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lunedì 2 marzo 2009

Tema svolyo gratis La storia dei Maya

La civiltà classica dei Maya è l'unica cultura dell'America precolombiana

che abbia usato la scrittura. Nelle pianure del Petén e dello Yucatàn per sei secoli fiorirono grandi centri monumentali con torreggianti piramidi-templi di pietra rivestiti di stucco, con edifici di molte stanze definiti "palazzi", con camere coperte da volte a "falso arco", con strade rialzate che collegavano vari edifici, con sferisteri in muratura, con iscrizioni monumentali, con sepolture molto curate sotto gli edifici, accompagnate da ricche offerte e, in qualche caso, da sacrifici umani. Durante il periodo classico (300-900) i maya delle alte terre si differenziarono notevolmente dagli altri perché non usarono più la scrittura e l'architettura in pietra.
IL PERIODO TARDO-CLASSICO
Il sistema politico dei maya rappresentava uno scenario di grande frazionamento, paragonabile alle città stato etrusche, sumere o greche. Sembra che i Maya fossero in uno stato di guerra continua e che l'obiettivo principale fosse la cattura di prigionieri di rango elevato per sacrificarli dopo prolungate torture. Per la classe dominante Maya formata da aristocrazie era importante la devozione alle divinità protettrici delle famiglie che avevano dato vita alle dinastie principesche. Anche per i Maya, i sovrani discendevano direttamente dagli dei. Nel tardo periodo classico la civiltà Maya raggiunse il suo apogeo nell'area centrale del Petén, nel bacino dell'Usumacinta e, infine nell'Honduras occidentale. I centri si formano per successiva aggregazione ed è difficile stimare la densità demografica, in continuo cambiamento.
IL CROLLO DELLA CIVILTÀ MAYA
Alla fine del IX secolo d.C., una straordinaria trasformazione, di carattere catastrofico, determinò l'estinzione della civiltà Maya nella zona centrale: i centri vennero abbandonati e solo nel settentrione, nel Puuc, continuarono ad essere occupati. Varie ipotesi sono state formulate per spiegare questo improvviso e totale crollo, ma risultano per ora insoddisfacenti. Sembra che alcuni gruppi di aristocratici provenienti dall'area centrale si siano insediati nello Yucatàn settentrionale: con essi incominciò in questa area l'ultima fase della civiltà Maya, notevolmente trasformata. Nell'area centrale rimasero solo piccoli gruppi regrediti a forme nomadi che, mentre nell'area meridionale si erano ormai infiltrate da molto tempo i Pipil, genti messicane.
I TOLTECHI E LA FINE DEI MAYA
Mentre sopravvivevano i centri Maya nello Yucatàn, verso la fine del X secolo le lotte civili dei Toltechi di Tula spinsero la parte vinta ad emigrare; arrivò così il re Quetzalcoatl, che fece di Chichén Itza la propria capitale, dando vita ad una città ibrida maya-tolteca. Le vicende successive videro la formazione di nuove città e il formarsi di una lega: per due secoli fiorì una cultura che recuperava aspetti delle due civiltà, quella Maya e quella Tolteca. Flagelli naturali ed epidemie si susseguirono nel corso del XV secolo nello Yucatàn, fino a quando apparvero i conquistadores che decretarono la fine dell'antica civiltà Maya.
La religione dei Maya e la sua influenza sociale e politica
Un condottiero spirituale degli Spagnoli nello Yucatàn, il fanatico vescovo Diego de Landa, ordinò che i documenti, trattandosi di scritti pagani e quindi di parole del diavolo, dovevano essere distrutti. E così fu fatto un grande falò in una pubblica piazza della città di Mani e questi manoscritti preziosissimi furono dati alle fiamme. Un cronista spagnolo che registrò la scena per conoscenza dei connazionali di là dal mare ingenuamente scrisse che quando i manoscritti furono buttati nel fuoco il popolo "emise un grande grido di dolore". Ciò non è motivo di meraviglia, disse Edward Thompson, un archeologo che lavorò molto tra i primi in quella zona, perché il popolo vide " non soltanto le sue cose incenerite nel fuoco ardente, ma anche le testimonianze scritte, la saggezza accumulata dalla loro razza andare in fumo e cenere". La distruzione delle testimonianze scritte di questo popolo industrioso privò i futuri studiosi di un tesoro non rimpiazzabile. Ci sono comunque pervenuti tre testi sacri maya, da cui poter ricavare informazioni sulla loro civiltà. Questi sono: il Popol Vuh (“libro del pascolo”), che narra la storia del popolo maya dei Quiché (venne pubblicato nel 1721 dal frate domenicano F. Ximenez col titolo Historia del origen del los Indios de ésta provincia de Guatemala), gli scritti dei Chilam Balam (“sacerdoti aruspici del giaguaro”), che si riferiscono alle tradizioni del popolo dei Tutul Xiu della città di Mani e alle vicende della famiglia Xahila, e i libri dei Quiché e dei Kakchiquel.
Il Pantheon maya era molto ricco, in quanto esistevano dei per quasi ogni attività umana e fenomeno naturale. Nelle epoche più antiche le pratiche religiose dei Maya erano connesse alle forze della natura che influivano in modo preponderante nella vita quotidiana: il sole, la luna, la pioggia. La terra era concepita come piana e quadrata. Il cielo era sorretto da quattro Bacab, specie di Atlanti, posizionati in prossimità dei punti cardinali a cui erano collegati dei colori. Il cielo era poi diviso in tredici livelli a cui corrispondeva una divinità, mentre il mondo inferiore ne aveva nove. La Terra era il dorso di un coccodrillo che riposava in un lago pieno di gigli e il Cielo era un serpente con due teste. Nella configurazione del mondo i Maya distinguevano nove sfere del cielo, il Mondo Superiore, e nove degli inferi, il Mondo Inferiore. La sfera celeste più alta è abitata dalla coppia generatrice; secondo la tradizione, la terra venne plasmata e formata dagli dei prima della creazione dell’uomo, generato da una pannocchia di mais dopo due tentativi falliti, uno con l’argilla, l’altro con il legno.
Per prepararsi alle cerimonie più importanti i Maya dovevano osservare il digiuno, l’astensione dei rapporti sessuali e la confessione dei peccati. Fra le cerimonie culturali avevano particolare importanza le funzioni sacrificali, che comportava l’offerta di sangue e perfino (sebbene raramente) di vite umane; in genere venivano utilizzate diverse specie di animali, soprattutto uccelli e cani, assieme a prodotti della terra (mais, frutta e fiori).
Un dato che evidenzia largamente la grande presenza della religione nella cultura maya è la composizione della gerarchia sociale, al cui vertice era posta la casta sacerdotale ah kin (“il solare”), con a capo l’ahaucan (“principe dei serpenti”),. I sacerdoti di rango superiore si occupavano degli aspetti scientifici, dalla scrittura all’osservazione degli astri, dall’architettura sacra alle pratiche mediche. I sacerdoti di rango inferiore presiedevano invece ai sacrifici.
Anche il gioco della pelota assumeva carattere sacro per i Maya, poiché si riteneva che potesse influenzare il corso del sole nel cielo. Il rito, di cui si fa menzione nel libro sacro di Popol Vuh, era un gioco sacrificale durante il quale si rappresentava la lotta tra i mitici fratelli Hun Hunahpu (“fiore di uno”) e Vucub Hunahpu (“fiore di sette”) sconfitti e cacciati negli Inferi dalle divinità della morte Hun Came (“morte di uno”) e Vubun Came (“morte di sette). Durante queste competizioni, che si svolgevano in luoghi sacri circondati da mura, la palla doveva passare attraverso anelli di pietra fissati alla parete.
Nelle sepolture Maya accompagnavano il cadavere alcuni oggetti che potevano essere più o meno ricchi a seconda della condizione sociale del defunto. Il corredo delle persone meno agiate era infatti differente e di minor valore; consisteva in oggetti di rozza fattura sia di ceramica che di pietra. Anche le sepolture cambiavano a differenza della classe sociale a cui apparteneva il defunto. La classe meno importante usava seppellire i morti in grandi cumuli artificiali poco elevati di terra battuta, in cui a volte venivano posti più di cinquanta individui. La classe più importante invece era deposta in cumuli di altezza superiori, che contenevano una sola persona. In alcuni luoghi veniva usata anche la cremazione, comunemente per i capi. Le ceneri venivano racchiuse in grandi incensieri in terracotta, oppure in appositi recipienti non decorati. Un corredo funebre molto ricco accompagnava i resti di una sciamano; uno dei corredi ritrovati, ad esempio conteneva oggetti di particolare ricchezza e rarità e consisteva in dieci recipienti di conchiglie e di frammenti di quarzo usati per pratiche di profezia e di magia; c'erano due gusci di tartaruga, simboli della superficie terrestre, utilizzati anche come strumenti musicali, e dei frammenti di mica e di piccole conchiglie che appartenevano in origine ad uno specchio. Infine c'erano dei vistosi gioielli decorativi che servivano da ornamento personale, oggetto magico e offerta rituale. Sono stati ritrovati spilloni utilizzati dallo Sciamano per gli autosacrifici rituali. Il corredo poteva contenere anche armi di ossidiana o di selce e ornamenti personali spesso di giadeite. Inoltre accompagnavano il defunto idoli perlopiù di terracotta e argilla, ma anche di legno e di pietra.
Piccola enciclopedia degli dei maya
Ah Bolon-Caan-Chac: divinità del mondo sotterraneo, del gruppo dei Bolontikù.
Ah Bolon Yoctè: divinità del mondo sotterraneo, del gruppo dei Bolontikù.
Ah Hoyab: “lo Spruzzatore", nome assunto in alcuni casi dal dio Chac.
Ah Kinchil: "signor volto del Sole". Nella mitologia maya è il dio del Sole. Considerato manifestazione di Itzamnà. Aveva per moglie Ixchel, dea della Luna. Secondo la leggenda il dio, stanco dei ripetuti tradimenti della sua compagna, le strappò via un occhio e per questo la Luna è meno splendente del Sole Ah Puch: nella mitologia maya è il dio della morte. Spesso associato al dio della guerra e all'uccello Moam, dio delle Nuvole. E' raffigurato come uno scheletro che porta in mano il suo glifo.
Ahau Chamahez: è assieme a Cit Bolom Tum il dio maya della medicina.
Ah Bolom Tzacab: il dio dell’agricoltura.
Ahmakiq: è il dio maya della agricoltura. Quando il vento minaccia di distruggere il raccolto egli lo rinchiude.
Akhushtal: è la dea maya del parto.
Alaghom Naom: è la dea maya della terra, della abbondanza e della speranza. E' l'ispiratrice dei pensieri e dei consigli degli uomini.
Alom: dio del cielo. Uno dei sette dei che partecipò alla creazione del mondo.
Ampo: dio maya delle Rane.
Bacab: significa “figli” e sono i quattro dei arcaici sostenitori dell’universo, rappresentanti i quattro punti cardinali. Una sorta di Atlanti che, come sostenitori del mondo, sono citati nel codice Chilam Balam. I Bacab non hanno nomi distinti; essi sono gli Dei quattro, che fanno parte di quella simbologia numerica dei Maya che indica le divinità con cifre. Secondo l’antico testo Rituals of the Bacabs, scoperto da William Gates e tradotto da E. Wilkins nel 1919, nella cosmogonia maya tutto si svolge sulla base del numero quattro: quattro sono gli Dei maggiori; quattro gli Uomini veri; quattro le Ere dei Maya; quattro gli angoli dei templi e quattro i colori. Furono associati più tardi con i quattro Chac.
Balam: "giaguaro", dio del Mondo sotterraneo, corrispondente all'azteco Tepeotl.
Bolomac: divinità del mondo sotterraneo, del gruppo dei Bolontikù.
Bolon-Hacmaz: divinità del mondo sotterraneo, del gruppo dei Bolontikù.
Bolon-Hobon: divinità del mondo sotterraneo, del gruppo dei Bolontikù.
Bolon Mix: divinità del mondo sotterraneo, del gruppo dei Bolontikù.
Bolon-Mayel: divinità del mondo sotterraneo, del gruppo dei Bolontikù.
Bolontikù: sono le nove divinità ancestrali della religione maya-tolteca. Secondo la simbologia numerica maya, che indica le divinità con cifre, i Bolontikù sono chiamati gli dèi nove (caratterizzati da bolon “nove” nel nome) e rappresentano il mondo inferiore, il Michtlan. Essi sono: Bolon-Mayel, Bolontzacab, Bolon-Hacmatz, Ah-Bolon-Yoctè, Ah Bolon-Caan-Chac, Bolon-Hobon, Cit-Bolon Tun, Bolomac, Bolon Imix. Sono gli dèi più importanti dopo le 13 divinità definite collettivamente Oxlahuntiku.
Camazotz: il dio-pipistrello dei maya.
Chac: “dio del tuono”, “dio della pioggia”; veniva raffigurato nell’atto di afferrare il fuoco, che simboleggia il fulmine. Corrisponde all'azteco Tlaloc. Era considerato, per la sua funzione di apportatore di pioggia, necessaria per la riuscita dei raccolti, un dio benevolo, in alcuni casi e zone (quelle meno aride), assumeva però anche valenze negative, come personificazione del Tuono e del Fulmine. Spesso il dio Chac era accompagnato da rane e rospi come musici. E’ anche del mondo dell’agricoltura e di quello vegetale e come tale è famoso per il gran numero di rappresentazioni. Nell’aspetto del glifo della Morte è caratterizzato da un naso lungo a forma di proboscide, occhi a palla, orecchie sormontate da corna e denti a zanna sporgenti da una bocca satanica; questo glifo è presente ovunque nell’architettura maya, ripetuta all’infinito nelle facciate dei monumenti, agli angoli dei templi e persino sopra le porte, come motivo ornamentale. Come dio fluviale figura nell’atto di versare l’acqua, simbolo di fertilità, da un grosso vaso. Nella vasta iconografia maya si distinguono quattro tipi di Chac, rappresentati i quattro punti cardinali, contraddistinti ognuno da un colore particolare: 1) Chac-Xib-Chac il Rosso o Chac dell'Oriente; 2) Sac-Xib-Chac il Bianco o Chac del Nord; 3) Kan-Xib-Chac il Giallo o Chac del Sud; 4) Ek-Xib-Chac il Nero o Chac dell'Ovest. I quattro Chac erano spesso accomunati ai quattro Bacab dei punti cardinali. Esisteva anche un Chac agricolo, che era considerato il fratello buono di Yum Kax, dio del Mais. A lui venivano sacrificate le vergini nei Cenotes.
Chirakan-Ixmucane: i quattro dèi che crearono il mondo. Ciascuno si scisse in due creando altre quattro divinità (femminili).
Cit Bolom Tun: è assieme a Ahau Chamaez il dio maya della medicina. Fa parte del gruppo dei Bolontikù.
Cohui: altro nome del dio del Mais a Colhuacàn.
Ekahau: è il dio maya protettore dei viandanti e dei mercanti.
Ek Chuah: dio della guerra, più tardi chiamato con l'appellativo di Hun Pic Tock, "capitano di una truppa di ottomila uomini". Era divinità malevola, a volte considerato anche dio della Morte, assumeva valenza positiva nei periodi di pace come protettore dei viandanti e dei mercanti
Hunabku: da hunab, “uno” e ku, “dio”; è l’Essere Supremo venerato nello Yucatàn. Dio maya della Quarta Era; creatore del mondo terrestre e dei quattro Bacab. Nella veste di civilizzatore, Hunabku rinasce sulla Terra e diventa dio agricolo della civiltà del Mais. Nel Popol Vuh è menzionato come dio cosmogonico della Quarta Era, creata dalle divinità superiori dopo la distruzione dei tre mondi anteriori. Ha come moglie la dea Ixquic, che è anche il suo doppio, quindi madre del Creatore e antenata divina di tutte le donne maya. I primi nati da questa coppia primordiale sono uomini imperfetti, creati con la saliva.
Hunakau: “il capo”; regna sul metnal, il regno dei morti, e viene solitamente raffigurato con uno scheletro, o con un corpo putrefatto.
Huracàn: “con una sola gamba”; è una divinità del tuono e della tempesta oltre che della fertilità. Uno dei quattro sostenitori del mondo; dio primordiale della creazione, che si rivela nelle quattro manifestazioni che sono anche i suoi fratelli: 1) Huracàn stesso, ossia l’Uragano; 2) Cuculhà Huracàn, il Fulmine; 3) Cipi Cuculhà, il Tuono; 4) Razà Cuculhà, il Riflesso, il raggio più bello, color azzurro. E’ il dio terribile delle tempeste che domina sugli altri dei. Nella statuaria di Copan i quattro fratelli, oltre a rappresentare i quattro puntelli del mondo, sintetizzano la totalità del mondo naturale. Da Hurakan, chiamato anche Ug ux cah (“signore del cielo”), discendono Orkan e Hurrikan.
Ix Cheb Yax: altro aspetto della dea Ixchel, come dea dell'artigianato, della tessitura e delle maree.
Ixchel: significa “donna che agisce” ed è la dea della terra e della luna, nonché della fertilità e del parto, e simbolo dell’amore profano e della scostumatezza. I Maya la rappresentavano con la sola testa, senza busto, per tener fede ad una leggenda preazteca secondo la quale la dea Luna era stata decapitata per gelosia dal marito Sole. Secondo il Popol Vuh, i coniugi Luna-Sole sarebbero precipitati sulla Terra, divenendo i progenitori dell’umanità. E' inoltre la madre di tutti gli dei, la più saggia e potente di tutti, dea della luna e delle acque. E' chiamata anche la Donna-Aquila. Compagna infedele di Ah Kinchil, dio del Sole. Il suo glifo è costituito dal fiore di plumiera, simbolo del piacere sessuale.
Ixtab: “la signora della fune”, è la dea maya degli impiccati e del suicidio, ella ha il compito di ricevere le loro anime nel paradiso, poiché nella cultura maya il suicidio era considerato un atto positivo. Fa parte della mitologia tarda maya tolteca e non del pantheon classico. E' raffigurata come una donna impiccata con una corda che viene giù dal cielo, gli occhi chiusi ed il corpo già in decomposizione.
Itzamnà: “la casa sgocciolante”, il cielo; figlio di Hunabku e consorte di Ixchel, è personificazione del Sole, signore del cielo, dio della Luce solare e del Fuoco sotterraneo. Dio del fuoco, presente in tutte le civiltà mesoamericane con nomi diversi, nella mitologia maya etra spesso associato al dio del Sole Ah Kinchil. Il suo secondo nome, con riferimento al disco solare, era Kinich Ahau (“il signore con il sole in fronte”); nello Yucatàn veniva designato col nome di Yaxcocahmut (“lucciola verde”).Nei codici maya è citato come patrono dei sacerdoti, inventore della scrittura e delle scienze in generale e viene considerato una divinità sempre ben disposta nei confronti degli uomini, in quanto è visto non tanto come divinità creatrice dell'universo primordiale quanto una specie di eroe civilizzatore, molto simile in questo ai Gemelli del Popol Vuh. Il glifo del suo nome è stato rintracciato nel Popol Vuh. Al suo strabismo molti studiosi riconducono la abitudine alquanto diffusa tra i Maya di indurre tale difetto, considerato però da essi segno di distinzione e di nobiltà, nei giovani. E' raffigurato come una lucertola con due teste. In suo onore si celebravano solenni feste, durante le quali si immolavano gli animali a lui sacri. Il suo simulacro veniva ornato con vesti sontuose e con gioielli.
Kabrakan: significa “terremoto” ed è appunto il dio del terremoto
Kan-U-Uayeyab: è il dio maya posto a protezione delle città.
Kinich Kakmo: è il dio maya del sole.
Kisin: nella mitologia maya Kisin è considerato lo spirito malvagio dei terremoti. Egli vive nelle profondità della terra in una sorta di purgatorio in cui accoglie temporaneamente tutte le anime, fatta eccezione per quelle dei guerrieri morti in battaglia e delle donne morte durante il parto. I suicidi sono destinati a rimanere lì in eterno.
Ku: termine maya che significa "Dei".
Kukulcan o Kukumatz: significa “serpente piumato verde”, ed ha affinità con il serpente piumato azteco Quetzalcoatl; protettore dei sacerdoti, a lui erano consacrati un tempio e una fonte a Chichèn Itzà.
Mitnal: “luogo dei defunti"; è l'inferno della mitologia maya, dove le anime dei peccatori vengono barbaramente torturate.
Nacon: è il dio maya della guerra.
Opop: dio maya del mese e delle festività in onore del giaguaro.
Pauahtuns: altro nome dei quattro Bacab.
Uo: dio maya dei Rospi.
Yaxche: albero del Paradiso sotto il quale si riposano le anime dei buoni.
Yumkaax: “signore dei boschi”; era il dio del grano e del Mais. Terza divinità in ordine di Importanza dopo Itzamnà e Chac. E' raffigurato come un giovane fanciullo con i capelli intrecciati con grandi foglie di mais e recante nella mano una pannocchia di granturco. Considerato a volte fratello di Chac. Compagna di Yumkaax è una dea, di cui si sa ben poco raffigurata come una donna prosperosa, dai grandi seni e tutta ornata sulla testa e sul corpo di foglie di granturco.
Xaman Ek: dio della Stella Polare, ma considerato anche personificazione di ogni altra stella, patrono dei mercanti, avventurieri e dei navigatori. E' raffigurato recante in mano il proprio glifo e con in testa l'uccello Moam.
Zipakna: “bipede”; è il dio della terra.
I Calendari maya
Il 10 agosto 3113 a.C., che secondo alcuni sarebbe il giorno della creazione, segna l’inizio del calendario maya. Dallo studio di questo calendario si apprende come i Maya avessero perfezionato una sofisticata tecnica di misurazione del tempo. Essi distinguevano quattro calendari: lo Tzolkin, l’Haab, il Conto Lungo e Il Calendario di Venere.
TZOLKIN, il calendario religioso
Lo Tzolkin, piuttosto complesso, dimostra le capacità matematiche dei Maya. Ogni giorno è caratterizzato da un numero, in una sequenza di tredici (numero sacro maya), e da un nome, in una sequenza di venti nomi di dèi. Così per riuscire a tornare al punto di partenza, devono trascorrere ben 260, che costituiscono appunto la durata dell’anno religioso. Questo calendario è tuttora in uso presso alcune tribù delle alte terre guatemalteche.Questo schema rappresenta il ciclo dei giorni del calendario religioso: girando la ruota con i numeri in senso ANTIORARIO, e quella con le lettere in senso ORARIO, facendo corrispondere in sequenza ad ogni numero una lettera, otterremo, nel punto indicato dalla freccia, le denominazioni dei vari giorni secondo il calendario maya Tzolkin, dove le venti lettere stanno ad indicare i nomi de gli dei, e i numeri, i giorni in base tredici.
HAAB, il calendario civile e solare
Il calendario civile, l’Haab, era usato dai Maya, parallelamente allo Tzolkin. L’Haab era formato da 365 giorni: l’anno era suddiviso in diciotto mesi di venti giorni ciascuno, numerati da 0 a 19, e aveva termine con cinque giorni infausti, gli uayet, in cui si credeva che i morti si risvegliassero dal sonno eterno per vendicarsi dei torti subiti. Ogni mese era inoltre rappresentato da un proprio glifo. Poiché i due calendari venivano adoperati insieme, era una pratica usuale per la civiltà maya che lo stesso giorno venisse indicato con due date differenti; per tornare alla data di partenza dovevano trascorrere 52 anni civili. Questo periodo, chiamato “Il Giro del Calendario”, ricopriva uno spazio di tempo molto lungo e la sua conclusione veniva celebrata in modo solenne, a causa dell’ossessione che i Maya nutrivano nei confronti del tempo e dei suoi cicli. Per far fronte a questa fobia, i Maya assegnavano anche nomi a enormi periodi di tempo, come l’Aulatun (64 milioni di anni), non richiesti da nessuna esigenza di carattere pratico, ma che illustrano la mentalità dei sacerdoti di dominare e catturare il tempo, spingendosi verso un lontanissimo futuro, quasi a rendere finito l’infinito.
Giorni Maya Significato Mesi Maya Durata
Imix Acqua Pop 20 gg
Ik Aria Uo 20 gg
Akbal Notte Zip 20 gg
Kan Grano Zotz 20 gg
Chicchan Serpente Tzec 20 gg
Cimi Morte Xul 20 gg
Manik Cervo Yaxkin 20 gg
Lamat Coniglio Mol 20 gg
Muluc Pioggia Chen 20 gg
Oc Cane Yax 20 gg
Chuen Scimmia Zac 20 gg
Eb Ginestra Ceh 20 gg
Ben Canna Mac 20 gg
Ix Giaguaro Kankin 20 gg
Men Uccello Muan 20 gg
Cib Avvoltoio Pax 20 gg
Ceban Forza / Terra Kayab 20 gg
Eznab Selce Curmhu 20 gg
Cauac Tempesta Uayeb 5 gg
Ahau Signore
IL CONTO LUNGO, l'anno solare


In epoca classica i Maya aggiunsero allo Tzolkin e all'Haab un terzo calendario, chiamato il Conto Lungo, che presentava caratteristiche simili al calendario attualmente usato dai nostri astronomi. Iniziava dal 13 agosto 3114 a.C., e, costruito secondo un originale sistema a due ruote dentellate, rappresentava l'integrazione degli altri due calendari.
IL CALENDARIO DI VENERE, un calendario astronomico

Uno dei più antichi calendari dei Maya è il Calendario dei Venere, importante compendio di calcoli astronomici. Pur risalendo a circa 3000 anni fa stupisce tutt'oggi per la precisione con cui prevede l'eclissi. Questo calendario è inciso su una grande pietra, un tempo affissa alla Porta del Sole, al centro del Tiahuanaco, città andina presso il lago Titicaca a 4000 metri d'altitudine. E' sostanzialmente il calendario Haab, unito ad alcuni caratteri dello Tzolkin e a scoperte astronomiche fatte da questo popolo (soprattutto quelle su Venere). Usanze e tradizioni Alcune discutibili tradizioni dei Maya erano quelle di schiacciare il cranio dei neonati tra due assi per fargli assumere "artificialmente" una forma più piatta ed allungata. Nonostante questa usanza potesse causare dei traumi nei bambini, aventi ancora le ossa fragili, questo aspetto fisico veniva visto positivamente perché era più simile a quello degli dei. Un'altra usanza era quella di rendere strabici i bambini attraverso una pallina posta davanti gli occhi, perché anche questa caratteristica era simbolo di bellezza. Molte tradizioni dei Maya sono state tramandate fino ai giorni nostri e vengono ancora rispettate dagli indios, come il rispetto per la natura (verso la madre terra), il matrimonio, la gravidanza, l'aiuto e la collaborazione tra le famiglie del villaggio. La natura: la tradizione più importante riguarda il rispetto vero e proprio della natura; la terra viene considerata una vera e propria madre e le viene chiesto il permesso di coltivarla ad ogni semina o per ogni altra operazione agricola. Il matrimonio: secondo le tradizioni maya, è il ragazzo ad andare a casa della ragazza interessata per fare la richiesta di matrimonio. Se la ragazza non acconsente subito, il ragazzo ha ancora due possibilità, terminate le quali non potrà mai più chiederla in sposa. Se la ragazza invece acconsente, il ragazzo deve chiedere il permesso alla famiglia della ragazza alla quale spetta la decisione finale. Dopodiché si faranno varie riunioni fra i genitori delle due famiglie che, giunti all'accordo, prepareranno i festeggiamenti. Durante il rito del matrimonio, come in molti altri, parte della cerimonia viene celebrata in ricordo degli antenati. La gravidanza: quando una donna è incinta, per il periodo della gravidanza non deve vedere nessun altro bambino e deve fare lunghe passeggiate fra i campi, per mettersi in contatto con la natura e per farla amare al bambino. Per il parto, anche ai giorni nostri, la donna non può recarsi all'ospedale perché le tradizioni lo vietano. Dopo il parto si brucia la placenta e il bambino rimane solo con la madre per otto giorni. Dopo questo periodo il bambino viene presentato alla comunità con una grande festa.
La bellezza

I canoni della bellezza Maya decretavano cranio allungato, naso largo e aquilino, occhi a mandorla, labbro inferiore cascante, mento un po' arretrato. Appena nati, i bambini venivano sottoposti a un trattamento di appiattimento e compressione del cranio mediante tiranti in cuoio, con fini estetici ma anche pratici: la parte alta del cranio, così allungata, offriva un perfetto sostegno per le reti da trasporto. Ai bambini veniva indotto lo strabismo segno di distinzione sociale, mediante palline sospese davanti agli occhi. I lobi delle orecchie erano perforati e deformati per inserire dischi o sostenere enormi pendenti. Tra i Maya c'era quindi una notevole uniformità fisica; i Maya di sangue puro avevano i capelli neri, dritti o, lievemente ondulati e gli occhi scuri. Per i tatuaggi si utilizzavano tavolette di legno su cui erano fissati acuminati denti di pesce, tale segno permanente e colorato era associato a rituali religiosi o magici e venne poi importato anche in Europa con diversi significati. Carattere meno permanente ma altrettanto cruento avevano le ferite che i Maya si procuravano per gli autosacrifici rituali trafiggendosi la lingua o le dita per offrire il proprio sangue come nutrimento agli dei. I Maya limavano i loro denti in molti modi. È probabile che ogni disegno avesse un particolare significato tribale o religioso, perché sono stati identificati più di cinquanta diversi modelli. Gli orletti incisivi di alcuni denti erano limati con una sola incisione, altri con una doppia; qualcuno aveva le parti distali degli orletti rimosse, lasciando la parte di mezzo intatta, e alcuni erano incisi con punti. Grazie a Diego de Landa che ci ha lasciato numerose annotazioni sulla civiltà del popolo noi conosciamo alcune delle loro pratiche, compresa la limatura dei denti. Egli dice, riferendosi ai Maya dello Yucatàn: "Essi avevamo l'abitudine di limare i loro denti e renderli simili come quelli di una sega: facevano ciò per vanità. La pratica era eseguita da donne anziane che usavano particolari pietre ed acqua".
Una controversia interessante è sorta intorno ad un frammento di scheletro trovato nel sud della zona dei Maya, a Esmeraldas nell'Ecuador (conservato oggi nella Collezione del Museum of the American Indian a New York City). Questo, descritto per la prima volta da Marshall H. Saville nel 1913, rappresenta una parte di una mascella con tutti i denti posteriori fatta eccezione per i terzi molari. I due incisivi contengono rotondi intarsi d'oro sulle loro superfici labiali. È abbastanza evidente che questi due incisivi furono pressati nei loro alveoli dentari fratturando il processo alveolare. Uno degli incisivi fu limato nella superficie mediale della corona per renderlo adatto allo spazio disponibile. Molti specialisti, specialmente Bernhard Weinberger, uno dei grandi storici dentisti d'America, sono dell'opinione che questo sia un chiaro esempio di trapianto di denti da un individuo ad un altro. Ma Samuel Fastlicht di Mexico City, senza dubbio la più grande autorità mondiale nel campo della odontoiatria precolombiana, contraddice questa ipotesi per un motivo ovvio: non vi è alcuna rigenerazione ossea nelle linee di frattura. Perciò il trapianto fu fatto sicuramente post-mortem, forse preparando il corpo per il seppellimento seguendo delle credenze religiose simili a quelle degli antichi Egizi.
Vi è però una chiara testimonianza che i Maya praticavano l'impianto di materiale alloplastico (non organico) in persone viventi; infatti scavando alla Playa de los Muertos nella Ulúa Valley dell'Honduras nel 1931. Wilson Popenoe e sua moglie trovarono un frammento di mandibola di origine Maya, databile attorno al 600 d.C.. Questo frammento ora al Peadoby Museum of Archaelogy and Etnhology della Harvard University, è stato studiato da Amadeo Bobbio di S. Paulo, Brazil, una autorità mondiale negli impianti. Egli osservò tre pezzi di conchiglia a forma di dente che erano stati posti negli alveoli di tre denti incisivi inferiori mancanti; contrariamente ad una precedente opinione secondo cui essi erano stati inseriti dopo la morte, Bobbio dimostrò con i raggi X, nel 1970, una formazione compatta di osso attorno a due degli impianti, reperto osseo radiograficamente simile a quello che circonderebbe un impianto endoosseo di oggi. Di conseguenza il frammento rappresenta i più antichi impianti alloplastici endoossei sinora scoperti.
I membri delle classi più elevate portavano intarsi in giada, ossidiana o conchiglie negli incisivi: pratica dolorosissima, adottata su denti sani dal momento che non si tratta di protesi o di otturazioni di carie. I sovrani si facevano rimodellare il naso con stucco o deformazioni delle narici per assomigliare a Chac, il dio della pioggia del naso lungo; il viso del re veniva inoltre sottoposto a scarificazione, con profonde incisioni sulla cute. Per sopportare il dolore questi personaggi masticavano fogli di coca o bevevano la cioccolata, che è l'equivalente della grappa dei nostri giorni.
La scrittura

I Maya elaborarono un metodo di scrittura geroglifica e registrarono la storia, la mitologia e i riti in iscrizioni scolpite e dipinte su lastre di pietra o colonne, architravi, scalinate, o altri monumenti. Venivano inoltre scritti libri di carta ripiegata ottenuta dalle fibre di agave, contenenti informazioni di agricoltura, clima, medicina, caccia e astronomia. Nel 1549, sette anni dopo la parziale conquista degli Indios Maya dello Yucatàn, padre Diego de Landa arriva a Mérida, capitale dei territori. Si sforza con tutti i mezzi di estirpare le costumanze e le credenze del popolo che lo circonda, per convertirlo al Cattolicesimo. A tale scopo egli giunge a servirsi di un procedimento che ritiene efficacissimo: un gigantesco auto-da-fè, in cui vengono bruciati tutti i libri indigeni. La storia, la cultura, la tradizione di un popolo vengono in tal modo distrutte. Questo gesto inconsulto, irreparabile, sarà nonostante tutto minimizzato dal suo autore, che del resto non ne coglie la gravità. Nel 1566 padre de Landa redige la Relacion de las Cosas de Yucatàn. Egli riproduce nella sua opera certi glifi calendari e segni ancora in uso nello Yucatàn al tempo del suo ministero. Li ha visti disegnati nei libri "blasfemi" che ha fatto bruciare e ce ne fornisce la trascrizione. L'opera di distruzione di padre de Landa è stata purtroppo eseguita alla perfezione. Restano soltanto tre codici maya, tutti e tre scoperti in Europa, dove con tutta probabilità erano stati spediti da monaci o soldati al momento della conquista. Si tratta del Codex Dresdensis, del Codex Tro-Cortesianus e del Codex Peresianus. I codici consistono in lunghe strisce di corteccia di ficus, battute, impregnate di resina, poi ricoperte di un leggero strato di calce spenta sul quale sono dipinti glifi, cifre, immagini di dei e di animali, sempre con gli stessi colori: nero, giallo, verde, azzurro e rosso. Le strisce sono larghe circa venticinque centimetri , ma lunghe parecchi metri; esse venivano scritte prima su una e poi sull'altra faccia ed erano poi ripiegate a fisarmonica. Il Codex Dresdensis, il più prezioso, misura metri 3,50 di lunghezza e possiede 78 pagine. Appartiene alla biblioteca di Dresda dal 1739. Si tratta soprattutto di un trattato di astronomia, ma contiene anche numerosi oroscopi e alcune indicazioni sui riti. Proprio grazie a questo codice, E. Fostermann è riuscito a decifrare la struttura interna del calendario maya e del conto lungo. Il Codex Tro-Cortesianus è il più lungo (m 7,15). Conta centododici pagine e si trova alla Biblioteca Nazionale di Madrid. E' in sostanza un libro di divinazione, una sorta di promemoria usato dai sacerdoti indovini. Il Codex Peresianus è incompleto e in pessimo stato (m.1,45 di lunghezza).Possiede ventidue pagine. Tratta degli dèi dei katun e delle cerimonie relative alla successione di undici di tali katun. Appartiene alla Biblioteca Nazionale di Parigi. I glifi di questi codici sono identici a certi glifi che figurano sui monumenti del Petén e delle regioni adiacenti, nonché a quelli dell'opera di padre Diego de Landa. Grazie ad essi, si è potuta stabilire la stretta parentela culturale esistente tra i Maya delle terre del sud e i Maya dello Yucatàn. Il Popol Vuh, ovvero "Libro del Consiglio", scritto in lingua maya con caratteri latini nel XVI secolo, ci fornisce informazioni sulla religione, la mitologia, l'emigrazione, la storia dei Maya Quiché, i cui discendenti vivono tuttora sugli altipiani del Guatemala. E' un libro d'importanza capitale. Ma sono stati i Libri di Chilam Balam, resoconti in lingua maya scritti in caratteri latini nei secoli posteriori alla conquista spagnola, che ci hanno permesso di avere un primo ragguaglio storico dei Maya dello Yucatàn. Il loro contenuto è spesso oltremodo simbolico e contraddittorio. Ciononostante, lo studio dei monumenti e gli scavi archeologici eseguiti nelle città maya dello Yucatàn hanno confermato, o chiarito, numerosi passi di questi preziosi libri indios. Per lungo tempo la scrittura Maya, di antica origine, fu considerata un invenzione dello stesso popolo Maya, ma in realtà, dopo gli ultimi studi, è divenuto sempre più evidente che furono gli Olmechi, i vicini settentrionali dei Maya, a lasciare a questi in eredità la glifografia. Gli antichi stili di scrittura Maya erano due: uno monumentale e uno caratterizzato da glifi scritti a mano su carta di corteccia e pelle di daino. Entrambi gli stili, i segni di carattere ideografico, fonetico o misto, hanno presentato per lungo tempo una certa difficoltà di interpretazione.
La scrittura Maya è ideografica perché ogni carattere rappresenta un'idea astratta e comporta anche elementi di scrittura a tipo di rebus ; è pittografica e simbolica ma non sillabica, sebbene contenga un gran numero di elementi fonetici. Il complicato sistema di scrittura elaborato dai Maya e il fatto che essi lo ritenessero un dono sacro concesso dagli Dei a favore di pochi eletti e privilegiati, faceva si che la glifografia fosse gelosamente custodita da una ristretta élite dominante che aveva, secondo la tradizione, il potere di mediare tra le divinità e il popolo.
Caratteristiche della scrittura

Le iscrizioni Maya erano composte da file di segni (glifi) solitamente disposti in colonne verticali che andavano quindi lette dall'alto in basso o con un sistema di alternanze tra una fila e l'altra che variava secondo che le linee di segni presenti sullo stesso monumento fossero in numero pari o dispari. Ciascuno dei glifi poteva essere composto da un elemento principale e da una serie di affissi a lui collegati in modo da formare un complesso disegno generalmente iscrivibile in una sagoma quadrangolare od ovale. Una regola grafica che rese le iscrizioni Maya particolarmente eleganti e ordinate. Uno dei problemi principali che si trovavano ad affrontare i decifratori è che i Maya potevano scrivere ogni parola del loro linguaggio in modi diversi senza che questo ne alterasse il significato. Le diverse possibili soluzioni hanno creato notevoli difficoltà agli studiosi ma, in alcuni casi si sono dimostrate addirittura utili. E' noto infatti che un elemento pittografico della loro scrittura poteva sostituire una sillaba e grazie a ciò è stato possibile identificare i simboli fonetici che accompagnavano la figura conosciuta. Ci sono poi i glifi che hanno significati diversi secondo il contesto in cui sono inseriti ed altri che avevano la medesima pronuncia, ma diverso significato.
Questa esclusiva nell'uso della scrittura ci può portare alla memoria un carattere tipico di altre civiltà della Mezzaluna Fertile, sviluppatesi durante lo stesso periodo storico, che elaborarono un tipo di scrittura per molti versi simile a quella Maya, con l'uso di caratteri geroglifici e cunei formi; per caratteri e scopi la scrittura Maya risultava avere pure molte affinità con le scritture orientali dell'India e della Cina. Un'altra civiltà, quella Fenicia, ebbe il vanto, rispetto al tipo di scrittura utilizzato dalle civiltà soprannominate, di aver inventato l'alfabeto fonetico; un sistema piuttosto pratico nato dalla necessità di utilizzare un mezzo semplice per commerciare e comunicare tra gli uomini. Possiamo tuttavia trovare una fondamentale differenza tra la scrittura Fenicia e quella Maya. Quest'ultima era nata con lo scopo di tramandare dei dati cronologici , i nomi e gli influssi degli dei che presiedevano sul tempo, o ancora le scoperte di carattere astronomico, e successivamente eventi legati alla storia, ma non per scopi commerciali (infatti la glifografia non fu mai usata per stilare contratti); i Fenici invece, perfezionarono la scrittura e inventarono l'alfabeto fonetico proprio per soddisfare la necessità di registrare con esattezza e con un sistema pratico e veloce tutte le transazioni commerciali.
Aritmetica

Per scrivere i numeri, oggi usiamo il sistema detto posizionale: ciò vuol dire che, se leggiamo un numero da destra verso sinistra, nel nostro sistema in base 10 o decimale, ogni cifra ha un valore dieci volte superiore a quello della cifra precedente. Per esempio, nel numero 1987 abbiamo 7 unità, 8 decine, 9 centinaia, e 1 migliaio, dove la decina è pari a 10 unità, il centinaio a 10 decine, e il migliaio a 10 centinaia. I Maya impiegavano un sistema equivalente, ma la progressione numerica andava dal basso verso l'alto, e ogni livello era venti volte più elevato del livello precedente (sistema vigesimale o in base 20). Le cifre si esprimevano mediante un punto, che stava per l'unità, e una barra orizzontale, equivalente a cinque. Esse potevano essere anche espresse da glifi a forma di testa.
Osservatori maya

I Maya erano molto attenti al moto degli astri, costruirono infatti le loro città seguendo particolari allineamenti. Molte città erano orientate verso la levata o il tramonto del Sole ai solstizi, inoltre l'orientazione teneva conto della latitudine del luogo, cosicché non tutte le città hanno la stessa disposizione assoluta, ma relativa alla propria posizione geografica. Inoltre i Maya utilizzavano gli assi delle loro città e quelli dei palazzi più importanti per determinare con l'anticipo di uno o due dei loro mesi il passaggio del Sole allo zenit. Tale momento era di particolare importanza poiché coincideva con l'inizio della stagione delle piogge, la più importante dell'annata agricola. Numerosi sono i templi che presentano punti di osservazione fondamentali per la vita dei Maya. Uno di questi si trova nell'antica città di Uaxactum, nel Guatemala; vi è un complesso templare in cui dalla cima della gradinata di una piramide era possibile osservare la levata del Sole nei solstizi e negli equinozi. Infatti al solstizio estivo il Sole appariva al mattino sullo spigolo nord di un piccolo tempio posto di fronte alla piramide; agli equinozi sorgeva dietro la porta di un'altra costruzione sacra ed al solstizio invernale sorgeva invece dietro lo spigolo sud di un terzo tempio. Il monumento più noto come osservatorio è il Caracol (chiocciola) della città di Chichèn Itzà. E' una torre cilindrica posta su base quadrata, all'interno una scala a chiocciola porta al piano superiore dove si trovano tre finestre dalle quali venivano effettuate le osservazioni astronomiche. Probabilmente c'erano molte più aperture che purtroppo sono andate distrutte. Il Caracol presenta numerosi allineamenti, tra essi c'è quello della gradinata d'accesso che punta sul tramonto del Sole al solstizio estivo. Sulla gradinata della piattaforma superiore c'è una nicchia nella quale due piccole colonne (una bianca ed una rossa) inquadravano una persona che, guardando di fronte, poteva vedere il tramonto di Venere quando, ogni 8 anni, raggiungeva la sua massima declinazione negativa. Si potevano fare allineamenti anche dalle finestre in cima alla torre: sulla prima si poteva osservare il tramonto del Sole agli equinozi; la seconda puntava sul tramonto di Venere quando aveva la massima declinazione negativa e la terza sulla levata di Achernar, la stella principale della costellazione dell'Eridano. Lo studio del moto di Venere era molto importante, come si può rilevare dalle tavole del Codice di Dresda che trattano in modo accurato delle previsioni sulle apparizioni di questo pianeta. E' interessante inoltre notare che i templi Maya avevano tutti 365 scalini, uno per ogni giorno dell'anno, ad evidenziare ancor di più come questo popolo fosse ben attento al tempo.
Arte & cultura

La grande stele di pietra raffigurante un sovrano affiancato da un'iscrizione che ne celebra le azioni, è un classico esempio di arte Maya. L'arte di questo popolo era intrisa di religione e di propaganda politica ed era tesa a rappresentare i concetti cosmologici che facevano da contesto al potere del sovrano. Gli architetti Maya costruivano imponenti edifici che simboleggiavano i principali elementi del cosmo; gli scultori realizzavano stele, altari e bassorilievi sui quali compaiono spesso anche iscrizioni glifiche; i pittori li conosciamo soprattutto per le ceramiche dipinte su cui abbondano scene relative alla vita dei sovrani, principali committenti delle opere d'arte assieme ai membri dell'alta nobiltà. Ai nobili erano anche destinati i gioielli di pietra semipreziosi (la giada in particolare), conchiglie e osso. Gli artisti erano spesso appartenenti alla nobiltà e la loro attività era ritenuta collegata alle forze sacre della creazione: per questo erano personaggi tenuti in grande considerazione e, dato il contenuto delle loro opere, dovevano essere profondi conoscitori della cosmologia, della religione e del calendario. I pittori erano nello stesso tempo anche scrittori. Per quanto riguarda l'architettura le rovine di numerosi centri costruiti per le cerimonie religiose mostrano l'abilità dei Maya nel campo dell'architettura. Questi centri comprendevano di solito vari basamenti piramidali, spesso sormontati da templi o altri edifici, affacciati a loro volta su una grande piazza comune. Le piramidi, generalmente di terra e pietrisco, erano rivestite di blocchi di pietra e vi si accedeva tramite ripide scale, poste su uno o più lati. L'arco era sconosciuto; l'interno e l'esterno erano dipinti con colori brillanti mentre le decorazioni, sculture in legno dipinto, stucchi e mosaici in pietra abbellivano le facciate. Le abitazioni comuni erano probabilmente simili alle capanne in mattoni e frasche in cui abitano ancora oggi i discendenti dei Maya. La lavorazione delle pietre I Maya erano abili nel mettere intarsi di pietre assai bene incise in cavità accuratamente preparate nella dentatura anteriore superiore e inferiore e, qualche volta, nei denti premolari. Questi intarsi erano fatti con una varietà di minerali, compresa la giadeite (un silicato connesso e simile nell'aspetto alla giada orientale), piriti ferrose, ematite (che essi chiamavano "pietra di sangue"), turchese, quarzo, serpentino (che, quando è in combinazione con dolomite, magnesite o calcite, ha l'aspetto simile alla giada) e cinabro, il minerale da cui è estratto il mercurio. E' accertato che le cavità erano praticate su denti viventi. Un tubo rotondo e duro, simile ad una cannuccia da bibite, fatto prima di giada e poi di rame, era fatto girare tra le mani o in un trapano a corda, con una sospensione di quarzo in polvere in acqua come abrasivo, in modo da ottenere un buco perfettamente rotondo nello smalto e nella dentina Le radiografie hanno mostrato che se inavvertitamente si penetrava la polpa l'intarsio era messo lo stesso, la polpa moriva e come risultato si aveva un ascesso periapicale. La pietra intarsiata era sistemata in modo da riempire la cavità. E' così che molte sono rimaste in loco per un migliaio di anni. Per assicurarne una migliore ritenzione e resistenza alla frizione, lo spazio tra l'intarsio e la parete della cavità veniva riempito di cemento. Moderni esami spettrografici dei residui di questi cementi dimostrano che essi erano fatti di diversi materiali, soprattutto di fosfato di calcio. Si sono trovate anche particelle di silicone, ma non sappiamo se quest'ultimo era mescolato al cemento per ottenere un migliore adesivo, o se faceva parte dell'abrasivo usato per formare la cavità.
La lastra di Palenque

La lastra di Palenque è il coperchio di un sarcofago ritrovato il 15 giugno 1952 nella piramide delle Iscrizioni nella città di Palenque e appartenente probabilmente al nobile Pacal, fondatore della città; le sue dimensioni sono 3.80 x 2.20 metri e pesa cinque tonnellate circa. Per molti anni si è discusso su cosa rappresentino le figure riprodotte sulla lastra, ma non si è ancora arrivati ad una decisione: secondo gli archeologi rappresenterebbe il viaggio ultraterreno che il defunto si apprestava a fare, ma secondo altri potrebbe essere una rappresentazione delle principali divinità maya. Non trascurabile però è l'interpretazione ufologica della scena: il defunto è rappresentato in quella che sembra una capsula, nell'atto di decollare: a conferma di ciò c'è quello che sembra fumo alla base della navicella, ma questa interpretazione sembra anche a me troppo di fantasia, sebbene il rilievo rappresenti proprio questa scena. Lo studioso americano Maurice M. Cotterell nel suo libro "Le profezie dei Maya" analizza approfonditamente la lastra di Palenque, dandone una chiave di lettura che, anche se a volte sembra un po' bizzarra, soprattutto dal punto di vista del metodo, è secondo me una delle migliori.
La leggenda del serpente piumato

All'arrivo degli Spagnoli, Quetzalcòatl rappresentava presso gli Aztechi il dio del vento. Simboleggiava anche l'acqua e la fertilità e, per estensione, la pioggia e la vegetazione o persino il manto verde della natura che si desta in primavera. Sedeva al primo posto nel pantheon di Teotihuacàn, la grande città teocratica degli altipiani del Messico centrale, assai prima che si verificassero le invasioni dei Toltechi e degli Aztechi. Alla fine dell'VIII secolo, quando le tribù tolteche di lingua nahua, specialiste nei sacrifici umani, s'infiltrano nel territorio di Teotihuacàn e distruggono la città, adottano, secondo le loro tradizioni, il Serpente Piumato, cui danno il nome nahua di Quetzalcòatl (quetzal "piume preziose", e còatl "serpente"). Il Serpente Piumato si diffuse in tutto il Messico sulla scia dei feroci conquistatori. Col suo potere essenziale e benefico di "portatore di piogge", divenne ben presto la divinità tolteca predominante, al punto che il suo solo nome si rivesti di virtù magiche e finì col diventare il titolo supremo riservato ai re-sacerdoti di quel popolo. Quando i guerrieri aztechi, del pari di lingua nahua, dilagarono a loro volta sugli altipiani a partire dal XIII secolo, raccolsero e assimilarono le tradizioni, le leggende e le gesta storiche dei cugini Toltechi. Dalle loro cronache apprendiamo che il quinto sovrano tolteco, Quetzalcòatl, visse cinquantadue anni, dal 947 al 999. In realtà si chiamava Ce-Acatl (Uno-Canna) dal nome dell'anno di nascita; ricevette il titolo di Quetzalcòatl quando venne eletto re-sacerdote di Tollan, alla morte del padre. Quetzalcòatl era un uomo di grande bruttezza: portava la barba, ma era casto, pio, giusto e benevolo. Fu un grande realizzatore. Con lui ha inizio l'età d'oro dei Toltechi. Troppo breve, purtroppo; perché il sovrano di Tollan commise un grave errore. Avendo tentato di abolire i sacrifici umani per sostituirli con offerte di fiori, incenso, farfalle e pane di mais, si fece numerosi nemici, particolarmente fra i capi guerrieri. Questi ultimi moltiplicarono le occasioni per far cadere in errore e in peccato il loro re. Impuro, diventava automaticamente indegno del trono e poteva essere destituito. Tutti i loro tentativi fallirono, fino al giorno in cui gli offrirono uno specchio. Spaventato dalla propria bruttezza e dalle proprie profonde rughe, egli acconsentì a bere un liquido ad alta gradazione alcolica per cacciare la sgradevole impressione. Cantò, bevve ancora, scordò ogni dignità e sprofondò in una triste dissolutezza. L'indomani il suo cuore era gravato dalla vergogna. Preferì perciò lasciare Tollan e prese, col suo seguito, la strada di Tlapollan, in direzione est. Quetzalcòatl morì l'anno uno-canna, un anno che portava lo stesso nome di quello della sua nascita, essendo vissuto cinquantadue anni, vale a dire un intero ciclo di tempo. Alla sua morte, un altro importante ciclo prendeva l'avvio per cinquantadue anni. Il cuore di Quetzalcòatl raggiunse Venere, la stella del mattino, e il pianeta assunse da quel momento in poi il nome di Ce-Acatl. Le cronache azteche insistono molto sul fatto che il re barbuto della città di Tollan, ossia della regione dell'ovest, paese del colore bianco, fuggì verso est, paese del colore rosso e nero, al fine di prendere il mare e perire tra le fiamme. Questi racconti precolombiani aggiungono che Quetzalcòatl aveva dichiarato, prima della partenza, che sarebbe tornato da est per mare a restaurare il suo regno tolteco. Questa predizione avrebbe notevolmente semplificato il compito di Cortés al suo arrivo in terra azteca. L'imperatore Moctezuma immaginò che la vecchia profezia si traducesse in realtà. Tutto concordava: lo straniero portava la barba, era bianco, colore simbolico dell'ovest, e quindi di Quetzalcòatl, e giungeva da est, per mare, nell'anno uno-canna! Cosi', anziché schiacciare lo spagnolo appena sbarcato con le centinaia di migliaia di guerrieri di cui disponeva, si affrettò a fare offerte agli dei e doni a Cortés. Tra questi doni c'era la sontuosa acconciatura di piume di quetzat che era appartenuta, stando alla tradizione, a Quetzalcòatl stesso. In tal modo Moctezuma consegnò l'impero azteco agli Spagnoli. "Eppure questa cultura è sopravvissuta alle vicende secolari e dilata i nostri orizzonti con nuove valutazioni estetiche e applicazioni di moduli architettonici di una modernità sorprendente; così come i suoi testi più antichi ci incitano allo studio di originali modi di concepire l'universo, l'aldilà, il destino dell'uomo, le scienze, le arti, la funzione del pensiero." I Maya oggi Il fascino esercitato dalle rovine dell'antica civiltà Maya e le numerose teorie sulla loro "fine", fanno spesso dimenticare che i Maya non sono mai scomparsi e che ancora oggi popolano vaste regioni del Messico e del Guatemala. L'equivoco nasce probabilmente dalla confusione tra la civiltà "archeologica" dei Maya e l'omonima famiglia linguistica ed etnica. Così come nell'antichità anche oggi i Maya sono suddivisi in diversi gruppi etnici tra cui Tzotzil, Tzeltal, Chol, Tojolab e altri. Il modo di vivere dei Maya d'oggi inoltre non differisce molto da quello dei loro antenati: conserva, infatti, molti dei costumi antichi, e nelle preghiere continua a nominare le divinità del passato insieme ai santi cattolici. Anche le attività economiche non sono cambiate: l'agricoltura rimane sempre la fonte di sostentamento principale. Attualmente, le persone che parlano lingue Maya sono probabilmente oltre un milione, ma questa cifra non rende giustizia dalla fortissima presenza di indigeni di lingua spagnola e al ruolo della cultura Maya nell'ambito della cultura messicana. La "Resistenza culturale dei Maya" è la conseguenza della colonizzazione politica, culturale ed economica a cui sono stati sottoposti; situazione che ha causato nei secoli un'infinità di rivolte, l'ultima delle quali (quella dell'Esercito zapatista del Chiapas, composto in gran parte da Indigeni Tzotzil e Tzeltal) ci mostra i Maya sotto un aspetto ben diverso da quello oleografico a cui ci ha abituati una certa storiografia.

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