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lunedì 23 febbraio 2009

Tema gratis Ugo Foscolo

In nessun altro paese come in Italia –tranne per breve periodo, nell’Inghilterra di Shakespeare- esisteva un clima spirituale ed estetico remoto, in cui il romanticismo si potesse riconoscere

. Da Dante ad Ariosto tutta la letteratura italiana era tale da apparire ai romantici come lontana "patria d’origine". La filosofia del Rinascimento ,dallo studio dell’uomo come problema centrale di ogni speculazione, giù fino al panteismo di Bruno e Campanella , era stata "l’alba del un nuovo pensiero". L’arte di quel periodo fu una delle forze formatrici nell’esperienza romantica europea. Da qui infatti tutti i più importanti scrittori romantici italiani attingono le proprie "origini".

Foscolo è il primo vero "personaggio" romantico che appare nella storia della letteratura italiana, appassionato, impetuoso, "ricco di vizi e virtù" come egli stesso si definisce nel "Sonetto Autoritratto". Ma se Foscolo fu il primo, Leopardi ne fu il massimo esponente, con la sua poesia del contrasto tra la ragione e il sentimento.
















UGO FOSCOLO.


Due sono gli aspetti principali della sua personalità: il primo è l’immediato abbandono agli impulsi del sentimento e delle passioni, che agitarono ininterrottamente la sua vita; il secondo, in contrasto col primo, è l’esigenza di un ordine, di una disciplina, di un’armonia interiore.

Nell’abbandono agli impulsi del sentimento e delle passioni, si avverte il segno della nuova sensibilità del Romanticismo; nell’esigenza dell’equilibrio e dell’armonia interiore si avverte l’influenza del classicismo.


- Il pensiero -

Foscolo nella sua concezione del mondo e della vita segue le dottrine materialistiche e meccanicistiche dell’Illuminismo, secondo le quali il mondo è fatto di materia sottoposta ad un processo incostante di trasformazione governato da leggi meccaniche.

Anche l’uomo è soggetto alla stessa legge di dissolvimento della materia, perciò compiuto il suo ciclo biologico, si annulla completamente come individuo. Per i filosofi dell’Illuminismo questa concezione materialistica della realtà e dell’uomo era motivo di ottimismo perché liberava l’animo dalle superstizioni, dalla paura della morte, inducendoli a vivere più serenamente, invece per il Foscolo queste teorie erano motivo di pessimismo e disperazione.

La visione materialistica, lo porta a considerare l’uomo come prigioniero della natura , che, compiuto il suo ciclo vitale, piomba nel "nulla" eterno. Così il Foscolo considera la ragione un dono malefico della natura, causa di disperazione tale da trovare nel suicidio l’unica liberazione possibile.

Tuttavia il Foscolo non soccombe al pessimismo e alla disperazione, ma reagisce vigorosamente, creandosi una nuova fede in valori universali, che danno un fine ed un significato alla vita dell’uomo. Questi valori universali sono la bellezza, l’amore, la libertà, la patria, la virtù, l’eroismo, la poesia, l’arte, la gloria, tutti sentimenti che i filosofi materialistici e scettici chiamavano "illusioni", cioè idee vane.

Tra le "illusioni" la più grande per il Foscolo è la gloria poiché egli ha perduto la fede cristiana nell’immortalità dell’anima, allora vede nella gloria l’unico mezzo di sopravvivenza ideale dopo la morte.

Per il Foscolo le illusioni ,però, non furono mai una realtà assoluta ma spesso erano accompagnate dalla consapevolezza dei limiti della natura umana e dalla minaccia sempre incombente della morte e del nulla eterno. Le opere più importanti del Foscolo sono: "Le ultime lettere di Jacopo Ortis" , "Le Odi", "I sonetti", "I Sepolcri" e "Le Grazie" (opera incompiuta).








Le opere maggiori.



Le ultime lettere di Jacopo Ortis

Prima esperienza cospicua dell’operosità del Foscolo è costituita da "Le ultime lettere di Jacopo Ortis", un romanzo epistolare a carattere autobiografico.

Attraverso le lettere dirette da Jacopo all’amico Lorenzo Alderoni; il Foscolo narra le vicende dolorose dello spirito del suo personaggio, che è travagliato dalla sorte della sua patria, Venezia, vilmente ceduta all’Austria e da un suo infelice amore per una fanciulla, Teresa, già promessa sposa di un altro giovane.

Jacopo ortis così per sfuggire all’amore e alle persecuzioni viaggia per molte regioni d’Italia; infine tornerà a trovare Teresa e deciderà di uccidersi .

Il tono dell’Ortis è caldo, appassionato, ma quasi scontato infatti il personaggio non arriva al suo gesto attraverso un processo spirituale, ma ha già deciso il suicidio sin dalle prime pagine.

Il valore dell’Ortis è principalmente autobiografico ed è facile riconoscere in Jacopo Ortis il Foscolo della giovinezza. Esso è uno dei libri più significativi della nuova letteratura ed ha un grande valore spirituale; rispecchia la concezione pessimistica del Foscolo nei confronti della vita. Troviamo quindi in quest’opera il tono più alto del pessimismo foscoliano, il suicidio; considerato come una forma di liberazione e di protesta. Liberazione, nei confronti della vita; protesta nei confronti della natura che ha destinato l’uomo all’infelicità.



I sonetti.

Pur essendo contemporanei all’Ortis, I Sonetti , rappresentano il secondo momento dello svolgimento spirituale e artistico del Foscolo, quello del superamento del pessimismo e della virile accettazione della realtà. Nei sonetti maggiori il Foscolo appare mutato, disposto ad accettare virilmente la realtà e il dolore, essi sono quattro: "La Musa", "A Zacinto", "In Morte del fratello Giovanni" e "Alla sera".

In queste opere si nota che per il Foscolo le meditazioni sulla natura sono suggerite dalla vista di un paesaggio come avviene nel sonetto "Alla Sera". In esso è il calar delle tenebre, sia di un sereno tramonto estivo sia di una cupa sera invernale, le cui ombre che scendono dal cielo nevoso sembrano allungarsi inquiete ed inghiottire tutto l’universo, a spingere i pensieri del poeta "sull’orme che vanno al nulla eterno". L’alternanza è costante, nei "Sonetti", all’immaginazione della tenebrosa sera invernale di "Alla Sera" si contrappongono le limpide nubi e le fronde di "A Zacinto" che evocano la serenità del paesaggio classico.



Le odi.

Le odi del Foscolo sono due: "A Luigia Pallavicini caduta da cavallo" e "All’amica risanata".

Esse sono considerate il primo manifestarsi del risorgere del Foscolo alla vita, il superamento cioè del momento dell’Ortis cupo e disperato fino al suicidio, con la consolazione del dolore nel culto della bellezza e nell’accettazione virile dell’umana esistenza.

L’ode "A Luigia Pallavicini svolge uno dei motivi più cari al Foscolo, quello della bellezza "serenatrice", sentita cioè, come balsamo e conforto dell’uomo; essa però è trattata superficialmente perché la bellezza è contemplata esteriormente come armonia di forma e piacere visivo, più che consolazione e lenimento del dolore, come invece avviene nella seconda ode "All’amica risanata".

Rispetto alla prima, la seconda ode, alla bellezza "serenatrice" aggiunge un altro motivo quello della poesia "eternatrice". La bellezza come tutte le cose di questo mondo è anch’essa peritura, sottoposta alla legge universale della materia. Ma a salvarne lo splendore e il ricordo interviene la poesia, che le dona l’immortalità, poiché essa vince l’oscurità e la morte. Quindi da queste opere si evince la concezione foscoliana della poesia, che è eternatrice , l’unica in grado di opporsi all’immutabile destino umano.




I Sepolcri.

Il carme dei "Sepolcri" è un opera didascalica e lirica; didascalica perché mira a inculcare il culto delle tombe, dimostrandone il valore ideale e l’utilità civile, ma è anche un opera lirica, perché esprime i sentimenti profondi del poeta, la sua concezione pessimistica, ma nello stesso tempo agonistica, eroica e costruttiva della vita. Il Foscolo afferma inizialmente che le tombe sono, dal punto di vista razionale, inutili, perché con la morte finisce tutto; ma contro le affermazioni della ragione insorge il sentimento, il quale afferma che le tombe sono necessarie, perché sono "tramite di corrispondenza di amorosi sensi tra l’estinto e i vivi", e segno della sopravvivenza ideale dell’estinto nel ricordo dei vivi, a condizione però che l’estinto abbia lasciato ai suoi un’eredità di affetti, ossia un buon ricordo di sé, altrimenti su di lui scende l’oblio totale. Egli considera il culto dei morti nato con la civiltà e segno di civiltà.

I sepolcri svolgono il motivo centrale del Romanticismo che consiste nel sentimento drammatico della vita confortato nella fede nelle "illusioni".

Il motivo unitario del carme è il sentimento della vita che trionfa sulla morte , accostato tuttavia al sentimento del dolore e del nulla eterno, infatti i "Sepolcri" sono pressoché la continua coesistenza dei due sentimenti di dolore e di morte, che si accompagnano come la luce accompagna l’ombra.



Conclusioni.

Motivo centrale ,quindi, della poesia del Foscolo è questa continua lotta tra: vita e morte; dolore e nulla eterno; elementi sublimemente accostati alla descrizione della natura che rappresenta la proiezione del proprio stato d’animo; questo permette che necessariamente si venga a creare un rapporto tra l’individualità del poeta e la natura descritta. Così se nel sonetto "Alla Sera" il poeta si sofferma sulla descrizione di un paesaggio invernale che lo porta ad una attenta meditazione, nel sonetto "A Zacinto" Foscolo evoca un paesaggio prettamente classico, suggerito dalla descrizione del "greco mar".

Allo stesso modo ne "Le ultime lettere di Jacopo Ortis" si rievocano i paesaggi romantici e cupi che richiamano quelli descritti da Ossian e così anche ne "I Sepolcri" in cui alla "deserta gleba", simbolo di siccità e quindi di morte, si contrappongono visioni decisamente più serene suggerite dai cipressi, dai cedri, dalle fontane che rappresentano simboli evidenti di fecondità e quindi di vita.

UGO FOSCOLO : IL POETA



Tra le illusioni che il poeta ritiene necessarie per opporsi al cieco meccanicismo della materia, la più importante è la poesia, la sola che riesce a sottrarre l’uomo a quel destino di morte a cui sono destinate tutte le cose.



JACOPO ORTIS: le ultimissime lettere di Jacopo Ortis sono un’opera di ispirazione preromantica, in quanto forti sono i contrasti fra ragione e sentimento, fra reale e ideale. Non hanno invece veste neoclassica. Il Foscolo non è riuscito a conciliare quei contrasti ancora insanabili, fra la concezione materialistica della realtà, che gli faceva vedere l’universo come un ciclo perenne di vita e di morte, in cui tutte le cose compreso l’uomo, fluiscono nel nulla eterno, e il sentimento che gli promette una vita densa di valori. Vi è dunque nel Ortis una eccessiva descrizione delle passioni che non consente un equilibrio all’interno dell’uomo.

ODI : la Bellezza per il Foscolo è un mito che solamente la poesia è in grado di contemplare e di conservare.

I SONETTI : i Sonetti ricordano l’Ortis a causa del persistente contrasto fra ragione e sentimento, la ragione che ricorda al Foscolo che tutto è vano e il sentimento che gli suggerisce, che la vita merita di essere vissuta.

ESTETICA POETICA DEL FOSCOLO: (ottimismo della volontà in contrasto con il pessimismo dell’intelligenza. Parte da premesse sensistiche e materialistiche, dove solo il sentimento può superare nell’uomo l’aridità).

Anche nella poesia i giudizi intorno al Monti furono negativi a causa della sua estetica, del suo modo di verseggiare sempre esteriore e barocco. Leopardi lo definì "Poeta della fantasia e dell’immaginazione, ma mai del cuore". Morì nel 1828, l’anno dopo la morte di Ugo Foscolo.

Che cosa oppone il Foscolo alle drammatiche conclusioni a cui lo condurranno le tesi del materialismo meccanicistico? Egli contrappone il sentimento, vero creatore di valori umani, come la Bellezza, la Patria, la Libertà, il Sepolcro, la Poesia, tutti valori per i quali valeva la pena vivere la vita.


UGO FOSCOLO : LA VITA



Nicolò Foscolo, che in seguito mutò il nome in Ugo, nacque a Zante o Zacinto, un’isoletta greca nel Mar Ionio, facente parti dei domini Adriatico-Ionici della Serenissima nel 1778, da madre greca Diamantina Spathis, e da Andrea, medico veneziano e morì a Turnham Green, un sobborgo di Londra nel 1827.

In lui trovano composizione tre culture: quelle illuministiche, quella preromantica, quella neoclassica. Fu illuminista per le concezioni filosofiche che egli manifestò intorno alla realtà e alla vita; fu preromantico per i conflitti che lui visse fra sentimento e ragione; fu neoclassico per le concezioni che egli ebbe intorno alla poesia e all’arte. Abbandonate la fede cristiana, il Foscolo aderì alla tesi del materialismo meccanicistico, che gli facevano vedere l’universo come un ciclo perenne di vita e di morte in cui tutte le cose, compreso l’uomo, sono destinate a fluire nel nulla eterno. Tale sconfortante concezione non paralizzò mai la mente del Foscolo, fu anzi un elemento operoso, attivo, e di ricerca verso un’affermazione positiva della vita. Pertanto, alla ragione che vanificava ogni cosa egli oppose il sentimento, vero creatore, sulla Terra di ideali e di valori. Sono quei valori e quegli ideali che la ragione con le sue inoppugnabili argomentazioni, e verità, chiama illusioni, illusioni che però aiutano l’uomo a vivere. Eppure, nonostante il poeta sia riuscito a contrapporre queste illusioni alla ragione, presto si accorge che esse non sono eterne, sono invece caduche, effimere, soggette al fluire continuo di tempo che, passando, trasforma ogni cosa. Quale strumento hanno allora gli uomini per evitare che anche la loro vita e anche le loro illusioni finiscano come tutte le altre cose nel nulla eterno? A partire dal verso 250 dei Sepolcri Foscolo introduce il mito di "Elettra" o meglio il mito della tomba di Elettra. Questa mitologica progenitrice della stirpe Troiana, poco prima di morire, venne a sapere dall’oracolo che la sua tomba sarebbe durata 900 anni, e dopo tale tempo si sarebbe ridotta in polvere. Preoccupata, invia una preghiera a Giove, affinché la sua tomba possa rimanere eterna, ma Giove, che pure il sommo tra tutti gli altri Dei, non può fare nulla, non può neanche egli opporsi al destino. Può solamente lenire la pena di Elettra, che un tempo fu sua sposa, mandando sulla sua tomba il poeta Omero. Questi sarà in grado con il suo canto di eternare la tomba di Elettra, sottraendola così al trascorrere del tempo. La poesia, risponde Foscolo è lo strumento col quale l’uomo può opporsi al tragico destino del nulla eterno, verso cui si incamminano tutte le cose che esistono.


PRELUDIO ( pagina 22) :


Attraverso queste prime lettere, Jacopo Ortis ( ritratto giovanile del Foscolo), alludendo al trattato di Campoformio del 1797, con il quale Napoleone cedeva la sua Venezia all’Austria, informa l’amico giovanile Alderani il ritorno alla sua profonda delusione. Questa sciagurata delusione del Buonaparte, a Jacopo Ortis, apprendiamo dalle lettere, non rimane che la via dell’esilio, dal momento che dovrebbe condurre i suoi giorni sotto il dominio austriaco. Egli accetta dunque l’esilio, la cui condizione comporta una profonda nostalgia nei confronti della sua Patria perduta, del passato e del futuro, poiché teme di non avere domani una tomba, sulla quale potrà pregare sua madre per ricordarla dopo la sua morte. Una lettera questa che anticipa i temi della futura produzione poetica foscoliana: l’esilio, la Patria, il Sepolcro.


TERESA (pagina 22):


E’ la dama amata da Jacopo Ortis. Ella però non può corrispondere perché il padre la promessa sposa al ricco Edoardo. Attraverso questa lettera, il Foscolo trova l’estro per introdurre il discorso sul tema della Bellezza, visto che, accanto alla Patria, all’amore, all’esilio, costituisce un balsamo ristoratore davanti a tutti i guai della vita. Da notare poi che la Bellezza, ristoro unico ai mali della vita, è il mito per eccellenza del Neoclassicismo.


L’AMORE (pagina 26) :


Jacopo Ortis descrive all’amico Alderani la gioia che gli procura il sentimento dell’amore. Egli vede nell’amore, oltre che il principio generatore della natura alla maniera del poeta C. Lucrezio, anche quel sentimento che ha fatto passare anticamente l’uomo dallo stato felino allo stato civile. Si deve ricordare che in questo caso Foscolo si rende conto della lezione di Gian Battista Vico. Dopo aver dunque parlato dell’amore all’amico, Jacopo Ortis ricorda che questo sentimento è ritenuto illusione da parte della ragione. Ciò nonostante, egli riconosce che senza questa illusione, l’uomo non potrebbe continuare a vivere sulla Terra.
















A ZACINTO : Presentazione (pag.39)



Il poeta amò spesso ricordare l’isola natale, "La sua chiara e selvosa" Zacinto, ancora richieggiante dei versi con cui Omero e Teocrito la celebrarono. Tale ricordo riveste un importanza esemplare in questo sonetto, contemporaneo all’ode "ALL’AMICA RISONANTE" e di poco posteriore a quello " in morte del fratello Giovanni" e come esso impregnato di una certezza di un destino di perpetuo esilio. E dal rimpianto e dal ricordo per l’isola natale abbandonata e per giunta per sempre, s’innalza altissima la Poesia, l’idealizzazione della mitica sede dell’armonia e della Bellezza, un unico ristoro ai mali e ai guai della vita.



TRADUZIONE LETTERALE E COMMENTO :



( Già all’inizio di questo sonetto, il poeta è certo che la sua vita sarà destinata a un perpetuo esilio. Inizia il primo verso attraverso una congiunzione negativa "Ne" a testimonianza che questa composizione non è nata dal getto, ma al contrario è il risultato di una meditazione precedente).



Io non approderò mai più presso le sacre rive, dove il mio corpo, un tempo fanciullo, dimorò, o Zacinto mia, che ti rifletti nelle onde del Mar Ionio, dalle cui schiume nacque Venere, e rese fertile quell’isola col suo primo sorriso, per cui la famosa poesia di Omero che celebrò quelle acque fatali ed il continuo peregrinare, grazie al quale Ulisse, ormai carico di gloria e di sventure poté baciare la sua rocciosa Itaca, e non smise di cantare la limpidezza del tuo clima e la bellezza della tua vegetazione. Tu, o mia terra materna, non riceverai altro da tuo figlio, se non il canto, a me, il destino ha prescritto una sepoltura senza il conforto delle lacrime.



NOTE.




"Sacre sponde": il poeta scrive delle sacre sponde perché gli abitanti della sua isola natale erano dediti al culto della dea Diana;


"Nacque/Venere" : dietro l’ispirazione del poeta latino Lucrezio, Foscolo definisce Venere generatrice della natura e degli animali;


"Onde non tacque…Ulisse" : nella parte centrale del sonetto, Foscolo, richiamandosi a Omero che, nella sua poesia, non si era sottratto al fascino del paesaggio di Zacinto, fa una similitudine fra la sua condizione di esule con quella di Ulisse. Egli dimostra, in questi versi una malcelata anche se contenuta invidia nei confronti dell’eroe greco: mentre a quest’ultimo è toccato in sorte di riabbracciare la sua Patria, dopo tante peregrinazioni, a lui il destino ha riservato una ben più cruda realtà, non permettendogli mai di ritornare nella sua città natale;


"Tu non altro…sepoltura" : nell’ultima terzina del sonetto, il poeta può finalmente ricomporre l’equilibrio, l’armonia fra se stesso e il mondo, che il destino gli ha negato innalzando il canto poetico a Zacinto. Solo la poesia, è per il poeta, in grado di idealizzare ed esaltare la realtà fonte di sofferenza. E allora, mentre Ulisse ha potuto riabbracciare i suoi cari a Itaca, il poeta può soddisfare questa esigenza di affetto solo attraverso la poesia: "Tu non altro che il canto avrai …" .

A Zacinto


Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque

Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque

cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.



ALLA SERA



PRESENTAZIONE:



Composto nel 1802, questo sonetto fu collocato dal Foscolo stesso al primo posto di una raccolta delle Odi e dei sonetti stampate a Milano nel 1803, in quanto ritenuto il più significativo fra tutti e in certo senso riassuntivo del travaglio spirituale della prima parte della produzione Foscoliana. Dopo tanta dolorosa certezza della fatalità della sua condizione di esule, dell’irrimediabilità dei mali d’Italia, della vanità di ogni suo travaglio, ecco l’invocazione alla morte, qui trasferita però su di un piano di languida malinconia, quasi un placarsi del dolore dell’individuo nell’assopimento del mondo intero, nel nulla eterno.



TRADUZIONE LETTERALE E COMMENTO :



Forse, perché sei l’immagine della morte, a me sei molto gradita, o Sera!. Sia quando d’estate ti accompagnano liete le nuvole e i venticelli che portano il sereno, sia quando d’inverno dall’aria tempestosa trascini all’orizzonte notti agitate e lunghe, sempre scendi desiderata, e trattieni, con dolcezza le intime preoccupazioni del mio cuore. Tu mi fai vagare in compagnia dei miei pensieri che conducono al nulla eterno, e intanto si allontana questo tempo colpevole, e se ne vanno assieme a lui le schiere delle preoccupazioni per cui egli stesso si distrugge assieme a me e mentre io o Sera contemplo la tua pace, si placa quello spirito battagliero che ruppe dentro di me.



NOTE :

Il sonetto, che presenta il seguente schema metrico ABAB, ABAB, CDC, DCD, si apre con un apostrofe alla Sera, qui personificata, data l’importanza che il poeta le attribuisce. A Foscolo, la Sera dal momento che gli evoca l’immagine della morte, è gradita sia d’inverno sia d’estate; essa scende sempre desiderata, dal momento che placa tutte le ansie accumulate durante la giornata e poi perché induce l’anima alla riflessione, alla meditazione intorno alla vita, al tempo che trascorre e che conduce tutte le cose al nulla eterno, alla morte. Negli ultimi due versi, infine, il poeta, attribuendo alla Sera le qualità serenatrici che gli assegnò già alla Poesia, afferma che nella Sera si placa definitivamente quel suo conflitto che costantemente gli ruppe nell’anima. Oltre a tutti i mali descritti nella presentazione di questo sonetto, il contrasto che più angoscia il poeta è rappresentato da quel dissidio interiore fra la ragione e il sentimento. La ragione che dice che tutto è vano e il sentimento che aiuta il Foscolo a ribadire che val la pena vivere.

Da notare che l’ultimo verso del sonetto: < Quello spirto guerrier che entro mi rupe…>, è uno dei versi più aggressivi e più rumorosi che il Foscolo abbia composto, a causa delle numerose "ERRE" che lo fanno sentire come un ruggito. In quanto tale si contrappone nettamente alla dolcezza del primo verso: < Forse perché dalla fatal quiete…>. C’è infine da sottolineare che la Sera ì, più che la morte, rappresenta la poesia, l’idealizzazione dell’eterna mitica sede dell’armonia e della bellezza.

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