Questo romanzo di Umberto Eco è stato pubblicato nel 1980.
L’azione si svolge nel 1327, in un’abbazia benedettina posta in montagna in località imprecisata tra il Sud dell'Europa e il Nord dell'Italia. Il racconto è diviso in sette giorni, ritmati secondo i vari offici liturgici della giornata (ma lo stesso Eco ha rivelato che con la ripartizione dei capitoli secondo le ore del giorno ha contratto un debito con l'Ulisse di Joyce).
Riassunto del romanzo
Anno di grazia 1327, la cristianità è in crisi. Le eresie sorgono in ogni dove e aspramente sono combattute. Il papato è impegnato su più fronti: contro l’imperatore Ludovico il Bavaro e contro i nemici interni opponendosi a tutti coloro che desiderano riformare la Chiesa.
Guglielmo di Baskerville, monaco francescano, ex-inquisitore e consigliere dell’Imperatore si reca unitamente ad Adso da Melk, un giovane benedettino, che è anche il narratore del romanzo, in un’abbazia benedettina del Sud della Francia. Devono partecipare ad un’importante riunione che vede contrapposti i francescani fautori della povertà del Cristo ed i partigiani del papa. Questo incontro è stato organizzato allo scopo di permettere alle due parti di trovare un accordo.
L’abbazia vive ore tormentate. Subito dopo il suo arrivo, l’Abate Abbone chiede a Guglielmo di Baskerville di indagare sulle cause della morte violenta di uno dei suoi conventuali. In effetti durante la notte, Adelmo da Otranto, un giovane monaco è caduto dall’Edificio, un’imponente costruzione nella quale si trovano sia il refettorio che l’immensa biblioteca dell’abbazia.
Per le necessità della propria indagine Guglielmo di Baskerville va alla riunione dei monaci dell’abbazia. Fa la conoscenza di Salvatore, un monaco deforme che parla una lingua sconosciuta, mescolanza di molte altre, di Ubertino da Casale, un “uomo strano”, un uomo intransigente che sicuramente sarebbe potuto diventare uno di quegli eretici che Guglielmo avrebbe mandato al rogo, Venanzio, un ellenista erudito, Jorge, un vegliardo cieco divorato da un orgoglio smisurato e che disprezza il riso umano, Severino, un curioso erborista, ed infine Berengario, l’aiuto bibliotecario che sembra avere avuto una relazione particolare con la vittima. Questi incontri individuali consentono a Guglielmo di Baskerville di scoprire alcune norme e segreti dell’abbazia. Acquisisce abbastanza rapidamente la convinzione che Adelmo da Otranto non è stato assassinato, ma che si è suicidato.
Il secondo giorno, Venanzio, l’ ellenista è trovato morto in un barile di sangue di maiale. Guglielmo si persuade che queste due morti siano legate alla biblioteca dell’abbazia.
Questa biblioteca, tra le più grandi della cristianità, è costruita come un luogo segreto a forma di labirinto, allo scopo di proteggerla dagli intrusi. Guglielmo ed Adso manifestano il desiderio di visitarla. Ma il permesso viene loro rifiutato. È un luogo vietato, conosciuto dal solo Malachia, il bibliotecario e da Berengario, il suo aiuto. Rappresenta il centro misterioso dell’abbazia. I monaci e gli ospiti hanno accesso soltanto allo scriptorium, luogo di studio nel quale possono dedicarsi alla lettura ed alla copia.
Guglielmo ed Adso scoprono che alcuni libri “vietati” della biblioteca portano, nel catalogo, la menzione “finis africae”.
Solo Malachia, il bibliotecario e Berengario, il suo aiuto, sembrano conoscere il segreto di questa dicitura che corrisponde ad una sezione della biblioteca.
Guglielmo prosegue la sua indagine ed inizia a sospettare di Berengario. Questi è l’ultimo a avere visto Adelmo in vita e temeva che Venanzio rivelasse la relazione particolare che inttratteneva con il giovane monaco.
Guglielmo ed Adso decidono, nonostante i divieti, di recarsi nella biblioteca; provano a trovare il libro che Venanzio studiava nello scriptorium, ma quest’ultimo è scomparso. Resta soltanto una vecchia pergamena scritta in greco recante le annotazioni di Venanzio. Mentre studiano questa pergamena, si accorgono che non sono soli in questo luogo segreto. Un ospite misterioso riesce a sottrarre gli occhiali a Guglielmo che così è impedito nella prosecuzione della lettura. Guglielmo ed Adso nell’inseguire la misteriosa spia imboccano il labirinto, e solo con grande fortuna trovano l’uscita dalla biblioteca.
Il terzo giorno, Guglielmo ed Adso riescono a decifrare le annotazioni di Venanzio. Ma il testo resta enigmatico. Guglielmo desidera interrogare Berengario, ma quest’ultimo è scomparso. Mette a profitto quest’inconveniente per cercare di risolvere l’enigma del labirinto. Ci riesce e decide di tornarvi la notte seguente. La sera Adso scopre nelle cucine una giovane donna. Questa seducente creatura non cerca che degli alimenti e in cambio di essi offre le sue grazie al giovane Adso in estasi.
Durante la notte, si trova nelle latrine il corpo di Berengario. Guglielmo è incuriosito dalle macchie marroni che il cadavere reca sulle dita e sulla punta della lingua. Sospetta l’avvelenamento. Guglielmo scopre che era Berengario la misteriosa ombra della biblioteca, la sera prima. Ritorna in possesso dei suoi occhiali.
Queste morti brutali creano un disagio profondo nell’abbazia. Il giorno dopo arrivano prima il gruppo dei francescani, alla cui guida è Michele da Cesena, successivamente gli emissari del papa alla testa dei quali si trova l’inquisitore Bernardo Gui, uomo dalla reputazione di grande crudeltà . L’Abate preoccupato della buona reputazione del proprio monastero teme per il futuro della sua abbazia. Guglielmo ed Adso proseguono con discrezione la loro indagine. Si introducono nuovamente nel labirinto e ne intuiscono il disegno. Non riescono tuttavia a penetrare il mistero del luogo designato dal cartiglio “finis africae”. Infatti, non riescono a decifrare il codice che permetterebbe loro di superarne la soglia.
Quando escono dalla biblioteca, incrociano l’inquisitore Bernardo Gui che ha già iniziato ad imporre la sua legge. Ha sorpreso la giovane sconosciuta, che aveva amato Adso la vigilia, con Salvatore. Questo quarto giorno è anche l’occasione del primo scambio di ostilità tra Guglielmo e Bernardo Gui. I due uomini non si apprezzano affatto.
Il quinto giorno, le discussioni politiche e religiose riprendono. Ma sono rapidamente interrotte dalla scoperta di un altro cadavere. Severino l’erborista, è rinvenuto con la testa schiacciata.
Bernardo Gui procede all’arresto del cellario Remigio, che sospetta essere l’autore di questi assassini. Organizza un processo durante il quale sono processati Remigio ed i due prigionieri della vigilia: Salvatore e la giovane sconosciuta. Sotto tortura, Salvatore confessa e riconosce tutti i crimini di cui Bernard Gui lo accusa. Inoltre Remigio che desidera sfuggire alla tortura, riconosce anch’egli d’ essere un eretico ed un criminale. La giovane sconosciuta è accusata di stregoneria. Con questo processo Bernardo Gui ed i suoi uomini segnano punti e sembrano essere giunti a penetrare il mistero degli omicidi, addebitandoli al vecchio cellario.
Ma il giorno dopo, un nuovo omicidio è scoperto. Questa volta è Malachia, il bibliotecario, la vittima. Anch’gli ha la punta delle dita coperte di macchie marroni. Guglielmo decide di proseguire la sua indagine. È persuaso che esiste un legame tra il libro scomparso e questi omicidi.
L’Abate ordina a Guglielmo di arrestare la sua indagine. Ma quest’ultimo disattende l’ordine.
Durante la notte, torna con Adso nella biblioteca. Avendo trovato il codice segreto, riescono a entrare finalmente nella sezione misteriosa “ finis africae”. Vi scoprono ***, che li attende. *** li lascia leggere il libro tanto ambito, e che è stato la causa di tante morti. Si tratta di una copia unica di un testo di Aristotele sull’umorismo ed il riso, il II° libro della Poetica. *** tenta allora di fuggire. La biblioteca prende fuoco, e distrugge così quest’unico esemplare dell’opera che *** giudicava blasfemo, che non era riuscito tuttavia a distruggere, e che aveva provocato tante morti.
Guglielmo e Adso si recano ad un monastero benedettino di regola cluniacense posto tra i monti dell'Italia settentrionale e, dal momento che nelle giornate senza foschia è visibile il mare, presumibilmente anche vicino alla costa. Questo monastero sarà sede di un delicato convegno che vedrà protagonisti i Francescani, sostenitori delle tesi pauperistiche e alleati dell'Imperatore, e i loro nemici della curia papale insediata a quei tempi ad Avignone. I due monaci (Guglielmo è francescano e inquisitore "pentito", il suo discepolo Adso è un novizio benedettino) si stanno recando in questo luogo lontano perché Guglielmo è chiamato a far parte del congresso, dalla parte che sostiene le tesi pauperistiche. L'abate, preoccupato che alcuni fatti misteriosi e, soprattutto, l'improvvisa e inspiegabile morte di un confratello possano far saltare i lavori del congresso e far ricadere la colpa su di lui confida nelle capacità inquisitorie di Guglielmo e gli affida il compito di far luce sulla vicenda.
Nonostante la quasi totale libertà di movimento concessa all'ex-inquisitore, altre morti si susseguono e sembrano tutte ruotare attorno alla biblioteca, vanto e onore del monastero, e ad un misterioso manoscritto. La situazione è complicata dall'imminente convegno e dalla scoperta, fatta dall'inquisitore Bernardo Gui, di due eretici della setta dei Dolciniani profughi presso l'Ordine dei Benedettini (il cellario e il suo aiutante semianalfabeta): così, in un'atmosfera inquietante, tra discorsi sulle donne, oggetto della perdizione del mondo, e sull'eresia, così antichi e al tempo stesso così moderni e attuali, Guglielmo e Adso si avvicinano sempre più alla verità, fino a scoprire il misterioso manoscritto (il secondo perduto libro della Poetica di Aristotele, che tratta della commedia, e dunque del riso e dello scherzo) per cui così tanti monaci sono morti e il misterioso assassino che così bene ha colpito nel monastero.
Alla fine, scoperta ogni cosa, i due protagonisti si allontanano, mentre la biblioteca brucia nell'incendio verificatosi nella confusione: Jorge tenta di mangiarsi le pagine del manoscritto e poi fugge, alché un lumino caduto fa prendere fuoco ai libri. Jorge è quindi lucidissimo nel suo proposito di salvare l'umanità dalla pericolosa riscoperta del libro di Aristotele. In tema di citazioni e ammiccamenti più o meno nascosti (di cui il romanzo è disseminato dall'inizio alla fine) è abbastanza palese che tanto il nome di questo personaggio (Jorge da Burgos), quanto il trinomio cecità/biblioteca/labirinto a lui collegato, costituiscano un'allusione nemmeno troppo velata allo scrittore argentino Jorge Luis Borges.
Una curiosità legata al titolo del romanzo, è (parzialmente) svelata alla fine del libro, dove l'ormai vecchio narratore Adso da Melk conclude il suo racconto con un'espressione latina :"Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus" (la rosa primigenia esiste in quanto nome, possediamo i semplici nomi). Si tratta di un messaggio che porta a riflettere affinché non si presuma di essere depositari di verità assolute, in quanto queste saranno sempre contestabili, se non addirittura risibili.
Personaggi [modifica]
Protagonisti
• Adso da Melk (voce narrante), novizio benedettino al seguito di Guglielmo.
• Guglielmo da Baskerville, francescano, già inquisitore, in visita presso il monastero dove si svolge la vicenda.
Monaci dell'Abbazia
• Abbone, abate del monastero; è l'unico, insieme al bibliotecario e al suo aiutante, a conoscere i segreti della biblioteca.
• Adelmo da Otranto, miniatore ucciso nel primo delitto.
• Alinardo da Grottaferrata, il più anziano dei monaci e per il suo comportamento considerato da tutti un pazzo ma si rivela utile alla risoluzione della vicenda.
• Aymaro da Alessandria, trascrittore italiano.
• Bencio da Upsala, giovane scandinavo trascrittore di testi di retorica e nuovo aiuto-bibliotecario.
• Berengario da Arundel, aiuto bibliotecario dell'abbazia.
• Jorge da Burgos, anziano cieco, profondo conoscitore dei segreti del monastero e in passato bibliotecario.
• Malachia da Hildesheim, bibliotecario.
• Nicola da Morimondo, vetraio.
• Remigio da Varagine, cellario ex-dolciniano.
• Salvatore, ex-eretico dolciniano; parla una lingua mista di latino e numerosi volgari.
• Severino da Sant'Emmerano, erborista.
• Ubertino da Casale, francescano spirituale.
• Venanzio da Salvemec, traduttore da greco e dall'arabo, sapiente di cose greche e devoto di Aristotele.
Personaggi minori:
• Patrizio da Clonmacnois, trascrittore.
• Rabano da Toledo, trascrittore.
• Magnus da Iona, trascrittore.
• Waldo da Hereford, trascrittore.
Delegazione pontificia
• Bernardo Gui, inquisitore dell'Ordine domenicano.
• Bertrando del Poggetto, cardinale a capo della delegazione pontificia.
Delegazione imperiale (minoriti)
• Berengario Talloni.
• Girolamo di Caffa, Vescovo.
• Michele da Cesena, Generale dell'Ordine dei Frati Minori e capo della delegazione imperiale.
• Ugo da Novocastro.
Interpretazione dei personaggi [modifica]
I personaggi, anche quelli minori, si offrono ad una doppia (alle volte tripla lettura); alcuni sono di fantasia e altri realmente esistiti.
Fra' Guglielmo, oltre ad un medievale Sherlock Holmes, ricorda anche in maniera palese il filosofo francescano inglese Guglielmo di Occam, maestro del metodo deduttivo; peraltro, nelle citazioni l'Autore inventa una fittizia discendenza discepolare di fra' Guglielmo da Ruggero Bacone, anch'egli filosofo d'Oltremanica tardo-medievale.
Alcuni epiteti di Jorge da Burgos sono direttamente tratti dagli strali lanciati dal "Doctor Mellifluus" Bernardo di Chiaravalle contro l'origine diabolica del riso. Il personaggio, peraltro, appare una riuscita caricatura di Jorge Luis Borges: ciò non soltanto per la comune cecità e per l'evidente assonanza dei nomi, ma anche per la diretta discendenza borgesiana dell'immagine della biblioteca come specchio del mondo e persino della planimetria poligonale con cui la biblioteca dell'abbazia è disegnata (cfr. la Biblioteca di Babele).
L'ex dolciniano Salvatore - ed il suo grido "Penitenziagite!", con cui accoglie i nuovi venuti all'abbazia - ci riporta alle lotte intestine della chiesa medievale, alle volte anche sanguinose, tra i vescovi cattolici e il movimento degli spirituali, portato avanti dai seguaci di Fra' Dolcino da Novara.
Altri sono personaggi storicamente vissuti come il domenicano Bernardo Gui, Ubertino da Casale e Michele da Cesena, tutti primi attori della disputa francescana conventuali-spirituali del periodo del papato avignonese di Papa Giovanni XXII e dell'impero di Ludovico il Bavaro.
Un'altra notazione può essere fatta sui luoghi dove sono ambientate le storie. Se da un lato Eco non rinuncia a situare l'Abbazia dei delitti nella sua terra natale: il Piemonte, nel nome Adso da Melk probabilmente Umberto Eco subisce la suggestione di una delle più importanti biblioteche europee quella appunto dell' Abbazia Benedettina di Melk, oggi in Austria, affacciata sul Danubio.
Storia editoriale [modifica]
Edito per la prima volta in Italia da Bompiani nel 1980 e più volte ristampato, riscosse da subito un notevole successo di critica e di pubblico (a partire da quello anglosassone, e successivamente anche quello italiano), inducendo la riscoperta del genere del romanzo storico, benché possa essergli attribuita la commistione di più generi narrativi (giallo, esoterico, filosofico). Il romanzo ha avuto anche grande successo internazionale, essendo stato tradotto in numerose lingue. Nel 2002 è stato oggetto di un curioso fenomeno, grazie al lancio di un'iniziativa editoriale del quotidiano La Repubblica che lo ha distribuito gratuitamente in oltre un milione di copie. A titolo di cronaca, si ricorda che verso la fine del secolo scorso venne avanzata nei confronti di Umberto Eco un accusa di plagio, relativa ad alcune idee portanti di questo famoso romanzo che sarebbero state riprese da un libro di uno scrittore greco. A dire il vero, accuse di questo tipo vennero abbondantemente rintuzzate da Eco già nelle "postille al Nome della rosa", che furono edite con la seconda edizione e che riprendono una concezione tipicamente borgesiana: "i libri parlano sempre di altri libri".
Piani di lettura [modifica]
Attribuire un genere letterario al romanzo di Eco è assai difficile: esso infatti è stato particolarmente apprezzato per la presenza di molteplici piani di lettura, che possono essere colti dal lettore a seconda del suo background culturale. Pur presentandosi come un giallo, o come un romanzo storico ad una lettura superficiale, il libro è in realtà costruito attraverso una fitta rete di citazioni tratte da una miriade di altre opere letterarie (esemplare è in questo senso il sogno di Adso, brano costituito in una parte per collage da classici riferimenti alla storia della nascita della lingua volgare), dunque è, in un certo senso, un libro fatto di altri libri. È costante il riferimento linguistico e semiologico. È anche presente, appena sotto la superficie, una forte componente esoterica, e di fondo la storia può essere vista come una riflessione filosofica sul senso e sul valore della verità e della sua ricerca, da un punto di vista strettamente laico, tema del resto comune alle opere successive di Eco.
Nel piano di lettura storico presente nel romanzo, i personaggi e le forze che nella vicenda narrata si contrappongono rappresentano in realtà due epoche e due mentalità che in quel periodo storico si sono trovate a fronteggiarsi: da un lato il medioevo più antico, col suo fardello di dogmi, preconcetti e superstizioni, ma anche intriso di una profonda e mistica spiritualità, dall'altro lato il nuovo mondo che avanza, rappresentato da Guglielmo, con la sua sete di conoscenza, con la predisposizione a cercare una verità più certa e intelligibile attraverso la ricerca e l'indagine, anticipazione di un metodo scientifico che in Europa di lì a poco non tarderà ad affermarsi.
L'autore usa un espediente narrativo e così il romanzo scritto da Umberto Eco è in realtà una narrazione al quarto livello di incassamento, dentro ad altre tre narrazioni: Eco dice che Vallet diceva che Mabillon ha detto che Adso disse ...
L'ispirazione holmesiana [modifica]
Sin dai nomi, dalle descrizioni dei personaggi e dallo stile scelto per la narrazione, risulta evidente l'omaggio che Eco fa a sir Arthur Conan Doyle e al suo personaggio di maggior successo: Sherlock Holmes.
Guglielmo, infatti, sembra ricavato, per descrizione fisica e per metodo d'indagine, dalla figura di Holmes: le sue capacità deduttive, la sua umiltà e il suo desiderio di conoscenza sembrano infatti riprendere e, a tratti, esaltare gli aspetti migliori del detective britannico. Inoltre proviene dalla contea di Baskerville, che riprende il nome dal miglior romanzo di Doyle, Il mastino dei Baskerville, che per atmosfera può tranquillamente essere considerato come una delle fonti del libro di Eco.
D'altra parte il giovane Adso è ricalcato proprio sulla figura del fido Watson. Non solo è il narratore in prima persona della vicenda, proprio come il buon dottore, ma ne riprende le caratteristiche iniziali: ottuso e poco attento, pur se volenteroso di imparare e pronto all'azione, Adso, a differenza di Watson, alla fine dimostra di non riuscire ad imparare quanto al contrario riesce ad imparare il buon dottore, quasi come se Eco stesso volesse prendere le distanze da Conan Doyle e porsi in una posizione di inferiorità rispetto al maestro inglese. Notare anche l'assonanza tra Watson e Adso (W-Adso-n, una specie di watson medievalizzato).
Opere affini [modifica]
Oltre ad altre opere di Eco (Il pendolo di Foucault del 1988, L'isola del giorno prima del 1994, Baudolino del 2000), sulla stessa scia si pone Q di Luther Blissett, spy-story ambientata al tempo della riforma protestante. Evidenti sono anche i riferimenti nel romanzo di Eco a Brother Cadfael, monaco detective medievale protagonista di una serie di romanzi gialli della scrittrice inglese Ellis Peters (1913-1995) a partire dal 1977 con A Morbid Taste For Bones. Marginalmente, si ricorda infine che la ripartizione del testo in base alle ore del giorno (ore canoniche nel romanzo di Eco) è un prestito dal celeberrimo romanzo Ulisse di James Joyce.
Si ricorda, infine, che da questo romanzo Jean-Jacques Annaud ha tratto un film (sempre dal titolo Il nome della Rosa, con Sean Connery, F. Murray Abraham, Christian Slater e Ron Perlman).
Un albo del fumetto italiano Zagor ha omaggiato l'opera di Eco: L'abbazia del mistero (n. 317-320), realizzato da Moreno Burattini e Gallieno Ferri.
Titolo [modifica]
Il titolo provvisorio del libro, durante la stesura, era L'abbazia del mistero, poi Eco aveva pensato anche al titolo Adso da Melk (ma poi considerò che nella letteratura italiana - a differenza di quella inglese - i libri aventi per titolo il nome del protagonista non hanno mai avuto fortuna), per approdare infine al titolo Il nome della Rosa tratto dal motto nominalista che chiude il romanzo: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus (la rosa esiste prima e a prescindere dal suo nome, ma a noi non ne resta che il nome - nel senso che, come sostenuto dall'eresia nominalista, non possiamo cogliere l'essenza delle cose - diversamente da quanto sostenuto da Aristotele e dalla retta dottrina cattolica di San Tommaso d'Aquino).
Ricerca appunti sul web

Ricerca personalizzata
lunedì 23 febbraio 2009
Tema gratis Umberto Eco Il nome della rosa
Pubblicato da
Baiox
alle
13:35
Etichette: Relazione Libri
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
0 commenti:
Posta un commento