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lunedì 2 marzo 2009

Recensione libro Novelle per un anno di Pirandello

Le novelle ricoprono uno spazio importantissimo nel panorama letterario di Pirandello.

Ciò è osservabile dal fatto che, delle circa duecentocinquanta scritte, la prima la compose da giovane, a diciassette anni, l'ultima fu resa pubblica addirittura dopo la sua morte. Si potrebbe a questo punto pensare ad un'ingenuità dell'autore, che aveva avuto e continuava ad avere molto più successo con le proprie opere teatrali che con le novelle, ma egli usava queste ultime soltanto come trampolino di lancio verso il teatro, in quanto molte delle sue rappresentazioni sono tratte da alcune di queste. Inoltre Pirandello "provava" un personaggio nella novella, e, se riscuoteva successo, lo "promuoveva" all'opera teatrale. Infatti la gamma degli argomenti trattati gode di un'ampiezza seconda solo al numero di temi visitati da Boccaccio, e varia anche (non di molto, però) il suo modo di vedere, che, seguendo questo o quel personaggio, il più delle volte vi adatta parte del pensiero del narratore (in quanto sono quasi tutte scritte in terza persona, ma conoscendo lo stesso narratore sia il pensiero sia una parte della personalità del soggetto da trattare) e quindi la novella scorre davvero molto velocemente. Ciò grazie anche al linguaggio, che se ad una superficiale osservazione può sembrare grigio, così solo per aumentare la velocità e la fetta di pubblico conquistata, si pone ad un'attenta analisi come la volontà dell'autore stesso di creare un nuovo linguaggio medio, pur fornito di un patrimonio di vocaboli estremamente vario e ricco.

Sappiamo che la concezione pirandelliana della vita è dotata di molte sfaccettature, la gran parte delle quali ho riscontrato all'interno delle novelle che ho letto (di cui do qui i titoli prima di dimenticarmene: Lumìe di Sicilia, Il treno ha fischiato, Prima notte, L'avemaria di Bobbio, Pari, Ciàula scopre la luna, Resti mortali, La morte addosso, La toccatina, La Giara): prima fra tutte l'incomunicabilità, la quale Pirandello pensa causata dalla diversità insita in ognuno dai suoi "simili" e dal fatto che ogni cosa ha per ognuno un diverso valore. È proprio quest'incomunicabilità a rendere alcune storie, se non comiche, in grado di strapparci un sorriso. Ma Pirandello ha usato quest'espediente del riso solo per non annoiare I più, in realtà egli era un'autore decadente, e lo si nota rileggendo alcune novelle una seconda volta, quando la situazione "comica" non fa più ridere, permettendo alla parte più profonda e insoddisfatta di venire allo scoperto, con tutta la sua energica carica. Il secondo degli aspetti che ho notato è strettamente collegato al primo (ma d'altronde l'autore è lo stesso, cosa ci posso fare?): è lo stesso che, qui solo trasparendo, invade letteralmente "Uno, nessuno e centomila" dello stesso Pirandello, appunto quello delle "maschere", che merita un'analisi più approfondita. Innanzitutto cerchiamo di capire bene cosa intendesse Pirandello, avvalendoci della sua opera scritta, in questo caso utile già dal titolo: "Uno" perché si vorrebbe apparire alla società come si sa di essere, "Centomila" perché non ci si riesce, per il già citato fenomeno dell'incomunicabilità, quindi si ha una personalità diversa per ciascuno che ci osserva, e la assumiamo, siamo quindi ciò che ci dipinge la società, "Nessuno" perché non riusciamo ad identificarci in qualcuno di quei centomila. Questo aspetto lo ritroviamo, in parte ridotto, nelle novelle, appunto, dove Pirandello ha studiato per ogni singolo personaggio "centomila" personalità diverse, viene poi da sé che in alcuni ci sia riuscito meglio, in altri meno.

Personalmente, come avevo già lasciato trasparire da questa critica, quest'antologia di novelle mi ha molto entusiasmato (pur essendo uno di quei libri assegnatomi da leggere a scuola, la gran parte dei quali leggerei o avrei letto lo stesso, ma con molta più voglia), tanto che ho deciso che durante l'estate continuerò a leggerle, seppur con minor frequenza.

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