A metà della propria vita, dopo essersi smarrito,
Dante si ritrova in una selva oscura, intricata e buia che il solo il pensiero basta a risuscitarne la paura. Non sa precisamente dire come vi sia entrato, sa solo che era talmente assonnato nel momento in cui perse il sentiero (la retta via). Ma dopo che fu giunto ai piedi di un colle, alzando lo sguardo vide che alle sue spalle già spuntava il sole e a quel punto si tranquillizzò un po', dopo aver attraversato la foresta tutta la notte. L'esempio è quello di colui che con il respiro affaticato, si volta a guardare l'acqua ancora pericolosa; così lui si volta a guardare la foresta dalla quale nessuno è mai uscito vivo. Dopo essersi riposato per qualche minuto, iniziò a salire il colle. Ma a un certo punto si presenta davanti a lui una lonza (lince) che non si allontana più, ostacola talmente il suo cammino che più di una volta è costretto a tornare indietro. Era l'alba e il sole sorgeva in congiunzione con le stesse stelle che erano con lui quando Dio mise in moto per la prima volta il firmamento celeste. Venne fuori anche la figura di un leone che sembrava avercela proprio con lui e la presenza dell'animale bastava a far tremare l'aria. Gli si presentò di fronte anche una lupa che nella sua magrezza sembrava stesse escogitando un metodo per mangiarselo e la paura era tale che perse ogni speranza di raggiungere la cima del colle. Il paragone riportato è quello dell'avaro che accumula denaro senza problemi e quando arriva il momento di darli via, piange e si dispera; così Dante si rattrista nel vedersi costretto a retrocedere verso la selva oscura. Mentre camminava vide una figura i cui contorni non erano ben definiti a causa della poca luminosità. Gli gridò di aver pietà con lui sia che fosse uomo o spirito. Egli rispose di non essere un vivente, ma comunque di esserlo stato, i suoi genitori erano di origini lombarde. Nacque ai tempio di Giulio Cesare, dispiacendosi per non essere vissuto a lungo sotto il suo dominio; però visse sotto il buon Augusto ai tempi della nascita di Cristo. Era un poeta e aveva scritto di Enea, di come era giunto in Italia dopo che la sua città (Troia) era stata avvolta dalle fiamme. Gli chiese come mai Dante avesse voglia di tornare in un posto come la selva invece di salire il monte della felicità. Dante riconobbe subito la figura come quella di Virgilio, ispiratore e guida di tantissimi altri poeti; lo cita appunto come proprio autore preferito, l'unico da cui imparò l'arte della tragedia che tanto onore gli aveva tributato.Ha bisogno del grande maestro per salvarsi dalla lupa che lo fa tremare di paura. Virgilio gli risponde che è necessario prendere un'altra direzione per salvarsi dalla bestia che sbarra la strada e ne impedisce il passaggi; è talmente crudele che appena ha finito di mangiare ha più fame di prima. Molti esseri umani somigliano a quest'animale e aumenteranno nel tempo finché non giungerà il veltro che annienterà la lupa e non si ciberà di ricchezza, ma di sapienza. Il veltro combatterà la lupa finché non l'avrà ricacciata nell'inferno dal quale è venuta per corrompere gli uomini. Virgilio consiglia a Dante di seguirlo portandolo via da questo luogo, nell'inferno dove potrà udire le grida dei dannati che invocano la seconda morte (dell'anima); nel purgatorio vedrà coloro che sono contenti perché prima o poi godranno della beatitudine del paradiso, al quale se Dante vorrà salire avrà bisogno di una guida più degna di lui; poiché l'imperatore celeste non lo vuole nel suo regno in quanto estraneo alla sua legge. Dante chiede quindi al grande maestro di accompagnarlo per i regni ultraterreni affinché possa vedere la gente di cui parla.
Significato allegorico
Dante inizia il suo viaggio la notte del giovedì santo del 7 aprile 1300 e a metà della sua vita (all'epoca l'età media era circa di settant'anni), egli cade nel peccato (la selva oscura) e come lui anche il mondo corrotto dell'attuale chiesa. Dopo avervi trascorso la notte giunse nei pressi di un colle che viene considerato come la salvezza, illuminato dai raggi del pianeta (sole) e quindi da Dio. Dante per definire il Sole utilizza il termine "pianeta" in quanto secondo la concezione tolemaica dell'universo, la Terra era vista come al centro del medesimo e il sole vi girava attorno e precisamente nella quarta orbita. La visone di Dio tranquillizza il Poeta e offre lui una speranza di salvezza dopo esser caduto nel peccato; ma la strada per il perdono gli viene sbarrata dalla figura di tre fiere: una lonza, un leone e una lupa. Prima di tutto bisogna dire che rappresentano tutte dei peccati capitali che l'autore punisce nell'inferno. La lonza viene vista come il peccato di lussuria e quindi di incontinenza, è associata alla città di Firenze; il leone è la violenza e la lupa le cupidigia e i desideri sfrenati. La figura dell'animale viene associata a Roma, sede dello Stato della Chiesa e quindi del papa; Bonifacio VIII (messo all'inferno da Dante fra i simoniaci) infatti era attento solo a ideali mondani e non alla salvezza delle anime. Anche l'inferno stesso è diviso in incontinenti (dal 1° al 5° cerchio), violenti (7° cerchio) e fraudolenti (8° e 9° cerchio). questa visione dell'aldilà è di tipo aristotelico, anche se ai tempi del filosofo greco non potevano esistere gli eretici, che infatti occupano il 6° cerchio. A questo punto vengono menzionate delle stelle che sono state indicate come la costellazione dell'Ariete, che secondo la concezione dell'epoca, erano in congiunzione con il sole quando Dio creò il mondo. A questo punto sopraggiunge un personaggio basilare per tutto il racconto: Virgilio. Dante lo riconosce come maestro e usa la sua figura per associarla alla sapienza e quindi il lume della ragione capace di salvare l'uomo dal peccato e ricondurlo sulla retta via. La legenda del veltro parla appunto di questo lupo capace di combattere un suo simile; il significato allegorico è quindi evidente: la lupa è il corrotto Stato della Chiesa, mentre il veltro può apparire come un papa che combatte la mondanità nell'ambiente ecclesiastico.
Altre notizie
Di particolare attenzione è la misteriosa profezia del veltro, dove la lupa-cupidigia rappresenta la corruzione del genere umano e il veltro (ovvero cane da caccia) rappresenta probabilmente un papa che farà morire con dolore la bestia. Questa viene considerata la prima profezia della Divina Commedia. Esistono altre interpretazioni riguardo a chi possa rappresentare il veltro; esistono varie correnti di pensiero al proposito: le principali sono quella che si trattasse dell'ordine francescano, dello Spirito Santo e di Cristo. Altro particolare degno di nota è la ripetitività del numero 3 (o dei suoi multipli) nel corso dell'intero racconto e anche nella Vita Nova (infatti Dante ritrova Beatrice dopo nove anni). nella Commedia abbiamo tre regni divisi ognuno in trentatrè canti (tranne l'inferno che ne possiede uno in più per l'introduzione) suddiviso a sua volta tre strofe di tre versi o terzine; tre sono le fiere, tre sono le fauci di Cerbero guardiano del terzo cerchio e tre le facce di Lucifero che è incastrato alla fine dell'imbuto infernale. Ovviamente tutto ciò è da ricollegarsi alla Trinità e quindi all'idea di tre come numero perfetto. Dante stesso era uno studioso di questa antica arte di assegnare un significato ai numeri.
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mercoledì 4 marzo 2009
Divina Commedia canto 1 Inferno
Pubblicato da Baiox alle 04:15
Etichette: La divina commedia
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