Machiavelli, Niccolò (Firenze 1469-1527), scrittore, storico, statista e filosofo italiano. Nato da un'anti-ca ma decaduta famiglia, studiò grammatica e abaco, e fin dall'adolescenza ebbe dimestichezza con i classici latini. Iniziò la sua carriera in seno al governo della repubblica fiorentina alla caduta di Girolamo Savonarola
Svolse delicate missioni diplomatiche presso la corte di Francia , la Santa Sede e la corte imperiale di Germania e tenne le comunicazioni ufficiali fra gli organi di governo centrali e gli ambasciatori e funzionari dell'esercito impegnati presso le corti straniere o nel territorio fiorentino.
Le missioni diplomatiche in ambito italiano gli diedero l'opportunità di conoscere molti principi e osser-varne da vicino le differenze di governo e d'indirizzo politico. Machiavelli mostrò particolare interesse per l'astuzia politica e il pugno di ferro mostrati da Cesare Borgia, che aveva da poco costituito un do-minio personale incentrato su Urbino. Si occupò, dal 1503 al 1506, dell'organizzazione dell'esercito del-la repubblica di Firenze, superando forti opposizioni. Machiavelli, contrario alle milizie mercenarie, scel-se infatti di arruolare soldati provenienti dalla città e dalle campagne fiorentine, certo che questi sareb-bero stati sempre pronti a battersi in difesa della proprie terre. Inoltre, egli svolse un ruolo importante nella riconquista di Pisa e rappresentò la repubblica in occasione di azioni diplomatiche e militari dove agì in favore di papa Giulio II.
Nel 1512 i Medici, sostenuti dall'esercito spagnolo, rientrarono a Firenze e, dopo un breve interregno, ripresero il controllo della città. Machiavelli venne rimosso dai suoi incarichi di governo e condannato a un anno di confino nel territorio fiorentino. L'anno successivo, accusato di aver preso parte a una con-giura ordita contro i Medici, fu imprigionato. Quando Giovanni de' Medici venne eletto al soglio pontificio con il nome di Leone X, a Firenze fu proclamata un'amnistia e anche Machiavelli venne scarcerato. Dopo il suo rilascio si ritirò con la famiglia nella casa di campagna dove scrisse i suoi più importanti la-vori letterari.
Nonostante i suoi tentativi di guadagnarsi il favore dei membri della famiglia Medici, Machiavelli non ot-tenne più in seno al governo la posizione preminente che aveva occupato in passato, anche se venne incaricato di svolgere alcune missioni di carattere diplomatico e militare. Rinsaldò l'amicizia con Fran-cesco Guicciardini, allora governatore di Modena, ed ebbe l'incarico di seguire come organizzatore del-la milizia e ambasciatore nell'Italia settentrionale le vicende belliche fra l'imperatore Carlo V e la lega formata da Firenze, il papa, i francesi e i veneziani. Quando la Repubblica fiorentina fu temporanea-mente restaurata; Machiavelli sperò in un nuovo incarico di governo, ma i repubblicani lo ritennero troppo legato ai Medici e non vollero richiamarlo.
Il Principe
La vasta esperienza che Machiavelli ebbe modo di approfondire sugli affari di stato e di governo lo por-tò a delineare la figura di un governante ideale, in grado di reggere uno stato forte e di affrontare con successo sia gli attacchi esterni sia le sollevazioni dei sudditi. Nella maggior parte dei suoi scritti trat-teggiò un'analisi politica molto realista della situazione a lui contemporanea, confrontandola con esempi tratti dalla storia, soprattutto da quella romana. Nella sua opera più famosa, Il Principe, analizzò i vari generi di principati e di eserciti, e cercò di delineare le qualità necessarie a un principe per conquistare e conservare uno stato, e per ottenere il rispettoso appoggio dei sudditi. Ciò che permette a un principe di mantenere il controllo del proprio stato non va cercato in un comportamento corretto o morale; occor-re guardare la realtà: se questa è dominata dalla lotta, il principe dovrà imporsi con la forza.
L'affermazione, che è stata spesso interpretata come una difesa del dispotismo e della tirannia di prin-cipi quali Cesare Borgia, si basa sulla convinzione che chi governa non deve essere vincolato dalle tra-dizionali norme etiche: è meglio essere amato che temuto, oppure è meglio il contrario? La risposta è che sarebbe auspicabile essere entrambe le cose ma, dovendo scegliere, poiché risulta difficile unire le due qualità, per un principe è molto più sicuro essere temuto che amato. Secondo Machiavelli, un prin-cipe dovrebbe interessarsi solo del potere e sentirsi vincolato solo da quelle norme (tratte dalla storia) che conducono le azioni politiche al successo, superando gli ostacoli imprevedibili e incalcolabili posti in gioco dalla Fortuna.
Altre opere
Nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio Machiavelli, sotto forma di un commento alla Storia di Roma dello storico Livio, disquisisce sull'arte del governo dei romani e si discosta dalla visione medioevale del-la storia, affermando al contrario che gli eventi sono frutto dei capricci degli uomini e della Fortuna. Nei dialoghi Dell'arte della guerra, noti anche come De re militari , vengono esposti i vantaggi derivanti dall'ar-ruolamento di truppe nazionali rispetto agli eserciti mercenari, e la supremazia della fanteria sui corpi di cavalleria e artiglieria.
Gli otto libri delle Istorie fiorentine, scritti su commissione medicea, trattano degli avvenimenti della città dalla caduta dell'impero romano alla morte di Lorenzo il Magnifico, ma approfondiscono soprattutto le lot-te intestine fra guelfi e ghibellini. Machiavelli scrisse inoltre un Dialogo intorno alla nostra lingua , la Vita di Castruccio Castracani , poesie, novelle, commedie e poemi. Intrattenne carteggi e compilò corrisponden-ze diplomatiche e personali relazioni e trattati sugli avvenimenti del tempo.
Fra le commedie, la più nota è la Mandragola, un'analisi pungente e dissacratoria della natura umana e della corruzione imperante nella società italiana a lui contemporanea.
Ariosto, Ludovico (Reggio Emilia 1474 - Ferrara 1533), poeta italiano, uno dei più importanti dell'epoca rinascimentale. Si trasferì con la famiglia a Ferrara, dove assunse le prime cariche amministrative. Gli studi giuridici gli diedero una qualifica ulteriore, preziosa per il suo futuro di cortigiano. Nella prima metà degli anni Novanta partecipò alla vita di corte di Ercole I d'Este, quindi cominciò a scrivere poesie in lati-no. Nel 1497 fu accolto fra i cortigiani stipendiati, mentre intensificava il lavoro intorno alle Rime, stampa-te dopo la sua morte (Ariosto non pubblicò, oltre al suo celebre poema, nessun'altra opera), poesie dove la lezione di Francesco Petrarca viene rivisitata in chiave più scopertamente personale e realistica. Ben presto gli impegni divennero anche militari: fu capitano della rocca di Canossa, poi passò al servizio di Ippolito d'Este, ottenendo diversi incarichi amministrativi e diplomatici.
L'opera alla quale intanto stava lavorando con maggiore impegno era il poema cavalleresco Orlando fu-rioso, la cui prima edizione, composta di quaranta canti, uscì nel 1516. Sempre meno disposto a sacrifi-care il lavoro letterario a quello politico e amministrativo, si rifiutò di seguire il cardinale Ippolito in Unghe-ria, e perciò ruppe ogni rapporto con lui e passò al servizio del duca Alfonso, ma questo non gli risparmiò numerose missioni in diverse corti italiane e il gravoso incarico di governatore di Garfagnana, regione montuosa e quanto mai inospitale della Toscana settentrionale, infestata da animali feroci e da briganti, come lo stesso Ariosto sottolinea più volte nelle sue lettere, lamentandosene.
Le sette Satire, vera e propria autobiografia in versi, indirizzate ad amici e parenti, trattano temi di attuali-tà non di rado in chiave allusiva e in forma di apologo; vi si parla del lavoro dello scrittore e dell'amore per lo studio, della corruzione del clero, della vita in famiglia, con intonazione leggera e a volte fiabesca.
Mantenendo contatti sia con il papa sia con l'imperatore, dedicò quindi al lavoro letterario le migliori ener-gie: l'edizione definitiva dell'Orlando furioso uscì nel 1532, preceduto dalla composizione di diverse com-medie. In realtà Ariosto intrattenne un rapporto intenso con il teatro, non solo come autore ma anche co-me organizzatore di spettacoli, regista e persino attore, tutti ruoli funzionali al compito di colto ed elegante intrattenitore del raffinato pubblico costituito dalla corte estense.
L'ultima edizione del poema conta 46 canti. La revisione fu soprattutto linguistica: Ariosto si sforzò di applicare i suggerimenti proposti da Pietro Bembo dove si suggeriva un modello letterario di carattere classicistico, ispirato alla lingua degli autori toscani delle origini, in particolare a quella di Petrarca e di Boccaccio. Le modifiche al poema riguardarono però anche la sua struttura narrativa: nuovi episodi vennero inseriti in vari punti del testo, modificandone l'andamento generale.
L'Orlando furioso riprende le vicende dei paladini di Carlo Magno dal punto in cui si era interrotta la nar-razione dell'incompiuto Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, testo assai celebre nell'ultimo de-cennio del XV secolo. Nel Furioso la componente sentimentale viene sottolineata a tal punto che l'eroi-co Orlando è portato oltre le soglie della pazzia, a causa dell'amore spasmodico che prova per l'inaffer-rabile Angelica, principessa del Catai. Al centro dell'opera c'è poi un'altra coppia di innamorati, quella formata da Bradamante e Ruggiero. La situazione in cui si intrecciano le vicende di questi e altri mille personaggi (le "donne e i cavalier" nominati all'inizio dell'opera) è quella dell'assedio di Parigi: il re dei mori Agramante ha infatti sbaragliato l'esercito di Carlo Magno. Il poema procede a ritmo elevato: le avventure si susseguono in una geografia con parecchie caratteristiche fantastiche. E fantastiche sono diverse figure, come il mago Atlante e l'ippogrifo, il cavallo alato con cui Astolfo va sulla Luna a recupe-rare il senno perduto da Orlando. La leggerezza della poesia del Furioso, quanto mai elegante, acco-glie però anche tematiche tutt'altro che gioiose. Dalle ottave del suo poema, Ariosto guarda il mondo con disincantata ironia mista a un fondo di disillusa tristezza.
Tasso, Torquato (Sorrento, Napoli 1544 - Roma 1595), poeta, una delle figure più autorevoli del Rina-scimento italiano. Figlio del poeta Bernardo Tasso, compì gli studi universitari di legge e filosofia a Bo-logna e Padova, e qui compose il suo primo poema epico, Rinaldo, che racconta la giovinezza del fa-moso cugino di Orlando, anch'egli paladino di Carlo Magno. Intanto, a Venezia, aveva cominciato a scrivere un poema sulla prima crociata intitolato provvisoriamente prima Gierusalemme e poi Gottifre-do. La sua vita fu contrassegnata da continui spostamenti, sintomatici del suo sradicamento e della sua inquietudine esistenziale. Nel 1565 entrò al servizio del cardinale Luigi d'Este e si trasferì a Ferrara, dove divenne membro ammirato della corte del duca Alfonso II. Gli Estensi erano rinomati patroni delle arti, e fin dal XV secolo si erano circondati di talenti come Ludovico Ariosto e Matteo Maria Boiardo.
In occasione di una festa a corte, Tasso presentò con grande successo nei giardini di Belvedere il dramma pastorale Aminta , idealizzazione lirica della vita della nobiltà, ancora oggi ritenuto uno dei mi-gliori esempi del genere. Questa favola pastorale narra l'amore del pastore Aminta per la ritrosa Silvia che, indifferente, si dedica alla caccia. L'amore tra i due è infine celebrato dopo che entrambi hanno creduto morto il futuro amato. Figure importanti dell'opera sono Tirsi, personaggio sazio di gioie e pia-ceri, che vede il mondo con disincanto, e Dafne, matura e disillusa figura femminile esperta d'amore.
Tasso completato il poema dedicato alla prima crociata, lo sottopose all'opinione di alcuni autorevoli cri-tici, mentre si manifestavano i primi segni di uno squilibrio mentale. Si autodenunciò infatti al tribunale dell'Inquisizione, che lo assolse. Tornato a Ferrara dopo essere stato ospite di Francesco Maria della Rovere, a Urbino, maturò in lui la convinzione di un'azione persecutoria nei propri confronti. Nel 1579, a seguito di ripetute crisi violente, fu ricoverato nell'ospedale Sant'Anna di Ferrara, dove rimase sette an-ni. È il periodo in cui lavorò, tra l'altro, ai Dialoghi, dedicati ad argomenti vari, letterari, filosofici, morali.
Nel 1581 apparve la prima versione completa della Gerusalemme. L'opera consiste di venti canti in ot-tave e tratta degli ultimi mesi dell'assedio di Gerusalemme, fatto storico avvenuto nel 1099, della con-seguente caduta della città e della battaglia di Ascalona. I personaggi sono sia storici (Goffredo di Bu-glione) sia d'invenzione, come Rinaldo, già protagonista dell'omonimo poema giovanile. Tra gli eroi cri-stiani spiccano il capitano Goffredo e due giovani: Rinaldo, appunto, e Tancredi. Il primo rappresenta il vigore guerresco allo stato puro, il secondo è invece una figura combattuta e malinconica, anche per via del suo amore per una donna nemica, Clorinda. Tra i pagani hanno particolare rilievo Argante e So-limano, eroici avversari sui quali aleggia la consapevolezza dell'inevitabile sconfitta. Tra i personaggi femminili primeggia Erminia, innamorata di Tancredi ma timida e riservata, l'opposto della bella maga Armida, simbolo dell'amore erotico e della sua forza. Novità significative del poema sono sia la realiz-zazione di figure psicologicamente ben delineate sia la sapiente commistione fra immaginario cristiano e sensibilità "magica", tipica del poema.
Mentre continuava a rivedere il suo capolavoro, Tasso rielaborò i Discorsi del poema eroico, in cui in gioventù aveva esposto la sua poetica. Nel 1586, grazie all'intervento del principe di Mantova, poté la-sciare l'ospedale: è l'anno in cui stampò la tragedia Re Torrismondo. Intanto continuavano gli sposta-menti, e l'anno seguente Tasso si allontanò dalla città e cominciò a peregrinare per l'Italia senza smet-tere di rielaborare La Gerusalemme, ossessionato dal giudizio dei critici. Il risultato, considerato sensi-bilmente inferiore alla prima versione per via degli episodi tagliati e della nuova disposizione della mate-ria, fu pubblicato a Roma nel 1593 col titolo di Gerusalemme conquistata, opera dedicata all'ultimo pro-tettore di Tasso, il cardinale Cinzio Aldobrandini. Il poeta morì prima che venisse presa la decisione di incoronarlo poeta laureato.
Nel 1591 era stata pubblicata la prima parte delle Rime, una produzione in versi di straordinario inte-resse, l'esperienza poetica probabilmente più significativa dopo quella ormai classica di Francesco Pe-trarca. L'importanza consiste nel fatto che qui Tasso si dimostra in grado di intraprendere una via e-spressiva emancipata dal capostipite della poesia lirica italiana. Le circa duemila rime di Tasso, molto varie come argomento (d'amore, encomiastiche, religiose), partono spesso da un'esperienza modesta o da semplici figure naturali, ed esprimono con grande finezza sottili stati d'animo, anche grazie alla cu-ra particolare rivolta dal poeta alla musicalità del verso, chiaramente recuperata nella forma metrica del madrigale che egli utilizza con particolare maestria. Certe sottigliezze sia espressive sia di immagini preludono chiaramente al gusto barocco.
La fama del poeta di Sorrento varcò ben presto i confini italiani, e il suo poema conobbe numerosissime edizioni e traduzioni. Anche la sua figura ebbe parecchia notorietà. Goethe scrisse il dramma Torquato Tasso. Nel corso del XVIII e XIX secolo la sua figura divenne il simbolo romantico del poeta incompre-so e infelice, e la sua poesia fu particolarmente apprezzata da un autore come Giacomo Leopardi.
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lunedì 23 febbraio 2009
Tema gratis Niccolò Machiavelli
Pubblicato da
Baiox
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Etichette: Letteratura Italiana, Poeti_Scrittori_Artisti
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