La scomposizione psicoanalitica della personalità operata da Freud, dopo aver scoperto l'Inconscio ed i modi per accedere ad esso, è una "Teoria generale della Psiche".
La Psiche è una unità complessa ed intimamente conflittuale. Ci riferiamo alla "seconda topica", quella elaborata dopo il 1920, che distingue tre fluide, fluttuanti regioni psichiche: l'Es, il Super-io, l'Io. L'Es ( pronome neutro di terza persona singolare nella lingua tedesca), ovvero l'Inconscio, è il polo pulsionale della personalità, la forza impersonale e caotica, il "calderone di impulsi ribollenti", che costituisce la matrice originaria della psiche. Esso non conosce né il bene né il male, è amorale, obbedisce unicamente "all'inesorabile principio del piacere", è al di là dello spazio e del tempo (in quanto costituito da pulsioni rimosse che vivono in una sfera aspaziale ed atemporale), ed ignora le leggi della logica, a cominciare dal principio di non-contraddizione (in esso impulsi contraddittori sussistono uno accanto all'altro, senza annullarsi a vicenda). Il Super-io è ciò che comunemente definiamo come coscienza morale, è l'insieme delle regole e delle proibizioni inculcate dai genitori e dagli educatori nei primi anni di vita dell'uomo e che ci accompagnano sempre, anche in forma inconsapevole. Esso può essere più o meno rigido. Ed è il principale responsabile della rimozione, oltre che il regolatore dei rapporti tra l'Es e l'Io (rimuove pulsioni o consente il riaffiorare del rimosso). L'Io, la coscienza, è la parte organizzata, razionale della personalità, che si trova a fare i conti con tre "severi padroni": l'Es, il Super-io, il mondo esterno. E lotta per "stabilire l'armonia tra le forze e gli impulsi che agiscono in lui e su di lui". Normalità o disturbo della personalità e del comportamento dipendono dal rapporto che l'Io ha con i suoi padroni, ma soprattutto dalla tipologia del Super-io. Scrive Musatti (illustre psicoanalista italiano): "Nell'individuo normale l'Io riesce abbastanza bene a padroneggiare la situazione. E fornisce, agendo sulla realtà, parziali soddisfazioni all'Es, senza violare in forma clamorosa gli imperativi e le proibizioni che provengono dal Super-io. Ma se le esigenze dell'Es sono eccessive, o se il Super-io è troppo debole, o troppo rigoroso e poco duttile, allora queste soluzioni pacifiche non sono più possibili. Può in tal caso accadere che l'Es abbia il sopravvento e travolga un Super-io troppo debole, e l'Io è condotto allora a comportamenti asociali o proibiti: il soggetto diventa un delinquente o un perverso. Oppure può accadere che il Super-io troppo rigido provochi la rimozione, o altri processi di difesa; le istanze dell'Es divenute inconsce si manifestano allora con sintomi nevrotici".
Dalla individuazione e descrizione dei fenomeni di resistenza (blocco delle associazioni libere, transfert negativo, atti mancati come dimenticanze, distrazioni, lapsus) ma anche dall'analisi dei sintomi nevrotici e dall'interpretazione dei sogni, Freud giunse a formulare una delle pietre miliari della dottrina psicoanalitica: la "Teoria della rimozione". In questo modello esplicativo, l'amnesia non è più vista come un processo passivo, ma come un processo attivo, in cui una barriera energetica viene opposta alla libera circolazione del ricordo. "Gli isterici semplicemente non sanno ciò che non vogliono sapere". Tanto la dimenticanza che il ricordo sono tendenziosi. La rimozione è un'operazione psichica alla quale si oppone il lavoro psicoanalitico. Essa non soltanto produce il vuoto dell'amnesia, ma più spesso lo ammanta con vividi colori di un altro ricordo, che ha la funzione di copertura di ciò che si vuole dimenticare. Freud cita, in proposito, un ricordo della sua infanzia, rievocato in autoanalisi, nel quale rammenta di aver strappato di mano ad una bambina un mazzo di fiori gialli. Apparentemente il ricordo sembra insignificante, ma la scomposizione e ricomposizione analitica dei suoi elementi lo collegano ad un episodio successivo: il primo innamoramento adolescenziale nei confronti di una coetanea con un vistoso abito giallo. L'accostamento che si produce tra i due ricordi, tramite il colore giallo, rivela la funzione di copertura del primo, dove strappare i fiori di mano sta per deflorare, fantasia a carattere sessuale, inaccettabile dalla coscienza e pertanto rivestita con contenuti mnestici più neutrali. Ma lo spostamento così avvenuto si avvale di un anello associativo (il giallo) che permette di decostruire il lavoro psichico inconscio e rilevarne gli effetti: un innocente ricordo infantile è posto a copertura di un'inaccettabile fantasia adolescenziale.
Ne "L'interpretazione dei sogni", Freud individua il sogno come un "appagamento camuffato di un desiderio rimosso". All'interno del sogno c'è un "contenuto manifesto" (la scena onirica così come viene vissuta dal soggetto) ed un "contenuto latente" (il desiderio censurato). Il contenuto manifesto è niente altro che la forma elaborata, travestita, simbolica, in cui i desideri latenti si manifestano sotto l'effetto della censura. L'interpretazione psicoanalitica consiste nel ripercorrere a ritroso il processo si traslazione del contenuto latente in quello manifesto, al fine di cogliere i messaggi segreti dell'Es. In "Psicopatologia della vita quotidiana", invece, prende in esame quei contrattempi della vita di tutti i giorni, che prima di lui si era soliti attribuire al caso. In base al determinismo psichico, essi hanno sempre un preciso significato: sono anch'essi manifestazione camuffata dell'Inconscio, ma nella forma di un compromesso tra intenzione cosciente e pensieri inconsci. Così come i lapsus (apprezzare la "spogliatezza" di un'attrice in luogo della "spigliatezza", per es.), gli atti mancati (dimenticare certi nomi o smarrire certi oggetti) sono associati a sentimenti spiacevoli o non confessabili. In ogni caso, nella nevrosi come nella normalità, gli impulsi rimossi sono sempre di natura sessuale. È per questo che Freud pone al centro della sua analisi della psiche la "Teoria della sessualità". Abbiamo già parlato della concezione pre-freudiana della sessualità, per la quale erano inspiegabili tutte le tensioni psicosessuali differenti dal coito, come la sessualità infantile (pre-genitale), la sublimazione (trasferimento di una carica originariamente sessuale su oggetti non sessuali, come il lavoro, l'arte, la ricerca scientifica, ecc.), ma anche e soprattutto le perversioni (attività sessuali che perseguono il piacere indipendentemente dal fine riproduttivo). Riguardo a queste ultime è da notare che Freud usa il termine in funzione puramente descrittiva, senza alcuna connotazione valutativa, mettendo profondamente in discussione il concetto di "normalità sessuale" (si pensi alla masturbazione, il voyeurismo, l'esibizionismo, l'omosessualità, per esempio), ed ampliando il concetto di sessualità, anzi "rifondandone il concetto stesso", sino a vedervi un'energia suscettibile di dirigersi verso le mete più diverse ed in grado di investire gli oggetti più disparati.
Energia che Freud chiamò "Libido", un'energia "nomade", caratterizzata da un flusso migratorio localizzato di volta in volta, in corrispondenza dello sviluppo fisico, in alcune parti del corpo, dette "zone erogene", ovvero generatrici di piacere erotico. In quest'ottica, il bambino non è più un "angioletto asessuato", ma un "essere perverso polimorfo", perverso perché capace di perseguire il piacere indipendentemente da scopi riproduttivi, e polimorfo perché lo persegue mediante i più svariati organi corporei. Freud distingue tre fasi dello sviluppo psicosessuale, ciascuna delle quali è caratterizzata da una specifica zona erogena: la fase orale, la fase anale, la fase genitale.
La fase orale (da 0 a 1 anno e mezzo) ha come zona erogena la bocca ed è connessa con il poppare. In questa fase il bambino trae piacere dall'incorporare ciò che è buono e dallo sputare ciò che non lo è, sia esso il cibo (importanza del seno materno, che non ha solo una funzione di nutrimento fisico, ma anche erotico-affettivo; c'è un "seno buono" ed un "seno cattivo"), un dito, un oggetto. Un vissuto non pienamente soddisfacente in fase orale, comporta - senza parlare di traumi e di conseguenti nevrosi - abitudini comportamentali successive che possono essere ricondotte ad esso: per esempio il fumare o mangiarsi le unghie o l'alterazione del comportamento alimentare.
La fase anale (da 1 anno e mezzo a 3 anni) ha come zona erogena gli sfinteri (anale, ma anche urinario) ed è collegata con le funzioni escrementizie, che per il bambino sono di particolare interesse e piacere. Nel periodo dell'educazione sfinterale, trattenere o espellere costituisce uno scambio amoroso, un dono che il bambino fa alla madre, soddisfacendone le aspettative. Si tratta anche di un modo per attirare l'attenzione su di sé (sia in positivo, che in negativo se si pensa alla "regressione" del primogenito che rifà la pipì a letto dopo la nascita del fratellino). Il vissuto in fase anale influenza il carattere adulto comportando la tendenza ad essere prodigo o avaro.
La fase genitale ha come zona erogena i genitali e si articola in due sottofasi: la fase fallica (da 3 a 5 anni) e, dopo un "periodo di latenza" (durante il quale gradualmente l'energia libidica si indirizza al primato delle zone genitali), la fase genitale in senso stretto (che inizia dopo la pubertà). La fase fallica è così chiamata per due motivi:
1. perché la scoperta del pene costituisce un oggetto di attrazione sia per il bambino che per la bambina, che, in ordine alla freudiana ipotesi della "originaria bisessualità del bambino", soffrono entrambi di un "complesso di castrazione": appagando il desiderio di guardare e di essere guardati, esplorando il proprio corpo e l'altrui, il maschietto vive la "minaccia dell'evirazione", mentre la femminuccia prova "invidia del pene";
2. perché l'organo di eccitamento è il pene o il clitoride (considerato come l'equivalente femminile del pene).
La fase fallica è caratterizzata, oltre che dal complesso di castrazione, dal "complesso edipico". Esso consiste in un "attaccamento libidico" verso il genitore di sesso opposto ed in atteggiamento ambivalente verso il genitore dello stesso sesso, con componenti positive di affettuosità e tendenza all'identificazione e componenti negative di ostilità e di gelosia. Questa fase è la più delicata ed importante, perché, a secondo della sua risoluzione o meno, determina la futura strutturazione della personalità. Questa fase il bambino non distingue ancora tra realtà fattuale e vissuto fantastico, perciò la relazione seduttiva nei confronti del genitore di sesso opposto assume caratteri di particolare importanza, ed un eventuale trauma può segnare definitivamente lo sviluppo dell'identità personale. È importante ricordare quanto in questa fase sia determinante l'atteggiamento dei genitori, che influenza positivamente o negativamente la risoluzione del complesso edipico. Ne "L'introduzione alla Psicoanalisi", Freud scrive in proposito: "Si vede facilmente che il maschietto vuole avere la madre soltanto per sé, avverte come incomoda la presenza del padre, si adira se questi si permette segni di tenerezza verso la madre e manifesta la sua contentezza quando il padre è assente. Spesso dà diretta espressione verbale ai suoi sentimenti, promette alla madre che la sposerà... Quando il piccolo mostra la più scoperta curiosità sessuale per la madre, quando pretende di dormirle accanto la notte, insiste per essere presente alla sua toelette o intraprende tentativi di seduzione, la natura erotica del legame è garantita contro ogni dubbio... Quanto alla femmina, il complesso edipico si configura in modo del tutto analogo, con le necessarie varianti. L'attaccamento affettuoso al padre, la necessità di eliminare la madre come superflua e di occuparne il posto, ed una civetteria che mette già in opera i mezzi della futura femminilità, contribuiscono a dare della bambinetta un quadro incantevole, che ci fa dimenticare il lato serio e le possibili gravi conseguenze che giacciono dietro questa situazione infantile. Non trascuriamo di aggiungere che spesso gli stessi genitori esercitano un'influenza decisiva sul risveglio dell'atteggiamento edipico del bambino, abbandonandosi anch'essi all'attrazione sessuale e, nel caso vi sia più di un figlio, anteponendo nel modo più evidente nel proprio affetto il padre la figlioletta e la madre il figlio".
Occorre ancora rilevare la duplicità di aspetti del complesso edipico: 1) attrazione per il genitore di sesso opposto (che cade sotto il tabù dell'incesto); 2) attrazione per il genitore dello stesso sesso (che cade sotto il tabù dell'omosessualità).
Ma ora richiamiamo alla memoria la tragedia di "Edipo Re", nella drammatizzazione di Sofocle. Laio, re di Tebe, per sfuggire alla profezia che gli aveva predetto un erede che avrebbe ucciso il padre e sposata la madre, ordina ad un servo di uccidere suo figlio Edipo. Ma il servo, impietosito, abbandona il piccolo alle pendici del monte Citerone. Il bimbo viene trovato da un pastore, che lo porta al re di Corinto, il quale lo adotta come suo figlio. Edipo giovinetto, ignorando la sua vera nascita ed insospettito dai lazzi dei suoi coetanei, si reca al santuario di Apollo, dove apprende la profezia. Per sottrarsi al destino, lascia Corinto e si reca a Tebe. Durante il viaggio viene a diverbio, per motivi di precedenza, con un anziano passante accompagnato da una scorta reale, e lo uccide. Giunto alle porte di Tebe, viene fermato dalla Sfinge, un essere metà uomo e metà bestia, che gli impone la soluzione di un enigma, pena la morte. Edipo risolve il quesito e la Sfinge sconfitta si uccide, mentre le porte della città si aprono davanti a lui. Quale vincitore, viene offerto ad Edipo la mano della regina Giocasta, rimasta vedova di Laio, misteriosamente rimasto ucciso con la sua scorta. I due si sposano e vivono felici generando quattro figli, finchè una terribile pestilenza devasta Tebe. Interrogato, l'oracolo di Delfi risponde che la città sarà salva solo quando sarà da essa scacciato l'assassino di Laio. Edipo, ignaro di aver compiuto il suo destino, chiede aiuto all'indovino Tiresia e scopre di essere l'assassino del padre e l'amante della madre. Preso dall'orrore si acceca, mentre Giocasta si toglie la vita. La tragedia mette in scena, congiuntamente, l'esaudimento del desiderio (sposare la madre ed uccidere il padre) con l'interdizione (la cecità e la morte).
Nell'interpretazione freudiana, ciò che è rappresentato come tentativo di uccisione da parte del padre (l'abbandono del neonato) viene vissuto nell'immaginario del bambino come paura di castrazione (il pene, zona erogena della fase fallica, è la parte che rappresenta il tutto), tanto da indurre il bambino ad abbandonare l'impari contesa col padre, cioè rimuove il complesso edipico ("Il tramonto del complesso edipico", 1924). Così gli investimenti oggettuali abbandonati vengono sostituiti dalle "identificazioni". Il bambino si identifica con il rivale, lo introietta, costruendo il nucleo del Super-io, l'istanza psichica che rappresenta il sistema di valori e di divieti introiettato, e che risulta erede del conflitto edipico. Tale sistema etico non si forma tanto ad immagine dei genitori, quanto ad immagine del loro Super-io, rappresentando quindi la continuità delle generazioni.
È da notare che Freud ritiene che divenire adulti significa aver "ucciso" il padre, vale a dire aver sviluppato un'autonomia morale. Ma il percorso del superamento di una morale eteronoma col raggiungimento di una morale autonoma è lungo, ed ha bisogno di ulteriori identificazioni con figure "educative", gli insegnanti in primo luogo (ed è durante il periodo di latenza che il bambino è particolarmente educabile).
L'intera società concorre alla "disedipizzazione" del bambino attraverso le sue istituzioni, quali l'autorità politica, la religione, l'istruzione e la cultura, così che sia possibile la "sublimazione", la neutralizzazione del desiderio originario con lo spostamento del potenziale energetico libidico su altri oggetti, socialmente accettabili. Nell'ultimo periodo della sua vita Freud si è anche espresso su temi più generali, quali la Religione e la Civiltà, in particolare in "Totem e tabù", "L'avvenire di un'illusione", "Il disagio della civiltà", "Mosè ed il monoteismo". Il discorso meriterebbe maggior spazio, ma sinteticamente potremmo dire che egli considera la religione come un appagamento di desideri infantili: la figura di Dio, Padre ultraterreno amato e temuto, è la proiezione dei rapporti ambivalenti con il padre terreno. Quanto alla civiltà, essa è una sorta di Super-io che devia l'energia libidica verso la ricerca del piacere in prestazioni sociali e lavorative, richiedendo perciò un inevitabile "costo pulsionale". L'ultimo Freud riconosce nell'essere umano, accanto alla pulsione erotica, una pulsione di morte, una pulsione aggressiva e distruttiva. Pertanto, ritiene che la società, pur se, in modo moderato, deve imporre regole e sacrifici: il pessimismo realistico, maturato dopo l'avvento del nazismo, lo induce a ritenere che la civiltà sia il male minore, una volta riconosciuto che l'uomo è "una creatura tra le cui doti istintive è da annoverare un forte quoziente di aggressività".
Nella lotta tra Eros e Thanatos, Freud vede condensata tutta la storia del genere umano. Così, quando Einstein gli chiede se sia possibile dirigere l'evoluzione psichica degli uomini in modo che essi diventino capaci di resistere alla psicosi della distruzione e dell'odio, egli risponde che non c'è speranza di sopprimere totalmente la tendenza aggressiva, si può solo cercare di dominarla perché non trovi espressione nella guerra.
In conclusione, ritornando al più volte ribadito nesso tra teoria e prassi terapeutica, è opportuno porci un'ulteriore domanda: "Quanto dura una terapia?". Per Freud l'analisi è "interminabile": può avere un fine prestabilito (la guarigione del corpo psichico) ma non una fine predeterminata. Infatti, il soggetto (in quanto Io) può interrompere la terapia o prolungarla all'infinito. L'Io è spesso "alleato infido", in quanto i suoi meccanismi di difesa (poi studiati approfonditamente da Anna Freud) sono insieme fisiologici e patologici: il rifiuto del paziente di abbandonare il sintomo deriva dal fatto che il sintomo ha una funzione di soddisfacimento sostitutivo del desiderio, della spinta pulsionale, ed il suo abbandono implicherebbe frustrazione. Infine: "Quali sono le modalità della terapia freudiana?". Per Freud, il primo passo nell'intraprendere una terapia analitica sarà quello di accettare il paziente in via provvisoria, per sondare l'opportunità di affrontare un trattamento del quale non si possono fissare anticipatamente la durata ed il costo complessivo. Ovviamente, occorrerà non stabilire coi pazienti e con i loro familiari rapporti di amicizia, o comunque relazioni sociali. Quanto al tempo, sarà necessario un legame serrato e costante. Freud soleva dedicare a ciascun paziente un'ora al giorno, e riteneva estremamente importante farsi retribuire anche le ore inutilizzate, onde evitare eventuali forme camuffate di resistenza al trattamento. Quanto al denaro, esso è, oltre che fonte di guadagno e di sussistenza per l'analista, un mezzo per evitare di stabilire legami di dipendenza e di gratitudine che ostacolerebbero la positiva risoluzione del transfert ("Se paghi sei motivato". E i non abbienti? Di solito, sostiene Freud, hanno problemi materiali tali che difficilmente sviluppano nevrosi).
Nel setting, il paziente è sdraiato su un lettino, in posizione di abbandono. Il terapeuta è alle sue spalle. Vietato guardarsi, così che il discorso si stacchi dallo scambio intenzionale e reciproco tra emittente e ricevente e divenga autonomo rispetto all'individualità di chi lo pronuncia, così da poter fluttuare in un altro ambito, quello dell'Inconscio, appunto. Compito del paziente è dire, quello del terapeuta ascoltare, senza selezione alcuna. Talvolta, l'analista prende appunti, ma tale pratica, pur essendo utile sul piano teorico, non ha alcuna efficacia terapeutica, anzi. Scrive Freud, in proposito: "Si tratta di una particolare comunicazione: quella tra due Inconsci, per cui l'analista deve rivolgere il proprio Inconscio come organo ricevente verso l'Inconscio del paziente che trasmette, deve disporsi rispetto all'analizzato come il ricevitore del telefono rispetto al microfono trasmittente". Per esemplificare tale rapporto, egli utilizza la metafora della "potenza virile", secondo la quale l'uomo può sì generare, ma non senza una donna, e non fa che avviare un processo estremamente complicato, che si conclude con il distacco del bambino dalla madre.
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Parte Seconda
Una Riflessione sul concetto di "Inconscio" L'Inconscio come "altro"
"Da qualche tempo - scrive nel 1996 Di Benedetto, eminente teorico e psicoterapeuta italiano - si tende a dar rilievo più che a un testo latente, nascosto in un messaggio manifesto, a un testo da costruire da parte della coppia paziente-analista per contenere margini più estesi al non pensare".
Tradizionalmente, la psicoanalisi è una sorta di passaggio attraverso il quale si risale da qualcosa di "manifesto", che appare in superficie, a qualcosa di latente, che è sotto la superficie. Non si tratta, invece, di pensare di nuovo qualcosa che era stato pensato e poi allontanato dalla coscienza, ma, di pensare per la prima volta qualcosa che non era stato mai pensato. Questa affermazione pone una netta divisione tra le istanze della psicoanalisi contemporanea e quelle della tradizione psicoanalitica, pur con qualche riserva che scioglieremo in seguito. Compito, dunque, della coppia analista-paziente non è semplicemente quello di riportare alla coscienza ciò che gli era stato allontanato, ma quello di pensare di riuscire a pensare di più, di ampliare lo spazio del pensiero, pensando ciò che non era mai stato pensato, in altre parole, dando forma cosciente di pensiero ad una forma di noi stessi che fino ad allora non aveva trovato espressione. È sicuramente una missione ardua da compiere. Già Freud era apparso abbastanza ambizioso volendo ricostruire la parte della vita psichica rimossa dalla coscienza. Addirittura, ora si vuole accedere ad una mente che non è ancora in grado di dare istanza al suo pensiero (la rimozione, in altre parole, è già un processo superiore). In quest'ottica la psicoanalisi può essere d'aiuto anche nei casi più gravi delle nevrosi, le psicosi per esempio, casi in cui la mente non è capace di effettuare la rimozione.
In un altro passo Di Benedetto afferma: "Il compito che l'analista si prefigurava una volta era quello di portare l'Io laddove era l'Es, ossia di trasferire l'irrazionalità dell'inconscio entro le coordinate della ragione. Con il passare degli anni tale approccio razionalistico si è mutato in un approccio relazionale, cioè in un dialogo con l'altro, a cominciare dal dialogo con l'alterità interiore che è in ognuno".
Allora il problema, facendo un minimo di ricostruzione storica, più che un processo post-freudiano s'identifica con un problema già aperto da Freud ne "L'Interpretazione dei sogni" (basta pensare al dialogo terapeutico con il paziente). Inoltre Freud stesso ha dato importanza al transfert, in cui elemento fondamentale della cura è un "ricostruirsi", un sovrapporsi all'altro. Il disturbo psichico veniva interpretato da Freud attraverso l'analisi del transfert cioè del modo in cui il paziente si rapportava alle figure che erano state importanti nella sua vita e lo trasferiva sulla figura dell'analista. L'analisi così diventava un'interpretazione dell'idea che si era fatta il paziente dell'analista. Il ruolo dell'analista si sposta successivamente sul piano relazionale, dando sempre più importanza al così detto controtrasfert, che alcuni preferiscono definire "co-trasfert" che sarebbe non ciò che il paziente trasferisce sulla figura dell'analista ma quello che invece l'analista proietta sulla figura del paziente. È vero che l'analista è un professionista che riceve una parcella, ed è altrettanto vero che l'analista è coinvolto dalla relazione medico-paziente e non può rimanere totalmente distaccato, ma deve sentirsi coinvolto fino ad arrivare alla così detta "follia-pube", cioè deve arrivare a farsi trascinare dal paziente. L'analista, dunque, viene coinvolto e l'analisi diventa l'interpretazione della relazione non soltanto intesa come il paziente si relaziona all'analista, ma anche come l'analista si relaziona al paziente.
Si comprende, dunque, il motivo dello spostamento dell'attenzione, nelle nuove correnti psicoanalitiche, da una lotta contro l'irrazionalità, dal tentativo della ragione di strappare un pezzettino di terra incolta e coltivarlo, al tentativo di analizzare una relazione. La grande innovazione di Di Benedetto consiste proprio nell'aver messo in evidenza il problema del rapporto con l'altro. È chiaro che quando si parla di dialogo con l'altro si è costretti ad uscire fuori da quella missione strettamente clinica e ad interrogarsi su una questione d'interesse antropologico che non può non coinvolgere tutta la sensibilità propria dell'essere umano. Anche dal punto di vista storico, se la storia non è semplicemente un ricostruire passaggi più o meno lontani, l'alterità è il problema storico per eccellenza (si pensi al contatto tra le diverse culture, come alterità che entrano in contatto). Allora il problema del rapporto con l'altro non può essere tralasciato e la psicoanalisi può affermare qualcosa di molto interessante a tal proposito. Il nostro rapporto con gli altri, materialmente esterno, risente del rapporto che abbiamo con un'alterità che è dentro di noi, cioè, noi avremo un'alterità positiva e creativa con gli altri in carne ed ossa, nella misura in cui riusciremo ad avere una buona relazione con quella parte di noi stessi che è altro rispetto a ciò di cui siamo coscienti. L'altro, secondo la metafora di Freud, è la stragrande parte dell'iceberg che non emerge, perché ne mostriamo soltanto la parte superiore che la nostra coscienza.
Dentro di noi c'è una quantità infinita d'alterità rispetto a quella di cui siamo consapevoli. Tuttavia, il rapportarsi a quest'alterità che è dentro di noi e il rapportarsi all'altro che è fuori di noi, rappresentano uno stesso problema per la psicoanalisi. Non sono due problemi diversi. Infatti, durante la seduta analitica, la comunicazione con il proprio inconscio è sullo stesso registro della comunicazione con l'altro, tanto per paziente che per l'analista. E, dunque, avere un rapporto positivo-creativo con la propria alterità, cioè con l'altro che è dentro di noi, è la condizione basilare per avere un rapporto positivo-creativo con gli altri in carne ed ossa e viceversa: un buon rapporto con gli altri mi permette di avere un buon rapporto con me stesso. Buono è però una cosa molto generica bisogna utilizzare parole più forti, ossia "creativo" o "distruttivo". L'istanza di rapportarsi all'altro, ossia una buona o cattiva comunicazione con la parte inconscia e con l'altro, è creativa, ma comporta anche il rischio della distruttività. In termini storici, ad esempio, questa è la grande scommessa in cui viviamo: o ci distruggiamo a vicenda, oppure le nostre diversità (alterità) produrranno qualcosa di nuovo e di originale, creando sempre nuove modalità di esistenza. Sembra che così le civiltà siano cresciute, integrando modalità diverse. Quest'integrazione non può essere però una semplice operazione di compromesso o puramente energetica, data la difficoltà di convivere con qualcosa che è estraneo a noi.
C'è un altro passo che ribadisce questo concetto: "Nella pratica psicoanalitica si tratta di stimolare processi analoghi a quelli della creazione artistica che ha sempre cercato di rappresentare qualcosa di irrappresentabile".
In questo senso il lavoro dell'analista è il lavoro della coppia paziente-analista, che diviene più simile ad un'attività artistica, cioè ad un'attività che dà forma sempre di più a qualcosa che non ha avuto forma, e che rappresenta ciò che non è mai stato rappresentato. Insomma è quello che si dice l'arte di vivere. Fondamentalmente Freud identificava la teoria dell'inconscio con quella della rimozione, tuttavia egli stesso ne aveva un concetto più ampio. Nel 1915, in un saggio molto importante intitolato "L'inconscio" Freud descrive le caratteristiche fondamentali dell'Es e lo distingue dalla Coscienza, ed afferma: "È nostra intenzione chiarire fin dall'inizio che il rimosso non esaurisce tutta intera la storia dell'inconscio. L'inconscio ha un'estensione più ampia, il rimosso è una parte dell'inconscio". Inoltre, scrive: "I processi psichici, in quanto tali, sono inconsci, cioè praticamente, la coscienza è una funzione così come le nostre capacità percettive". Allo stesso modo di altre funzioni, come quelle visive, la coscienza è un organo percettivo di qualità psichiche, perciò alcune le percepisce altre no. In principio, infatti, c'è la vita psichica, poi c'è una funzione mentale che cerca di comprenderla che è la Coscienza. Per questa ragione, i processi psichici sono inconsci di per sé. L'inconscio quindi è una dimensione che non coincide esclusivamente con il rimosso. Anche se non ci fosse nessuna rimozione, vi sarebbe lo stesso l'Inconscio, poiché la nostra coscienza ha una funzione percettiva e non costitutiva della realtà. Freud scrive: "La ricerca in campo patologico, ha fatto sì che il nostro interesse si rivolgesse in modo troppo esclusivo al rimosso" ("L'Io e L'Es", 1922). Vale a dire che, siccome ci siamo occupati troppo della rimozione abbiamo tralasciato l'Inconscio nella sua interezza. Freud scrive in un passo della "Introduzione alla Psicoanalisi": "Nulla si trova nell'Es (dimensione istintuale che non s'identifica totalmente con l'inconscio) che corrisponda all'idea di tempo nessun riconoscimento di uno scorrere temporale. È cosa notevolissima e che attende un'esatta valutazione filosofica. Nessun'alterazione del processo psichico adopera nello scorrere del tempo". Nell'Inconscio non c'è tempo, dice Freud, ed aspetta che i filosofi si confrontino con questa sua scoperta. Scrive infatti: "Ho costantemente l'impressione che da questo fatto noi abbiamo tratto troppo poco profitto nella nostra teoria. Eppure qui sembra aprirsi un varco capace di farci accedere alle massime profondità. Purtroppo nemmeno io sono andato avanti su questo punto". Freud si aspettava una riflessione filosofica capace di andare al di là, lasciando non alla tecnica (come purtroppo è accaduto), ma alla ricerca teorica questo compito.
Freud stesso vede il progresso della Psicologia del Profondo nella riflessione filosofica, ed è in questa direzione che occorre andare, evitando l'appiattimento sul piano puramente tecnico-applicativo. Ancora una volta la parola è data ai "filosofi".
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Parte terza
I meccanismi di difesa dell'Io secondo Anna Freud
L'Io mette in atto meccanismi di difesa in funzione di equilibrio in relazione a tre fattori:
1. le eccessive spinte pulsionali (in questo caso occorre allearsi con l'Io del paziente e contemporaneamente cercare di rendere coscienti i contenuti dell'Es senza smantellare le difese, come nel caso delle psicosi);
2. la morale (in questo caso è necessario lavorare su un Super-io troppo rigido);
3. la realtà (questo è il caso tipico del bambino, che si sente impotente a modificarla, in ogni caso spesso elementi della vita reale possono diventare causa di patologia quando rievocano nuclei angosciosi molto precoci, ed occorrerà lavorare sulla separazione tra componenti reali e componenti immaginarie).
I meccanismi di difesa hanno due diverse valenze funzionali:
1. normale-momentaneo (fisiologica mobilità intrapsichica tra Es, Super-io, Io)
2. patologico (si tratta di difese "coatte" che si automatizzano formando una "corazza caratteriale" o un "sintomo")
Oltre alla "rimozione" (che ricordiamo essere cosa del tutto diversa dalla "repressione", che è operazione dell'Io, e quindi cosciente), Anna Freud classifica altri meccanismi di difesa, che qui analizziamo nel loro aspetto fisiologico, non in quello patologico:
1. la "regressione", che consiste in un ritorno a pregresse modalità comportamentali infantili. Essa comporta: minore forza logica, minore controllo delle emozioni, aggressività, dipendenza. (È tipica del primogenito in occasione della nascita di un fratellino, come per es. fare la pipì a letto di nuovo per attirare l'attenzione);
2. la "formazione reattiva", che consiste nell'adozione di un comportamento contrario a quello a cui il bisogno avrebbe indotto: fare il contrario. Per esempio: l'esibizionismo del timidi e dell'insicuro (il comico è nel privato una persona poco umoristica), l'eccessiva socievolezza e cordialità di una persona fondamentalmente ostile nei confronti degli altri (copertura comportamentale), crociata antirazzista di chi si sente intimamente colpevole di pregiudizio razziale (copertura ideologica), ecc.;
3. l'"isolamento" comportamentale, con fuga dalla realtà e rifugio nella fantasia;
4. la "fuga" dalla situazione frustrante (per es. lo studente capace, dopo l'ingiusta o fortuita bocciatura, lascia la scuola; oppure: non vado bene in matematica? non la studio più);
5. la "razionalizzazione", che consiste nel darsi ragioni plausibili per giustificare il mancato raggiungimento di uno scopo (per es. non vado bene in una materia perché il prof ce l'ha con me; oppure non sono stato eletto perché l'elettorato è ignorante ed i miei sostenitori sono degli incapaci);
6. la "proiezione" della colpa o dell'insuccesso (per es. l'incompetente che non fa carriera incolpa gli altri perché sono contro di lui; oppure il litigioso, l'aggressivo incolpa gli altri di esserlo con lui);
7. l'"introiezione", quale interiorizzazione dell'altro, identificazione totale con assunzione dell'altrui personalità e modalità comportamentale;
8. la "sublimazione", che consiste nell'indirizzare gli impulsi verso mete socialmente accettabili come le attività lavorative o artistico-espressive ( per esempio gli impulsi aggressivi e sadici sono sublimati in uno sport come la caccia, o in un lavoro come quello del macellaio; oppure gli impulsi erotici nell'arte);
9. la "negazione" nella fantasia, nelle parole, nell'azione di una realtà non accettata;
10. l'"identificazione", che consiste nel fatto che l'individuo incorpora i tratti propri di una persona o di un gruppo di persone, secondo modelli di vario genere: gregario, dominante, esibizionista, compresa l'identificazione della vittima col carnefice;
11. Lo "spostamento" analogico (per es. naso-pene).
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venerdì 27 febbraio 2009
Tema gratis Filosofia Psicoanalisi
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