Con il termine di scuole socratiche minori vengono indicate le tre scuole di pensiero che riprendono la filosofia socratica senza però seguire la linea di Platone e Aristotele.
Queste sviluppano una riflessione sulla dialettica socratica, ma in una direzione opposta rispetto a Platone, sviluppando soprattutto i concetti negativi della filosofia socratica, e sottolineandone il momento confutatorio dell’ironia. Arrivano addirittura a negare che il dialogo possa essere un metodo per raggiungere la verità, riprendendo il nichilismo gorgiatico. I cinici inoltre estremizzano il “conosci te stesso” socratico, individuando la virtù come una ricerca anticonformista e provocatoria.
Antistene e il cinismo
Antistene (444 - 365 a.C.) fu discepolo prima di Gorgia e poi di Socrate, e si stabilì a Megera con Euclide, altro discepolo di Socrate, per paura di rappresaglie dopo la condanna a morte del maestro. Venne indicata la sua scuola con il termine cinica, proprio perché kyon in greco significa cane, e quindi il vivere come cani rappresenta vivere in libertà. Questo concetto verrà ripreso da Diogene, che viene definito ascetico e cinico.
Rifacendosi ai logoi dissoi di Protagora, Antistene affermò che di una cosa si può dimostrare quanto la verità quanto la falsità, senza poter poi decidere quale per certo sia la verità. Nega quindi la funzione conoscitiva della realtà attraverso il linguaggio e riprende il concetto dell’incomunicabilità di Gorgia (“…anche se fosse conoscibile, sarebbe incomunicabile…”).
Da qui si origina la polemica con la teoria delle idee di Platone: Antistene afferma che mentre è possibile vedere un cavallo non è altrettanto possibile vedere e quindi descrivere e comunicare l’idea della cavallinità; perciò, dato un discorso non si può riferire all’idea e quindi non può “allargare il campo” dal cavallo, si può solo affermare che il cavallo è il cavallo, e non è possibile connettere in un giudizio o in una definizione due nomi, visto che dire “un cavallo è un animale” implica affermare l’identità fra i due termini, e non la relazione di appartenenza ad un insieme più vasto. Con questa teoria cade ogni possibilità di comunicazione vera o almeno efficace.
L’autarkeia dei cinici e Diogene, il Socrate impazzito
La posizione dei cinici ha importanti ripercussioni in campo politico e scientifico, proprio perché nega l’esistenza di una comunicazione feconda. In campo etico impedisce la ricerca della virtù nella conoscenza, poiché la conoscenza, secondo i cinici, è impossibile per definizione. Perciò l’unico modo per arrivare alla virtù è liberarsi dei bisogni che rendono il filosofo schiavo e dare un esempio con la propria vita di moralità. Solo l’esercizio e la fatica permettono di arrivare alla conoscenza di sé e quindi alla virtù. Su questa convinzione si basa l’idea del filosofo cinico, che quindi rifiuta ogni agiatezza e vive privo di ogni bisogno, come un cane randagio, in piena libertà, espressione dell’autarkeia filosofica. Un esempio di applicazione di questa filosofia alla propria esistenza è quella di Diogene di Sinope (413-321), discepolo di Antistene, che usa la sua esistenza per la diffusione del suo messaggio filosofico, spingendo l’autarkeia a vita trascurata e provocatoria nei confronti dei suoi concittadini: trascurato nel vestire, sprezzante delle convenzioni sociali e della famiglia, con un mantello e una bisaccia come unica casa. Egli andava in giro a provocare i suoi concittadini proprio per supportare l’essenza della sua filosofia, libera e contro ogni convenzione sociale. Famoso l’aneddoto della lampada con cui girava in pieno giorno, che affermava che servisse per cercare l’uomo oppure quello dell’incontro con Alessandro Magno, nel quale il macedone gli chiese che desiderio avesse e lui gli rispose che voleva che lui si spostasse affinché potesse prendere il sole: massimo esempio di autarkeia, ovvero: “basto a me stesso. Togliti dalle scatole”. A questo Diogene, che anche se non esponeva un grande pensiero è un personaggio davvero singolare nella storia della filosofia, i suoi concittadini eressero una statua, segno che la sua filosofia di vita aveva colpito nel segno. Il suo atteggiamento anarchico e anticonformista farà proseliti anche per molto tempo dopo la sua morte.
Aristippo e l’edonismo della scuola cirenaica
L’ideale di libertà del cinismo viene rielaborato da Aristippo non come distacco dai propri bisogni ma come distacco dalle cose e dalla vita politica (eleutheria). Secondo il filosofo la libertà si identifica con il dominio delle cose e delle passioni, che si ottiene attraverso la moderazione in ogni comportamento (ad esempio nel piacere non bisogna esagerare perché alla fine è il piacere stesso che domina te e non il contrario). L’edonismo, quindi, significa crogiolarsi nel piacere senza però essere dipendenti da esso (posseggo, non sono posseduto). Famoso l’aneddoto su Aristippo, a cui gli invasori avrebbero distrutto la casa, e lui non si sarebbe disperato per questo. Alle richieste dei soldati nemici del motivo per il quale egli non si disperasse, egli rispose che i suoi beni primari erano nella sua anima (omnia mea mecum), e la perdita dei beni esteriori non lo toccava. Qui emerge l’autarkeia di Aristippo, cioè il filosofo stesso basta per sé e non ha bisogno di nient’altro.
Secondo alcuni storiografi la dottrina dell’edonismo non deve essere attribuita ad Aristippo, al contrario di quanto afferma una storiografia abbastanza consolidata. Questa in realtà sarebbe stata elaborata da suo nipote, Aristippo il Giovane, e rielaborata poi dai cirenaici del IV e III secolo.
La vita secondo i cirenaici ha come unico fine il piacere presente e momentaneo. Questa limitazione impedisce ai cirenaici di definire un ideale di virtù duraturo che possa accompagnare l’uomo durante tutta la sua vita. La virtù viene per contro concepita come uno stato di autocontrollo (come sosteneva Democrito) e di libertà dell’animo. Con queste posizioni questa scuola si avvicinerà soprattutto alle filosofie elleniche, scetticismo e epicureismo in particolare, allentandosi invece dal socratismo.
Euclide di Megara e i megarici
Euclide di Megara (450 circa- 375 a.C.) ebbe inizialmente una formazione eleatica e trasferitosi ad Atene divenne un discepolo di Socrate.
La sua filosofia, come quella di Antistene, pose l’accento sulla confutazione e sulla dialettica socratica, ma ponendo come sfondo il problema dell’unità dell’essere parmenideo. Se l’essere è unico, anche la virtù è tale e coincide con il bene. Quindi se essere = bene = virtù, allora divenire, nascere e perire sono contraddittori e quindi impossibili. Per Euclide è dunque un errore considerare le cose come separate, come invece avviene nel linguaggio, che perciò non può che essere solo una convenzione umana, visto che in natura le cose sono enti e quindi uniche. Risulta perciò impossibile sia pensare che discorrere perché ogni discorso può essere ridotto all’assurdo poiché le parole sono contraddittorie rispetto al principio di unità dell’essere. Da questa concezione nasceranno poi i sofismi e i paradossi che caratterizzeranno la critica alla comunicazione.
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venerdì 27 febbraio 2009
Tema gratis Filosofia Le scuole socratiche
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