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lunedì 2 marzo 2009

Recensione svolta gratis Il Castello di Kafka

Il Castello, ultima opera della produzione di Kafka, è la sua opera più ambigua e paradossale.

La storia, quella dell'agrimensore K. che si trova a vivere in una cittadine sovrastata da un temuto e opprimente castello signorile, col quale lui desidererebbe entrare in "comunicazione", riassume in sé tutte le concezioni tipiche del pensiero kafkiano. Dopo questa dovuta precisazione, passiamo a addentrarci nell'analisi richiestaci del rapporto tra la personalità dell'individuo protagonista ed il castello. Il castello è il simbolo dell'incomprensibilità della legge: a Kafka appare incomprensibile e assurda la vicenda dell'uomo, che è certo dominata da una legge, ma proprio dal fatto che all'uomo non è dato conoscerla deriva la dimensione dell'assurdo e di tragedia nella quale l'uomo è immerso. Ciò che, d'altra parte, fu il costante dissidio dell'uomo Kafka che nei Diari scriveva: "Non sono la pigrizia, la cattiva volontà, la goffaggine che mi fanno fallire in tutto: vita familiare, amicizia, matrimonio, professione, letteratura, ma è l'assenza del suolo, dell'aria, della legge. Crearmi queste cose, ecco il mio compito... il compito più originale". un meccanismo complesso e inesorabile schiaccia l'uomo ed è mosso da una logica che non è fatta a misura d'uomo, la cui via è un susseguirsi di disperati tentativi per conoscere questa logica e questa legge, entrare consapevolmente in questo meccanismo, che si concludono con la sconfitta: nel Castello, malgrado ogni tentativo, il "varco", per usare un termine di Montale, non è possibile: con quel mondo non si riesce ad e entrare in comunicazione. Da quest'incomprensibilità e inaccessibilità della legge deriva tutto il ventaglio di temi della narrativa di Kafka: la solitudine dell'uomo, l'impossibilità di stabilire rapporti col mondo che lo circonda, l'impossibilità di essere autentici, la consapevolezza della sua condizione di escluso, di "straniero" (tema che tornerà negli esistenzialisti ed in Camus soprattutto), la sua alienazione, tutte tematiche che tendono a coincidere ed a delineare perfettamente la personalità dell'agrimensore K, il cui nome già fa capire la mancanza di delineazione individuale, che è il sunto, il comune denominatore, il simbolo, della situazione dell'uomo contemporaneo.
Sempre nei riguardi del rapporto protagonista - castello si inserisce la cosiddetta dimensione agonistica. Tutte le situazioni sopaelencate non sono rappresentate da Kafka come eventi di cui non resti altro che prendere atto: l'atteggiamento di chi ne è vittima non è quello della rassegnazione o del vittimismo. Da tante testimonianze risulta che Kafka amava profondamente la vita e che il fatto che lui sentisse il mondo in cui viviamo come un mondo senza luce non aveva spento in lui questo amore, quest'ansia di vita. Quale sia la scelta dell'uomo e dei suoi protagonisti per contrastare questi avvenimenti non hanno importanza o comunque è troppo intima per parlarne; l'importante è che tutta la sua opera può essere vista come un'implacabile testimonianza della volontà dell'uomo di non esser sopraffatto. "Rimane il suo no alle ragioni che umiliano l'uomo sulla terra, il no più angoscioso e più risoluto che sia risuonato nel mondo contemporaneo, deserto d'illusioni ma non abbandonato alla coscienza", affermava G. Pampaloni in una sua splendida critica al Castello, a testimonianza dell'attivismo letterario dell'autore.

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