondo da Marja, da cui in ogni sua azione erompe voglia di amare; la poverina non può che tirare avanti, e cercare di consolarsi nella speranza di liberazione che Cristo le porge. Lentamente la verità si insinua in sé: o lei o il padre. Sceglie il padre, quando rifiuta il giovane Kuràghin, ma gli eventi le faranno cambiare decisione.
E quando sta per morire, ferito dall'esercito francese che transitava per i suoi possedimenti verso di Mosca, il principe Bolkònskij pensa alla figlia, pensa se l'ha amata abbastanza, e cade la sua maschera, cade la facciata illuminista, cade il falso proprio della nobiltà. Non resta che un uomo piccolo, innamorato della figlia, e tormentato dalle sue scelte. Ha agito bene? E ora Masa dov'è? Sta per morire e vuole Masa vicino, perché è la cosa a cui vuole più bene; ma Masa non c'è, non è stata vicino a lui durante la notte, forse ha sbagliato e lei lo sta punendo in questo modo... no, eccola! Masa, l'ha chiamata tutta la notte, anima sua, la deve ringraziare, le deve dire quanto l'ha amata, le deve chiedere scusa per come ha agito, anche se era in buona fede, però parla per monosillabi e piange. Sa che la figlia ha capito, e ora, dopo che ha parlato con la sua più grande passione, deve parlare con il figlio Andrjusa. Ma Andrjusa non c'è. È in guerra. Non lo può vedere. Pazienza. Vuole chiedere una cosa sola alla figlia, farle un complimento che non le ha mai fatto. Cerca di parlare, ma non viene capito subito. Appena capisce, la figlia scoppia a piangere. Ora ha fatto quel che andava fatto, si sente più sollevato e adesso, solo adesso può morire.
La principessa Marja sta al capezzale del padre. Le parla a parole spezzate, e lei capisce a fatica. Lo ama, lo ama immensamente e lei ama lui. L'ha cercata nella notte, voleva parlare con lei, solo con lei, e lei ha tradito la sua fiducia desiderandone la morte. Come ha potuto? Come? Lui... a frasi spezzate... la ringrazia... di aver vissuto... con lui e... chiede perdono... e grazie... grazie... E le lacrime colano dai quattro occhi. Allora il padre chiede del figlio. Marja le dice che è in guerra. Allora lui si fa asciugare le lacrime e poi dice... cosa starà dicendo... dovrebbe essere qualcosa sul principe Andréj... sulla morte... sul nipotino Nikoluska...
No, no può essere! "– Metti il tuo vestito bianco, mi piace, –" sta dicendo. Al che Marja non resiste e comincia a piangere. E lei, che ha desiderato la sua morte! Come, come ha potuto? È colpa sua l'imminente morte del padre tanto amato?
Il dolore della figlia non è sufficiente per salvare il principe Bolkònskij. Ma la sua morte è necessaria per Marja, e inevitabile nello scorrere degli eventi. Ora lei è libera dall'adorata presenza opprimente, e può sposarsi e avere una famiglia.

Facciamo un passo indietro: il principe Bolkònskij è ancora vivo e vegeto, la battaglia di Austerlitz deve ancora avvenire e il principe Andréj, suo figlio, sta per partire in guerra. Lascia a casa del padre la moglie Lize, incinta. Il principe Andréj è un uomo forte, intelligente, superbo, conscio di essere superiore agli altri, ma ama il padre. Anche il padre lo ama, ma non lo dà a vedere. Quando il principe Andréj va a salutarlo viene fatto attendere fino a quando non si sia svegliato, anche se il vecchio principe sa che probabilmente non si rivedranno più. E comunque, non fa che rammentargli cosa vuole che sia fatta dopo la propria morte, anche se è solo il figlio ad andare in guerra. Andréj se ne va. Ma quando arriva la notizia che il figlio è morto, si abbandona per breve tempo, e piange sulla spalla della figlia (la cosa più bella che lei abbia mai desiderato), ma riprende rapidamente il controllo. Ma Andréj è vivo, e torna a casa in tempo per veder nascere suo figlio e morire sua moglie. E il vecchio principe continua a farlo aspettare.
Negli anni seguenti alla guerra, il principe Andréj è giunto ad una concezione pessimistica dell'esistenza: la felicità non ha senso in terra, ogni cosa combacerà al momento del trapasso, e quella sarà la felicità. Poi, un giorno, incontra la giovane Natasa Rostòva: lui, la Perfezione, incontra lei, la Purezza; la ama, allora comunica al padre che intende sposarla.
Ma perché il figlio adorato, sangue del suo sangue, sta chiedendo al principe Bolkònskij di stravolgere le proprie abitudini? Lo vuole abbandonare! E per una ragazzina, di una famigliola da quattro soldi... Deve trovare degli impedimenti... sì, deve, è l'unico modo, ma deve mantenere il suo sangue freddo. Allora... quella è troppo giovane per il mio Andrjusa... e c'è il suo nipotino, il figlio di Andrjusa, che non deve andare in mano a una bambina... non basta. Deve trovare qualcos'altro... ah, ecco! Un anno, gli chiede di aspettare un anno prima di sposarsi, così se è un amore passeggero non durerà così tanto, e se non lo è... potrebbe essere già morto tra un anno... sì, è la cosa migliore, e la sua ultima parola. Solo ora, quando ha paura che lui lo stia abbandonando, fa capire quanto gli voglia bene.
Ad Andréj in questo momento non importa il padre, nonostante lo ami, perché deve pensare alla Luce, al suo candido amore.

Le vicende continuano. Natasa lascia Andréj ma se ne pente amaramente, Hélène muore, muore anche il principe Andréj, Pierre viene catturato dai francesi durante la campagna di Russia, ma viene liberato durante la ritirata, e sposa Natasa, che non ha mai smesso di amare il principe Andréj, muore il conte Rostòv, Nikolàj sposa Marja e lei svolge alla perfezione le mansioni di madre. Ma abbiamo dimenticato un bambino. Il figlio del principe Andréj, nipote del principe Bolkònskij, Nikoluska. Per lui, Pierre diventa quasi come il padre, ma continua ad amare quell'ideale astratto di Padre Puro svincolato da ogni forma fisica che vede nel suo defunto padre naturale. E cercherà di agire per la sua felicità, di essere suo degno figlio. Di amare la gloria come l'ha amata suo padre.

I bambini sono fondamentali per prolungare parte di sé oltre la propria morte. È bello pensare di avere come scopo nella vita, al di là di ogni altra cosa, di amare un bambino, un preludio di un uomo. Ed è bello pensare che questo preludio ami il proprio genitore. Al di là di pesanti tomi come Guerra e Pace, o semplicemente della realtà quotidiana, è bello avere per scopo questo preludio. Al di là della vita, della morte, di tutto.

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