IL GRACCHIO E I CORVI
Un gracchio che era più grosso di tutti gli altri, disprezzando i compagni della sua razza, se ne andò
in mezzo ai corvi, e pretendeva di vivere con essi. Ma quelli, che non conoscevano né la sua faccia né la sua voce, lo picchiarono e lo cacciarono via. Respinto dai corvi, esso tornò allora di nuovo ai suoi gracchi. Questi, a loro volta, indignati per l’affronto, non lo vollero ricevere. Ecco come avvenne che esso fu escluso dalla società degli uni e degli altri.
Questo succede anche agli uomini che abbandonano la loro patria e preferiscono i paesi altrui: in questi sono malvisti perché sono stranieri, e si rendono odiosi ai loro concittadini perché li hanno disprezzati.
IL GRACCHIO E LA VOLPE
Un gracchio affamato s’era posato su un fico e, trovati dei piccoli fichi ancor acerbi, aspettava che diventassero grossi e maturi. La volpe che lo vedeva continuamente là fermo, quando ne seppe il motivo, gli disse: “Caro mio, se ti attacchi alla speranza, sbagli di grosso. La speranza è un pastore che ti porta a spasso, ma la pancia non te la riempie”.
IL GRANCHIO E LA VOLPE
Quel giorno un paffuto granchio arancione, era proprio di ottimo umore. Se ne andava passeggiando allegramente per la spiaggia riscaldata dal sole, canticchiando la sua canzoncina preferita, una vecchia serenata imparata chissà dove. Egli si vantava spesso con gli altri abitanti del mare, della sua capacità di poter vivere tranquillamente sia dentro che fuori dall'acqua. E quelli, senza nascondere un pizzico d'invidia, lo osservavano camminare tranquillamente sulla terraferma. Ogni volta però, il buon granchio riportava ai suoi amici pesci un grazioso ricordino delle sue escursioni. Ma quel mattino egli non ne voleva proprio sapere di rientrare in acqua. Il cielo era tanto limpido e sereno da attirare l'ammirazione anche dei più indifferenti. Per questo il granchietto continuò la sua lunga passeggiata.
Nello stesso giorno, una giovane volpe insoddisfatta per la scarsità del suo pranzo quotidiano, si aggirava affamata per la spiaggia in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Camminava molto arrabbiata con se stessa per l'incapacità dimostrata a procurarsi del cibo quando vide, quasi per caso, l'ignaro granchio fermo sulla sabbia a contemplare il paesaggio.
La volpe gli si avvicinò curiosa e con un balzo gli piombò proprio davanti. Il povero granchio si prese uno di quegli spaventi memorabili che rimangono bene impressi nei nostri ricordi per tuffa la vita e, cercando di indietreggiare si riparò con le zampine.
La volpe era decisa e pronta a mangiarselo in un sol boccone pur non sapendo bene di che animale si trattasse. Fortunatamente il granchio, riavutosi dalla paura, riuscì a respingere il suo nemico sfoderandogli le sue terribili tenaglie e pungendogli il muso.
Dopo la fuga della volpe sconfitta, il granchio si tuffò in acqua e andò a raccontare la sua brutta avventura agli amici spiegando quanto fosse più sicuro vivere nel mare!
IL GRANCHIO E SUA MADRE
La madre del granchio lo ammoniva a non camminare di traverso e a non sfregare il fianco contro la roccia umida. E quello: “Mamma, se vuoi che impari, cammina dritta tu, e io, vedendoti, farò come te”.
Chi vuol rimproverare gli altri, deve anzitutto viver bene lui e rigar dritto, e poi insegnare a far altrettanto.
IL LEONE CHE EBBE PAURA D’UN TOPO E LA VOLPE
Mentre il leone dormiva, un topo gli fece una corsa su per il corpo. Quello si destò e si girava da tutte le parti per cercare quel che gli era venuto addosso. La volpe, a quella vista, prese a canzonarlo perché lui, che era un leone, aveva paura di un topolino. “Non è che io abbia paura di un topo”, rispose lui, “ma mi meraviglio che qualcuno abbia osato correre addosso al leone mentre dormiva “.
La favola mostra che gli uomini assennati non trascurano nemmeno le piccole cose.
IL LEONE E IL CINGHIALE
D'estate, quando il calore provoca la sete, un leone e un cinghiale andarono a bere a una piccola fonte, e cominciarono a litigare su chi dei due dovesse dissetarsi per primo. La lite si inasprì fino a trasformarsi in duello mortale. Ma ecco che, mentre si volgevano un momento per riprendere fiato, scorsero degli avvoltoi che stavano lì ad aspettare il primo che sarebbe caduto, per mangiarselo. A tal vista, ponendo fine al duello, dichiararono:
" Meglio diventare amici che diventar pascolo di avvoltoi e di corvi ".
IL LEONE E IL TOPO
Mentre un leone dormiva in un bosco, topi di campagna facevano baldoria. Uno di loro, senza accorgersene, nel correre si buttò su quel corpo sdraiato. Povero disgraziato! Il leone con un rapido balzo lo afferrò, deciso a sbranarlo.
Il topo supplicò clemenza: in cambio della libertà, gli sarebbe stato riconoscente per tutta la vita. Il re della foresta scoppiò a ridere e lo lasciò andare.
Passarono pochi giorni ed egli ebbe salva la vita proprio per la riconoscenza del piccolo topo. Cadde, infatti, nella trappola dei cacciatori e fu legato al tronco di un albero. Il topo udì i suoi ruggiti di lamento, accorse in suo aiuto e, da esperto, si mise a rodere la corda. Dopo averlo restituito alla libertà, gli disse:
- Tempo fa hai riso di me perché credevi di non poter ricevere la ricompensa del bene che mi hai fatto. Ora sai che anche noi, piccoli e deboli topi, possiamo essere utili ai grandi.
IL LEONE E IL TORO
Un leone da lungo tempo meditava di uccidere un forte toro. Un giorno decise di riuscire nel suo intento con l'astuzia.
Gli fece sapere di aver catturato un montone e lo invitò al banchetto. Aveva preparato tutto per assalirlo, una volta seduto a tavola il toro andò all'appuntamento: vide molte pentole, lunghi spiedi, ma di montone nessuna traccia.
Allora, senza dire neanche una parola, se ne andò.
Il leone lo richiamò e gli chiese il motivo del suo comportamento, visto che non gli era stato fatto nessun affronto. E il toro rispose: - Ho una buona ragione per andarmene: vedo tutto pronto per cucinare non un montone, ma un toro.
IL LEONE E L’ONAGRO
Il leone e l’onagro andavano a caccia di bestie selvatiche, il leone mettendo a profitto la sua forza, e l’ona¬gro la velocità delle sue gambe. Quando ebbero catturato una certa quantità di selvaggina, il leone fece le parti; divise tutto in tre mucchi, e dichiarò: “La prima spetta al primo, cioè a me che sono il re. La seconda mi spetta come socio a pari condizioni. Quanto a questa terza, ti porterà ben disgrazia, se non ti decidi a squagliarti”.
Conviene commisurare ogni nostra azione alle nostre forze, e coi più potenti di noi non immischiarsi né associarsi.
IL LEONE E L'ASINO
Un asinello un po' troppo vanesio, si vantava sempre con gli altri animali, del proprio coraggio e della propria forza. Un giorno ricevette una inaspettata proposta dal più importante felino della foresta: il leone.
Costui disse all'asino: "Ho pensato che, in fondo, potremmo esserci di reciproco aiuto. Vorrei che tu mi aiutassi nelle battute di caccia e per questo avrei deciso di costituire una società con te"
Onoratissimo, l'asinello rispose: "Sono lusingato della tua richiesta e accetto volentieri!"
Così ebbe inizio la loro collaborazione reciproca.
Una mattina, di buon ora, si incamminarono verso una caverna dove avevano visto rifugiarsi un numeroso gruppo di capre selvatiche. Il Re degli animali si fermò sulla soglia con l'intenzione di catturare le prede una per volta appena sarebbero uscite dal rifugio. L'asino, invece, si era intrufolato nella grotta ed aveva cominciato a lanciare ragli acutissimi per spaventare le povere bestiole causando un incredibile putiferio. Le capre terrorizzate ruzzolarono una sull'altra e si precipitarono verso l'uscita dove però, trovarono ad attenderle l'astuto leone che riuscì ad imprigionarle tutte.
Quindi, finalmente l'asino uscì dalla grotta e, con aria trionfate esclamò:
"Hai visto come sono stato bravo? Sono un grande cacciatore! Sarai contento del tuo socio!"
"Certo!" Rispose con una risata il leone "Anzi, a dirti la verità, avrei avuto anch'io paura di te se non ti conoscessi bene e non sapessi che sei solo un asinello!"
Tutto soddisfatto l'asino andò buono, buono a brucare un po' d'erba mentre il leone si apprestava a fare un succulento banchetto!
IL LEONE INFURIATO E IL CERVO
Un leone era infuriato. “Poveretti noi!”, disse un cervo, scorgendolo di tra le piante del bosco, “che cosa mai non farà, ora che è su tutte le furie, costui, che noi non riuscivamo a sopportare nemmeno quand’era in buona?”.
Teniamoci tutti lontani dagli uomini violenti e usi al male, quando essi si impadroniscono del potere e signoreggiano sugli altri.
IL LEONE, LA VOLPE E IL CERVO
Il leone, Re della foresta, era gravemente ammalato. Data la sua avanzata età egli non aveva più le forze per uscire dalla sua caverna e procurarsi il cibo necessario per la guarigione. Per questo fu costretto a ricorrere all'aiuto di una volpe da sempre sua grande amica.
Chiamandola al proprio capezzale, il leone le disse: "Mia cara compagna, esiste una sola medicina per il mio male. Si tratta di un brodo fatto con le corna di un cervo. Devi procurarmelo subito!"
Commossa per quella richiesta, la volpe si mise subito all'opera e, scovato l'animale tanto desiderato dal grande malato, cercò, con un inganno, di convincerlo a seguirlo, dicendogli: " Mi manda il leone con l'incarico di portarti da lui prima che tiri l'ultimo respiro. Andando per eliminazione ha deciso che tu sei il più adatto fra tutti gli animali per essere il suo successore al trono dopo la sua morte!"
Il cervo, lusingato da questa insperata proposta, accettò subito e seguì la volpe fino alla caverna del leone, ma non fece neppure in tempo a varcare la soglia che si senti aggredire dal feroce animale. Fortunatamente riuscì a divincolarsi e a fuggire
Il leone, deluso e arrabbiatissimo, scongiurò ancora la sua amica di ritentare la prova usando la sua proverbiale furbizia.
Questa, dopo lunghe ricerche, riuscì a trovare il cervo nel suo nascondiglio, ma, appena si presentò davanti a lui, dovette sentirsi le sue irate proteste.
"Ascoltami," si scusò la volpe " ti sei spaventato per niente. Il morente voleva solo darti la sua benedizione. Torna da lui prima che cambi idea!"
Il cervo, anche questa volta, affascinato dall'idea di diventare Re, si ripresentò al leone. Ma questi, afferratolo, gli rubò le sue bellissime corna per farvi un bel brodo caldo, lasciandolo poi libero di scappare.
IL LEONE, L'ORSO E LA VOLPE
Quella mattina un grande orso bruno, era proprio affamato. Vagava con la lingua di fuori per la foresta in cerca di un po' di cibo quando all'improvviso vide, nascosto tra i cespugli, un bel cesto ricolmo di provviste abbandonato sicuramente da qualche cacciatore. Fuori di sé dalla gioia si tuffò su quell'insperato tesoro culinario ma, proprio nello stesso momento ebbe la medesima idea anche un grosso leone che non mangiava da alcuni giorni. I due si trovarono faccia a faccia e si studiarono con espressione rabbiosa.
'Questo cesto appartiene a me!" Urlò l'orso.
"Bugiardo!" Ruggì il leone infuriato.
In men che non si dica esplose una lotta terribile tra i contendenti i quali si azzuffarono insultandosi senza riserva. Intanto, poco distante, una giovane volpe passeggiava tranquilla per il bosco occupandosi delle proprie faccende. All'improvviso venne attirata da insolite urla e si avvicinò al luogo di provenienza per scoprire di cosa si trattasse.
Appena vide i due animali impegnatissimi a lottare come matti ed il cesto di cibo abbandonato vicino a loro, le balenò un'idea. Quatta, quatta si avvicinò al paniere, lo afferrò e fuggi via andando a mangiare in pace in un luogo sicuro.
Quando, sia il leone che l'orso, sfiniti per l'estenuante baruffa sostenuta, decisero di spartirsi le provviste dovettero fare i conti con un'amara sorpresa. Il cesto era sparito e al suo posto trovarono unicamente le impronte di una volpe, sicuramente molto furba!
IL LEONE, L’ASINO E LA VOLPE
Il leone, l’asino, e la volpe fecero società fra loro e se ne andarono a caccia. Quand’ebbero fatto un buon bottino, il leone invitò l’asino a dividerlo tra di loro. L’asino fece tre parti uguali e invitò il leone a scegliere. La belva inferocita gli balzò addosso, lo divorò e poi ordinò alla volpe di far lei le parti. Essa radunò tutto in un mucchio, lasciando fuori per sé solo qualche piccolezza, e poi lo invitò a scegliere. Il leone allora le chiese chi le aveva insegnato a fare le parti così. “E’ stata la disgrazia dell’asino”, rispose la volpe.
La favola mostra che le disgrazie del prossimo sono per gli uomini fonte di saggezza.
IL LUPO E IL PASTORE
Un lupo andava al seguito di un gregge di pecore, senza far loro alcun male. Il pastore, sulle prime, lo teneva a bada come un nemico, e lo sorvegliava con estrema diffidenza. Ma quello ostinatamente lo seguiva, senza arrischiare il minimo tentativo di rapina. Così gradatamente il pastore si convinse di avere in lui un custode, piuttosto che un nemico intenzionato a danneggiarlo. Un giorno ebbe bisogno di recarsi in città, gli lasciò le pecore in custodia e partì tranquillo. Ma il lupo seppe cogliere l'occasione: si lanciò sul gregge e ne fece strage sbranandone una gran parte. Il pastore, quando fu di ritorno e vide la rovina del suo gregge, esclamò: - Mi sta bene! Quale stupidità mi ha spinto ad affidare le pecore ad un lupo?
Allo stesso modo, coloro che affidano i propri beni a persone avide naturalmente li perdono.
IL LUPO E L'AGNELLINO RIFUGIATO NEL TEMPIO
Un lupo inseguiva un agnellino, e questo andò a rifugiarsi in un tempio. Il lupo cominciò a chiamarlo e ad avvertirlo che, se il sacerdote lo coglieva là, lo avrebbe immolato al dio. “Meglio immolato a un dio”, rispose l’agnello, “che sbranato da te!”.
La favola mostra che, se si deve morire, è meglio morire con onore.
IL LUPO E L'AGNELLO
Un agnello si dissetava alla corrente di un ruscello purissimo. Sopraggiunse un lupo in caccia: era digiuno e la fame lo aveva attirato in quei luoghi.
"Chi ti dà tanto coraggio da intorbidare l'acqua che bevo? " disse questi furioso.
" Sire. " rispose l'agnello " io sto dissetandomi nella corrente sotto di lei, per ciò non posso intorbidare la sua acqua!"
"La sporchi" insisté la bestia crudele " E poi so che l'anno scorso hai detto male di me."
"Io?! Ma se non ero nato" rispose l'agnello.
"Se non sei stato tu, è stato tuo fratello."
" Non ho fratelli."
" Allora qualcuno dei tuoi; perché voi, i vostri pastori e i vostri cani ce l'avete me. Me l'hanno detto:
devo vendicarmi."
Detto questo il lupo trascinò l'agnello nel fitto della foresta e se lo mangiò.
IL LUPO SAZIO E LA PECORA
Quello era davvero un gran giorno per un lupo rinomato in tutto il contado per la sua insaziabile fame. Infatti, senza neppure alzare un dito egli era riuscito a procurarsi ottime prede trovate casualmente a terra perché colpite da qualche cacciatore e si era preparato un pranzo degno di Re! Il lupo, dopo avere abbondantemente mangiato, si inoltrò nella foresta per fare due passi. Fu così che incontrò una mansueta pecorella la quale, terrorizzata dal temibile animale notoriamente suo nemico, non riuscì neppure a muoversi, paralizzata dallo spavento. Il lupo, più per istinto che per altre ragioni, afferrò la preda tenendola stretta, stretta. Ma solo dopo averla catturata si rese conto di essere talmente sazio da non avere più alcun appetito. Occorreva trovare una valida giustificazione per poter liberare quella pecora senza fare brutta figura.
" Ho deciso" Disse quindi il lupo "di lasciarti andare a condizione che tu sappia espormi tre desideri con intelligenza.
La pecorella sconcertata, dopo aver pensato un istante rispose: "Bè, anzitutto avrei voluto non averti mai incontrato. Seconda cosa, se proprio ciò doveva avvenire, avrei voluto trovarti cieco. Ma visto che nessuno di questi due desideri è stato esaudito, adesso vorrei che tu e tutta la tua razza siate maledetti e facciate una brutta fine perché mi avete reso la vita impossibile e avete mangiato centinaia di mie compagne che non vi avevano fatto alcun male!"
Inaspettatamente il lupo, invece di adirarsi come prevedibile, dichiarò:
"Apprezzo la tua sincerità. Hai avuto molto coraggio a dirmi ciò che realmente pensavi per questo ti lascerò libera!" Così dicendo liberò la pecorella e, con un cenno di saluto, la invitò ad allontanarsi.
IL MALATO E IL MEDICO
Un medico chiese al suo ammalato come stava, e quello gli rispose che aveva sudato in modo anormale. “Molto bene”, disse il medico. Tornò una seconda volta a chiedergli come stava, e quello rispose che era stato colto da un brivido che l’aveva scosso da capo a piedi. “Molto bene anche questo”, disse il medico. Quando andò a fargli la terza visita e gli chiese della sua malattia, l’ammalato gli annunziò che aveva avuto un attacco di diarrea. “Bene, bene anche questo”, dichiarò il medico, e se ne andò. Così, quando uno dei suoi parenti venne a trovano e gli chiese come andava, l’ammalato rispose: “A forza di andar bene sto morendo”.
Così molte volte gli uomini sono dal loro prossimo, con una valutazione puramente esteriore, ritenuti felici per qualche fatto che nel loro intimo è causa delle più vive sofferenze.
IL MARITO E LA MOGLIE BISBETICA
Un tale aveva una moglie bisbetica all’eccesso con tutti quelli di casa. Gli venne voglia di sapere se essa si comportava così anche nella famiglia del proprio padre, e trovò un pretesto plausibile per mandarla da lui. Al suo ritorno, dopo pochi giorni, le chiese come l’avevano ac¬colta quelli di casa sua. “C’erano i bovari e i pecorai”, rispose lei, “che non mi potevano vedere”. E il marito, allora: “O moglie mia, se sei riuscita a farti odiare da quelli che escono all’alba per portar fuori il bestiame e non rientrano che la sera, che cosa mai ci si può aspettare da quelli con cui passavi l’intera giornata?”.
Così spesso dalle cose piccole si argomentano le grandi, dalle cose manifeste si arguiscono quelle celate.
IL MEDICO E L’AMMALATO
Un medico aveva in cura un ammalato, che gli morì. “Ecco”, diceva a quelli che ne seguivano il funerale, “se quest’uomo si fosse astenuto dal vino e avesse fatto dei clisteri, non sarebbe morto”. Ma uno dei presenti lo interruppe: “Mio caro, queste cose avresti dovuto dirle quando egli poteva approfittare dei tuoi consigli; non ora che non servono più a nulla”.
La favola mostra che gli amici devono prestare il loro aiuto nel momento del bisogno, e non sputar sentenze quando ogni speranza è perduta.
IL MELOGRANO, IL MELO, L’OLIVO E IL ROVO
Il melograno, il melo e l’olivo vantavano ciascuno la propria feracità. La discussione si faceva animata, quando il rovo, che li udiva dalla siepe vicina, saltò su a dire: “Olà, amici, finiamola una buona volta di litigare!”.
In tal modo, quando i migliori sono intenti a litigare, anche quelli che non valgon nulla cercano di darsi delle arie.
IL MORO
Un tale comperò uno schiavo moro, pensando che il suo colore fosse dovuto all’incuria del precedente proprietario. Condottolo a casa, provò su di lui tutti i detersivi e tentò di sbiancarlo con lavacri di ogni sorta. Ma non riuscì a cambiargli il colore; anzi, con tutti i suoi sforzi lo fece ammalare.
Questa favola ci mostra come le qualità naturali si conservino quali si sono manifestate originariamente.
IL MURO E IL CHIODO
Un muro, trafitto brutalmente da un chiodo, gridava: “Perché mi trafiggi, se io non ti ho mai fatto nulla di male?”. E l’altro: “La colpa non è mia, ma di quello mi picchia dietro con tutta la sua forza”.
IL NAUFRAGO
Un ricco Ateniese compiva, insieme con altri passeggeri, un viaggio per mare. Si levò una gran tempesta e la nave si capovolse. Mentre tutti gli altri nuotavano, l’Ateniese continuava ad invocare Atena, facendole un monte di promesse, se mai riuscisse a salvarsi. Allora uno dei naufraghi, che stava nuotando lì accanto, gli disse: “Intanto che chiami Atena, muovi un po’ le braccia anche tu! “.
Noi pure, dunque, oltre a pregar gli dèi, dobbiamo provvedere personalmente ai fatti nostri. E’ preferibile guadagnarsi il favore del cielo coi propri sforzi, anziché esser salvati dalla divinità mentre noi trascuriamo i nostri stessi interessi. Quando capita una disgrazia, bisogna aiutarci con tutte le nostre forze e, così facendo, invocare anche l’ aiuto di Dio.
IL NIBBIO CHE VOLEVA NITRIRE
Il nibbio, durante il primo periodo della sua esistenza, aveva posseduto una voce, certo non bella, ma comunque acuta e decisa. Egli, però, era sempre stato nutrito da una incontenibile invidia di tutto e di tutti. Sapeva di essere imparentato con l'aquila, ma questo, invece di costituire un vanto, non faceva altro che alimentare la sua gelosia: capiva di essere inferiore e si rodeva dalla rabbia per questo. Invidiava gli uccelli variopinti come il pappagallo e il pavone, lodati e vezzeggiati da tutti. Inoltre, si mostrava sprezzante nei riguardi dell'usignolo, dicendo tra sé: "Sì, ha una bella vocetta ma é troppo delicata e romantica! Roba da donnicciole! Se devo cercare di migliorare la mia voce certamente non prenderò come esempio questo stupido uccello. Io voglio una voce forte, che si imponga sulle altre!"
Era un bel giorno di primavera. Il nibbio se ne stava tranquillamente appollaiato sopra un ramo di faggio, riparato dalle fresche fronde della pianta. Inaspettato, giunse un cavallo accaldato che, cercando un po' di refrigerio, andò a riposarsi all'ombra dell'albero. Sdraiandosi con l'intenzione di fare un sonnellino, l'equino, inavvertitamente si punse con un cardo spinoso e, dal dolore, lanciò un lungo e acutissimo nitrito.
"Oh, che meraviglia!" Esclamò il nibbio con entusiasmo. Questa é la voce che andrebbe bene per me: acuta, imponente e inconfondibile!"
Il nibbio cominciò da quel mattino, ad esercitarsi nell'imitazione di quel verso meraviglioso. Provò e riprovò scorticandosi la gola, ma inutilmente. Quando, dopo molti tentativi senza successo, si rassegnò a tornare alla sua voce originale, ebbe una brutta sorpresa: gli era sparita a furia di sforzarla! Cosi dovette accontentarsi di emettere un suono insignificante e rauco per tutta la vita!
IL NIBBIO E IL SERPENTE
Un giovane serpentello se ne andava tranquillo strisciando fra una pietra e l'altra, godendosi i caldi raggi del primo sole primaverile. L'aria era tiepida e carica di un buon profumo di fiori e ogni animale si sentiva rasserenato da quel clima dolce. Il piccolo serpente si muoveva piano nel prato quando all'improvviso una spaventosa ombra si proiettò sul suo cammino. L'animale preoccupato alzò il testino per guardare da dove provenisse la macchia scura e solo allora scopri che un terribile nibbio stava puntando dritto dritto su di lui!
Il poverino non ebbe nemmeno il tempo di scappare perché in un lampo il volatile gli piombò addosso afferrandolo con il becco. Il serpente fu, così, sol levato in cielo da quel rapace che, senza avere pietà per le sue grida volò via il più velocemente possibile.
"Lasciami andare!" Implorava lo sfortunato animaletto "Non ti ho fatto niente!" Ma il nibbio non l'ascoltò neppure.
A quel punto il serpentello si rivoltò su se stesso e con un'abile mossa diede un morso al suo nemico. Finalmente il volatile colpito dal veleno della sua preda fu costretto ad aprire il becco liberando il serpente che cadde a terra senza farsi male Il nibbio invece, con la vista annebbiata e senza più forze a causa del morso velenoso, precipitò sul terreno a peso morto riportando parecchie ferite. Quando il volatile era ancora stordito, il serpentello gli si avvicinò e gli disse: "Ben ti sta! Io non volevo farti del male ma tu mi ci hai costretto e adesso ne paghi le conseguenze!"
Trascorsero due giorni interi prima che il nibbio potesse riprendere a volare ma, a partire da quella volta egli si tenne sempre ad una certa distanza da tutti i serpenti!
IL NOCE
Un noce cresciuto al margine di una strada e bersagliato dalle sassate dei passanti, disse tra sé sospirando: “Ma son proprio un disgraziato, io! Continuo tutti gli anni a procurarmi insulti e dolori!”
Questa favola allude a certe persone le quali, dai propri beni, non ricavano che dolori.
IL PASTORE CHE INTRODUCEVA IL LUPO NELL’OVILE E IL CANE
Un pastor, dentro l’ovil spingendo il gregge, insieme un lupo per poco non ci chiuse. Ma il cane se n’avvide. “Bravo!”, gli disse, “staranno bene, codeste pecorelle, se dentro un lupo ci metti in compagnia!”.
La compagnia dei malvagi può procurare gravi danni ed essere anche causa di morte.
IL PASTORE E LE SUE PECORE
Un pastore aveva condotto le sue pecore in un bosco di querce. Vedendo un albero grandissimo carico di ghiande, stese a terra il mantello e andò sù, per scuoterne i frutti. Le pecore, mangiando le ghiande, senza accorgersene; gli mangiarono insieme anche il mantello. Quando il pastore fu sceso, avvedendosi del guaio, esclamo: “Brutte bestiacce! fate la lana per i vestiti degli altri, e a me che vi dò da mangiare avete portato via anche il mantello”.
Così molti uomini, per ignoranza, beneficiano degli estranei con cui non hanno nulla a che fare e si comportano villanamente con i loro familiari.
IL PESCATORE CHE BATTEVA L'ACQUA
Un pescatore pescava in un fiume. Dopo aver teso le reti e sbarrato la corrente dall’una all’altra riva, batteva l’acqua con una pietra legata a una funicella, perché i pesci, fuggendo all’impazzata, andassero ad impigliarsi tra le maglie. Vedendolo intento a quest’operazione, uno degli abitanti del luogo si mise a rimproverarlo perché insudiciava il fiume e rendeva loro impossibile di bere un po’ d’acqua limpida. E quello rispose: "Ma se non intorbido così l’acqua, a me non resta che morir di fame".
Così anche negli Stati, per i demagoghi gli affari vanno bene specialmente quando essi son riusciti a seminare il disordine nel loro paese.
IL PIPISTRELLO, IL ROVO E IL GABBIANO
Molto tempo fa, un pipistrello, un rovo e un gabbiano si riunirono in un isolotto per formare una strana società commerciale fondata sulla vendita di stoffe e di rame. Il rovo possedeva una buona quantità di lana, seta e cotone procurate grazie al duro lavoro dei suoi antenati. Egli aveva conservato i suo averi nell'attesa di una buona occasione per poterli rivendere. Il pipistrello, essendo il più abile dei tre negli affari, si prodigò per procurare il denaro necessario per l'acquisto di una buona imbarcazione sulla quale trasportare i. materiale fino al continente. Per riuscirvi fece parecchi debiti con degli strozzini ai quali avrebbe dovuto restituire il doppio dei soldi prestati. Comunque, con il discreto gruzzoletto che ebbe a disposizione egli comprò una piccola barca a remi.
Il gabbiano invece aveva adocchiato un buon quantitativo di rame abbandonato da qualche mercante. Munitosi di pazienza recuperò tutto quel tesoro che sarebbe servito per la loro società.
Giunse infine il gran giorno. I tre avevano caricato ogni cosa sulla barchette ed erano ormai pronti per partire. "Speriamo che questa barca sia abbastanza robusta!" Disse il gabbiano preoccupato. "Se il tempo si manterrà calmo andrà tutto benissimo". Rispose il pipistrello.
Finalmente gli amici si imbarcarono e partirono. Ma durante la sera, un terribile temporale fece ribollire le acque del mare le cui onde gigantesche inghiottirono senza pietà la piccola barca. I tre compagni fortunatamente si salvarono perdendo però ogni cosa. Da quel giorno il pipistrello incapace di ripagare i debiti uscì solo di notte per evitare di incontrare gli strozzini che volevano indietro il loro denaro; il gabbiano imparò a rimanere appollaiato sopra scogli marini nella speranza che le acque gli restituissero il suo rame; infine, il rovo aguzzò le sue spine strappando i vestiti dei passanti nell'attesa di ricostruire, con i brandelli procurati, il suo prezioso patrimonio di stoffe ormai perdute.
IL RAGAZZO CHE FACEVA IL BAGNO
Una volta un ragazzo che faceva il bagno in un fiume stava per affogare. Vedendo uno che passava di là si mise a chiamarlo, che lo aiutasse. Quello cominciò a fargli rimproveri per la sua imprudenza. “Ma salvami, adesso” gli disse il fanciullo. “Poi, quando m’avrai salvato, farai la predica”.
Questa favola si applica a coloro che offrono spontaneamente lo spunto agli altri per offenderli.
IL RANOCCHIO MEDICO E LA VOLPE
Standosene nel suo pantano, un ranocchio annunciava un giorno a gran voce a tutti gli animali: “Io sono un medico e pratico di ogni sorta di cure”. E la volpe, udendolo disse: “Ma come potrai guarire gli altri, tu che sei zoppo e non sei capace di curare te stesso?”.
Come potrà insegnare agli altri chi è digiuno di scienza. Questa è la morale della favola.
IL SOLE E LE RANE
Si celebravano, in piena estate, le nozze del Sole. Tutti gli animali ne erano lieti, e anche le ranocchie si davano alla pazza gioia. Ma una di esse saltò sù: “Perché tutta questa allegria, o sciocche? Se, una volta sposato, il Sole metterà al mondo un figlio come lui, che cosa mai non ci toccherà patire, dato che ora, da solo, riesce già a farci seccare tutti i pantani?”
Ci sono molti uomini con poco sale in zucca che festeggiano avvenimenti per cui non ci sarebbe proprio ragione di rallegrarsi.
IL TOPO DI CAMPAGNA E IL TOPO DI CITTÀ
Il topo cittadino da quel dei campi ch’era suo amico s’ebbe un invito a pranzo, e tosto lieto partì per la campagna. Ma il pranzo era erba e grano. “Vedi”, gli disse, “che vita da formica meni, mio caro! E io d’ogni ben di Dio piena ho la casa; tu vieni meco, ché ti darò di tutto”. Verso la città trottan gli amici tosto. L’ospite ostenta legumi e fichi secchi e cado e pane, datteri, miele e frutta. L’altro, stupito, di cuore lo ringrazia, il triste suo destino maledicendo. Ma quando il pranzo s’apprestano a gustare, capita un tale che l’uscio ti spalanca. I miseri al rumore, con un sussulto, corron dentro le buche del pavimento. Ne escon poi fuori, per via dei fichi secchi, ecco entra un altro, per non so qual faccenda. Scorgendolo, i meschini dentro le buche, in cerca di salvezza, balzan di nuovo. Il campagnolo allora, passando sopra all’appetito, sospira e dice all’altro: “Amico, addio! Saziati pur ben bene, goditi il pranzo con tutte le sue gioie, tutti i rischi e tutte quante le paure! Io meschinello, campando a grano ed erbe, senza sospetto vivrò, senza timore”.
E’ meglio assai, dice la favoletta, vivere in santa pace vita modesta, che far del lusso sempre fra i batticuori.
IL TOPO E LA RANOCCHIA
Un dolcissimo topolino di campagna, col musetto simpatico e due occhioni scuri, vagando tutto solo per i campi, incontrò un bel giorno una buffa sgraziata ranocchia. Osservandosi al principio dubbiosi, i due fecero ben presto amicizia.
"Sai, mi piacerebbe sapere come ti procuri il cibo!" Chiese quella. " Oh, bè," borbottò il topolino con la testa bassa "non é che io sia un gran campione... anzi, faccio enorme fatica a trovare qualcosa da mettere sotto i denti" -
" Ehi!" Gridò la rana "che ne diresti se andassimo insieme a caccia di cibarie? In due di sicuro avremmo più fortuna! Potremmo legarci con una catena l'un all'altro così da essere sicuri di non perderci! " Il topolino rimase un istante a riflettere, quindi disse: " Mi sembra una buona idea!" E così fecero. Legati insieme i due si diedero da fare per cercare del cibo e bisogna dire che ne trovarono proprio tanto! Quando, alla fine della giornata furono veramente sazi, si in camminarono verso casa. Ancora incatenati, giunsero allo stagno della ranocchia e questa, senza pensarci due volte, si tuffò decisa nell'acqua trascinandosi dietro il povero topino che, non sapendo nuotare si mise a urlare e cominciò a dibattersi per non annegare.
Un nibbio, osservando dal cielo tutto quel trambusto e vedendo il povero topo ormai privo di sensi pensò di aver trovato un buon bocconcino. Si precipitò allora sullo stagno e afferrò con gli artigli il corpo del topino al quale era legata anche la ranocchia. Risvegliato dalle grida della rana, il topolino iniziò, coi suoi dentini aguzzi, a morsicare le zampe del volatile il quale aprì gli artigli per il male e li lasciò ricadere.
I due toccarono il suolo senza farsi male ma decisero subito di togliersi quella catena che gli aveva procurato tanti guai!
IL TORDO
Un tondo andava a cibarsi in una macchia di mirti, e tanto eran dolci quelle bacche che non sapeva staccarsene. Un uccellatore osservò che il luogo gli piaceva, vi mise le panie e ce lo prese. “Me infelice!”, esclamò il tordo prima di morire, “Ecco che per il gusto della gola ci rimetto la vita”.
Questa è una favola che si adatta a uno di quegli uomini sregolati che si rovinano per amor dei piaceri.
IL TROMBETTIERE
Il trombettiere, preso dal nemico mentre chiamava a raccolta l’esercito, si mise a gridare: “O soldati, non ammazzatemi così alla leggera e senza alcun motivo. Io non ho mai ucciso nessuno di voi e, all’infuori di questa tromba non posseggo altra arma”. “Ragion di più per ammazzarti”, risposero quelli; “non sei capace di combattere tu, e inciti gli altri a farlo”.
La favola mostra che i più colpevoli sono coloro che incitano al male i principi cattivi e crudeli.
IL VENTRE E I PIEDI
Il ventre e i piedi disputavano chi di loro fosse il più forte, e i piedi continuavano a dire che, in fatto di forza, erano tanto superiori, che il ventre stesso si faceva portare a spasso da loro. “Cari miei, se non ci fossi io a darvi da mangiare, neanche voi sareste in grado di portarmi”, rispose il ventre.
Così, anche in un esercito, il numero non conta nulla, se non ci sono dei capi col cervello a posto.
L’ABETE E IL ROVO
Disputavano tra loro l’abete e il rovo. L’abete si vantava, dicendo: “Io sono bello; io sono slanciato; io sono alto; io servo per i tetti dei templi e per le navi. Co¬me osi misurarti con me?”. Ma il rovo osservò: “Se ti venissero in mente le scuri e le seghe che ti faranno pezzi, certo preferiresti essere un rovo anche tu”.
Non è il caso di esaltarsi per la propria gloria in questa vita, perché l’esistenza degli umili è di pericoli.
L’ALCIONE
L’alcione è un uccello amante della solitudine, che vive sempre sul mare e fa, dicono, il suo nido sugli scogli vicini alla costa, per sfuggire alla caccia degli uomini. Un giorno un alcione che stava per deporre le uova, posandosi su di un promontorio, scorse una roccia a picco sul mare, e andò a farci il nido. Ma una volta, mentre esso era fuori in cerca di cibo, accadde che il mare, gonfiato dal soffio impetuoso del vento, si sollevò fino all’altezza del nido e lo inondò, affogando i piccoli. Quando, al suo ritorno l’alcione vide quel che era accaduto: "Me misero", esclamò, "per guardarmi dalle insidie della terra mi rifugiai sul mare; e il mare mi si è dimostrato ben più infido di quella.
Questo capita anche a certi uomini, che, mentre si guardano dai loro nemici, senz’avvedersene, vanno a cascare in mezzo ad amici che sono ben peggiori di quelli.
L’AQUILA DALLE ALI MOZZE E LA VOLPE
Una volta un’aquila fu catturata da un uomo. Questi le mozzò le ali e poi la lasciò andare, perché vivesse in mezzo al pollame di casa. L’aquila stava a capo chino e non mangiava più per il dolore: sembrava un re in ca¬tene. Poi la comperò un altro, il quale le strappò le penne mozze e, con un unguento di mirra, gliele fece ricrescere. Allora l’aquila prese il volo, afferrò con gli artigli una lepre e gliela portò in dono. Ma la volpe che la vide, ammonì: "I regali non devi farli a questo, ma piuttosto al padrone di prima: questo è già buono per natura; l’altro invece è meglio che tu lo rabbonisca, perché non ti privi delle ali se ti acchiappa di nuovo".
Sta bene ricambiare generosamente i benefattori, ma bisogna anche guardarsi prudentemente dai malvagi.
L’ASINO CHE LODAVA LA SORTE DEL CAVALLO
L’asino decantava la sorte del cavallo, perché era nutrito senza economia e fatto segno a tutte le cure, mentre esso non aveva nemmeno paglia a sufficienza e doveva sopportare tante fatiche. Ma quando sonò l’ora della guerra, un soldato in armi balzò sul cavallo, portandolo da una parte e dall’altra, e finalmente lo lanciò nella mischia contro il nemico, dove la bestia cadde colpita a morte. A questa vista l’asino cambiò parere, e compianse il cavallo.
La favola mostra che non bisogna invidiare i potenti e i ricchi, ma star contenti della povertà, pensando all’invidia e ai pericoli da cui essi sono circondati.
L’ASINO E IL CAGNOLINO OVVERO IL CANE E IL SUO PADRONE
Un tale che possedeva un cagnolo maltese e un asino, continuava a far moine al cane e, se per caso andava fuori a pranzo, portava a casa qualche bocconcino per gettarglielo, quando la bestiola gli veniva incontro scodinzolando. Allora l’asino, geloso, corse incontro al pa¬drone e, a forza di saltellare, gli lasciò andare un calcio. Adirato, il padrone ordinò di allontanarlo a randellate e di legarlo alla greppia.
La favola mostra che non tutti sono nati per le stesse cose.
L’ASINO E IL CANE CHE VIAGGIAVANO INSIEME
Un asino e un cane che facevano strada insieme, trovarono per terra una lettera chiusa. L’asino la raccolse, spezzò i suggelli, l’aperse e si mise a leggerla al cane che ascoltava. Nella lettera si parlava di roba da mangiare, voglio dire di fieno, di orzo, di paglia. Mentre l’asino leggeva tutte quelle cose, il cane se ne stava lì annoiato , e poi gli disse: “Guarda un po’ più avanti, caro, che saltando tu non trovi anche qualche informazione che riguardi carne o ossa”. L’asino scorse tutta la lettera ma non ci trovò niente di quel che il cane cercava; e allora questo soggiunse: “Buttala pur via, mio caro, non c’è niente di interessante”.
L’ASINO E IL MULO CHE PORTAVANO UN CARICO EGUALE
Un asino e un mulo avanzavano uno accanto all’altro. L’asino, osservando che i loro due carichi erano eguali, era indignato e si lamentava, perché il mulo, che pur era ritenuto degno di una doppia razione, non portava nulla più di lui. Ma quando ebbero proceduto alquanto nella via, l’asinaio s’avvide che l’asino non poteva reggere, e allora gli tolse una parte del carico, aggiungendolo al mulo. Dopo che ebbero proseguito ancora un poco, vedendo che l’asino era sempre più stanco, gli tolse di nuovo una parte del carico, e, alla fine, prese tutto quanto e lo passò da lui al mulo. Allora questo diede una sbirciatina all’asino: “Ehi, tu, non ti par giusto, ora, che mi faccian l’onore di una doppia razione? “.
Anche noi, per giudicare la condizione di ciascuno, non dobbiamo guardare come comincia, ma come va a finire.
L’ASINO E LE RANOCCHIE
Un asino, con un carico di legna sul dorso, traversava un acquitrino. Scivolò, cadde, e, non riuscendo a tirarsi mise a piangere e a lamentarsi. Quando le ranocchie del luogo udirono i suoi lamenti, gli dissero: “Caro mio, tu piagnucoli tanto per esser caduto qui pochi minuti: che cosa avresti mai fatto se ci fossi rimasto tanto tempo come noi? “.
Di questa favola potrebbe servirsi uno che affronta coraggiosamente i mali più gravi, per rivolgersi a un debole che mal sopporta le più lievi fatiche.
L’ASINO VESTITO DELLA PELLE DEL LEONE E LA VOLPE
Un asino si mise addosso la pelle di un leone e andava attorno seminando il terrore fra tutte le bestie. Vide una volpe e volle provarsi a far paura anche a lei. Ma quella, che per caso aveva già sentito la sua voce un’altra volta, gli disse: “Sta’ pur sicuro che, se non ti avessi mai sen¬tito ragliare, avresti fatto paura anche a me”.
Così ci sono degli ignoranti che, grazie alle loro false apparenze, sembrerebbero persone importanti, se la smania di parlare non li tradisse.
L’AVARO
Un avaro aveva liquidato tutto il suo patrimonio e l’aveva convertito in una verga d’oro; poi l’aveva sotterrato in un certo luogo, sotterrandoci insieme la sua vita e il suo cuore, e tutti i giorni andava a farci un’ ispezione. Un operaio lo tenne d’occhio, subodorando la verità, andò a scavare e si portò via la verga. Dopo un po’ arrivò anche l’avaro e, trovando la sua buca vuota, cominciò a piangere e a strapparsi i capelli. Ma un tale, che l’aveva visto lamentarsi così dolorosamente, quando ne seppe la ragione, gli disse: “Non disperarti così, mio caro; tanto, oro non ne avevi nemmeno quando lo possedevi. Prendi una pietra, mettila al suo posto, e immagina d’avere il tuo oro: ti farà lo stesso servizio; perché vedo bene che, anche quando il tuo oro era là, tu non ne facevi nulla”.
La favola mostra che nulla vale possedere una cosa senza goderla.
L’IMBROGLIONE
Un imbroglione s’era impegnato con un tale a dimostrare che l’oracolo di Delfi mentiva. Nel giorno stabilito, prese in mano un passerotto e, copertolo col mantello, andò al tempio, si fermò in faccia all’oracolo, e gli chiese se quel che teneva tra le mani respirava o no. Se gli fosse stato risposto di no, egli intendeva mostrare il passero vivo: se invece gli fosse stato detto che respirava, l’avrebbe strozzato prima di tirarlo fuori. Ma il dio, comprendendo il suo malizioso proposito, rispose: “Smettila, uomo, perché sta in te far sì che ciò che hai in mano vivo oppure morto”.
La favola insegna che la divinità non può esser colta in fallo.
L’ORTOLANO CHE INNAFFIAVA GLI ORTAGGI
Un tale si fermò davanti a un ortolano che innaffiava le sue verdure e gli domandò perché mai le piante selvatiche sono fonde e robuste, mentre quelle coltivate sono gracili e stente. E l’ortolano gli rispose: “Perché di quelle la terra è veramente la madre, ma di queste è soltanto la matrigna.”
Anche tra i ragazzi, chi è allevato dalla matrigna non mangia come quello che ha la propria madre.
L’ORTOLANO E IL CANE
Il cane di un ortolano cascò in un pozzo, e l’ortolano, per tirarlo fuori, scese giù anche lui. Ma il cane, pensando che egli venisse per cacciarlo più a fondo, si rivoltò al padrone e lo morse. Allora quello, dolorante, se ne tornò sù dicendo: “Ben mi sta: perché affannarmi tanto per salvare un suicida?”.
Ecco una favola per gli uomini ingiusti ed ingrati.
L’UCCELLATORE E LA PERNICE
Un uccellatore, essendo giunto da lui un ospite a sera tarda e non avendo nulla da imbandirgli, si volse alla sua pernice addomesticata e stava per ucciderla, quando questa cominciò ad accusano d’ingratitudine, perché intendeva ammazzarla, dopo esser stato tanto aiutato da lei che attirava gli uccelli della sua razza e glieli consegnava. “Ma questa “, disse lui, “sarà una ragione di più per sacrificarti, se non risparmi nemmeno i tuoi fratelli!”
La favola mostra che chi tradisce i suoi familiari, non acquista solo l’odio delle vittime, ma anche quello di chi si giova del suo tradimento.
L’USIGNOLO E LA RONDINE
La rondine consigliava all'usignolo a nidificare, come lei, sotto il tetto degli uomini e a condividere la loro dimora. Ma quello rispose: "Non desidero ravvivare la memoria delle mie antiche sventure; per questo vivo nei luoghi solitari.
Chi è stato colpito da una sventura cerca di sfuggire persino il luogo dove questa gli accadde.
L’USIGNOLO E LO SPARVIERO
Posato su un’alta quercia, un usignuolo, secondo il suo solito, cantava. Lo scorse uno sparviero a corto di cibo, gli piombò addosso e se lo portò via. Mentre stava per ucciderlo, l’usignuolo lo pregava di lasciarlo andare, dicendo che esso non bastava a riempire lo stomaco di uno sparviero: doveva rivolgersi a qualche uccello più grosso, se aveva bisogno di mangiare. Ma l’altro lo interruppe, dicendo: "Bello sciocco sarei, se lasciassi andare il pasto che ho qui pronto tra le mani, per correr dietro a quello che non si vede ancora! ".
Così, anche tra gli uomini, stolti sono coloro che, nella speranza di beni maggiori, si lasciano sfuggire quello che hanno in mano.
LA CICALA E LA VOLPE
Una cicala cantava sull’alto di una pianta. Una volpe, che aveva voglia di mangiarsela, escogitò una trovata di questo genere: si fermò là dirimpetto e cominciò a far meraviglie per la dolcezza del suo canto e a pregarla di scendere, dichiarando che desiderava vedere com’era grossa la bestia dotata di una voce così potente. La cicala, che sospettava il suo gioco, staccò una foglia e la gettò giù. La volpe le si precipitò addosso, come avrebbe fatto con la cicala. E quella: “Ti sei sbagliata, cara mia, se speravi che io scendessi. Io, dal giorno che ho veduto delle ali di cicala in un cacherello di volpe, delle volpi non mi fido”.
Le sventure del prossimo rendono accorti gli uomini di buon senso.
LA CICALA E LE FORMICHE
In una giornata d’inverno le formiche stavano facendo seccare il loro grano che s’era bagnato. Una cicala affamata venne a chiedere loro un po’ di cibo. E quelle le dissero: “Ma perché non hai fatto provvista anche tu, quest’estate?”. “Non avevo tempo”, rispose lei, “dovevo cantare le mie melodiose canzoni”. “E tu balla, adesso che è inverno, se d’estate hai cantato!”, le dissero ridendo le formiche.
La favola mostra che, in qualsiasi faccenda, chi vuol evitare dolori e rischi non deve essere negligente.
LA CORNACCHIA E IL CANE
Una cornacchia che offriva ad Atena una vittima, invitò un cane al banchetto sacrificale. “Perché sprechi i tuoi quattrini in sacrifici?”, le chiese il cane. “Tanto,la dea ti ha così in uggia che impedisce alla gente di credere ai tuoi presagi”. E la cornacchia: “Ma io le offro i sacrifici proprio per questo. Cerco di conciliarmela, dato che mi vede di mal occhio”.
Così ci son molti che, per paura, non esitano a beneficare quelli che li odiano.
LA CORNACCHIA E IL CORVO
La cornacchia, gelosa del corvo, il quale dà auspici agli uomini, prevede il futuro ed è perciò da essi invocato come testimonio, si mise in testa di fare altrettanto. Vedendo passare dei viandanti, volò su un albero e piantatasi là, cominciò a gracchiare a tutta forza. Al suono della sua voce, quelli si volsero spaventati, ma uno disse subito: “Niente, niente, amici, andiamo pure avanti. E’ soltanto una cornacchia, e le sue grida non significano nulla”.
Così anche tra gli uomini, chi si mette a gareggiare coi più potenti di lui non solo non riesce ad uguagliarli, ma si guadagna anche le beffe.
LA CORNACCHIA E LA BROCCA
Una cornacchia, mezza morta di sete, trovò una brocca che una volta era stata piena d'acqua. Ma quando infilò il becco nella brocca si accorse che vi era rimasto soltanto un po' d'acqua sul fondo. Provò e riprovò, ma inutilmente, e alla fine fu presa da disperazione.
Le venne un'idea e, preso un sasso, lo gettò nella brocca.
Poi prese un altro sasso e lo gettò nella brocca.
Ne prese un altro e gettò anche questo nella brocca.
Ne prese un altro e gettò anche questo nella brocca.
Ne prese un altro e gettò anche questo nella brocca.
Ne prese un altro e gettò anche questo nella brocca.
Piano piano vide l'acqua salire verso di sé, e dopo aver gettati altri sassi riuscì a bere e a salvare la sua vita.
LA FORMICA
Un tempo, quella che oggi è la formica era un uomo che attendeva all’agricoltura e, non contento del frutto del proprio lavoro, guardava con invidia quello degli altri e continuava a rubare il raccolto dei vicini. Sdegnato della sua avidità, Zeus lo trasformò in quell’insetto che chiamiamo formica; ma esso, mutata natura, non mutò costumi, perché anche oggi gira per i campi, raccoglie il grano e l’orzo altrui e li mette in serbo per sé.
La favola mostra che chi è cattivo di natura, anche se è gravemente punito, non muta costumi.
LA FORMICA E LA COLOMBA
Una formica assetata era scesa in una fontana e, trascinata dalla corrente, stava per affogare. Se n’avvide una colomba e, strappato un ramoscello da un albero, lo gettò nell’acqua. La formica vi salì sopra e riuscì a salvarsi. Poco dopo, un uccellatore, con i suoi panioni pronti, si avanzò per prendere la colomba. La formica lo scorse e diede un morso al piede dell’uccellatore, che, nell’impeto del dolore, gettò via i panioni, facendo così fuggire immediatamente la colomba.
La favola mostra che bisogna ricambiare i benefattori.
LA FORMICA E LO SCARABEO
Nella stagione estiva la formica s’aggirava per i campi, raccogliendo grano e orzo, e mettendolo in serbo come sua provvista per l’inverno. Lo scarabeo l’osservava e faceva gran meraviglie della sua eccezionale attività, perché essa s’affannava a lavorare proprio nella stagione in gli altri animali hanno tregua dalle loro fatiche e si danno alla bella vita. La formica non disse nulla, lì per lì; ma più tardi, quando sopraggiunse l’inverno, e la pioggia lavò via tutto lo sterco, lo scarabeo affamato andò da lei, scongiurandola di dargli un po’ da mangiare: “Oh scarabeo “, gli rispose quella, “il cibo non ti mancherebbe ora, se tu avessi lavorato allora, quando io m’affaccendavo e tu mi canzonavi”.
Così coloro che nel momento dell’abbondanza non pensano al futuro, quando i tempi cambiano, debbono sopportare le più gravi sofferenze.
LA FORTUNA DEL CAVALLO
Un giorno un cavallo, ricco d'ornamenti, venne incontro a un asino che, stanco e carico com'era, tardò a dargli la via.
" Avrei una gran voglia - disse - di fracassarti a calci ".
L'asino non rispose: e con un gemito chiamò testimoni gli dei. Passò qualche tempo.
Il cavallo durante una corsa, azzoppò e fu mandato a servire in campagna. Appena l'asino lo vide tutto carico di letame: " Ricordi - domandò - che boria e che pompa? Ah? E che n'hai avuto? Eccoti ridotto alla miseria che prima spregiavi ".
I felici che disprezzano l'umile, sanno essi quale sarà il proprio domani?
LA GALLINA DALLE UOVA D’ORO
C'era una volta una straordinaria gallina che faceva un uovo d'oro al giorno.
Il contadino a causa della sua avidità dopo qualche tempo non fu più soddisfatto dell'unico uovo che la gallina puntualmente gli sfornava:
"Scommetto che se la uccidessi diventerei ricchissimo, chissà quanto oro ha dentro la pancia, è inutile stare ad aspettare un misero uovo al giorno!" pensò convinto.
Ma dovette accorgersi che la prodigiosa gallina non era affatto diversa dalle altre e che dentro di lei non c'era dell'oro come aveva scioccamente immaginato.
Così per non essersi accontentato di ciò che aveva restò senza nulla poiché ora non poteva contare nemmeno su un uovo al giorno.
LA GALLINA E LA RONDINE
Una gallina trovò delle uova di serpente e si mise a covarle con cura, finché, a forza di covare, riuscì a farle schiudere. La rondine, che era stata a guardarla, le disse: “Ma perché, stolta, vuoi allevare degli esseri che, appena adulti, cominceranno a far del male a te per la prima?”.
La perversità è incorreggibile, anche se è fatta segno ai più grandi benefici.
LA LEPRE E LA TARTARUGA
La lepre un giorno si vantava con gli altri animali:
Nessuno può battermi in velocità - diceva - Sfido chiunque a correre come me.
-La tartaruga, con la sua solita calma, disse: - Accetto la sfida. -
- Questa è buona! - esclamò la lepre; e scoppiò a ridere.
- Non vantarti prima di aver vinto replicò la tartaruga. - Vuoi fare questa gara? -Così fu stabilito un percorso e dato il via.
La lepre partì come un fulmine: quasi non si vedeva più, tanto era già lontana. Poi si fermò, e per mostrare il suo disprezzo verso la tartaruga si sdraiò a fare un sonnellino.
La tartaruga intanto camminava con fatica, un passo dopo l'altro, e quando la lepre si svegliò, la vide vicina al traguardo.
Allora si mise a correre con tutte le sue forze, ma ormai era troppo tardi per vincere la gara.
La tartaruga sorridendo disse: “Chi va piano va sano e va lontano”.
LA MOGLIE E IL MARITO UBRIACONE
Una donna che aveva il marito sempre ubriaco, volendo correggerlo del suo vizio, escogitò una trovata di questo genere. Aspettò che egli fosse tanto inebetito per la sbornia da essere insensibile come un morto, e, caricatolo sulle spalle, lo portò al cimitero, lo mise giù, e se ne andò. Quando suppose che avesse smaltito la sbornia, ritornò e bussò alla porta del cimitero. “ Chi bussa?”, chiese lui. E la donna: “Sono quello che porta da mangiare ai morti”. E l’altro: “Ma no, mio caro, non da mangiare; portami da bere, piuttosto. Mi strazi l’anima a parlar di mangiare e non di bere”. Allora la moglie, battendosi il petto, esclamò: “Me disgraziata! Tutta la astuzia non m’ha servito a nulla: tu, caro il mio marito, non solo non ti sei corretto, ma sei diventato peggiore di ¬prima, perché il tuo vizio è ormai una seconda natura”.
La favola mostra che non bisogna persistere nei costumi, perché viene un momento in cui l’abitudine si impone a un uomo anche contro la sua volontà.
LA MOSCA
Una mosca, caduta in una pentola di carne, mentre stava per affogare nel brodo, diceva tra sé: “Ebbene, io ho mangiato, ho bevuto, ho fatto il bagno; e se muoio, pazienza!”.
La favola mostra che gli uomini si rassegnano facilmente alla morte, quando essa sopraggiunge senza sofferenze.
LA MULA
Una bella mula rimpinzata di biada si mise a scalpitare, dichiarando ad alta voce a se stessa: “Cavallo dal rapido piede fu mio padre; ed io son tutta lui”. Ma un giorno si presentò la necessità di correre e la mula doveva farlo davvero. Quando ebbe finita la corsa, si sentì triste, e le venne in mente, all’improvviso, che suo padre era un asino.
La favola mostra che, anche quando le circostanze rendono un uomo famoso, egli non deve mai dimenticare le proprie origini, perché questa vita è piena di incertezze.
LA PECORA TOSATA
Stavano tosando malamente una pecora. E quella disse a colui che la tosava: “Se vuoi della lana, taglia più in su; ma se desideri della carne, ammazzami una volta tanto e smettila di torturarmi a poco a poco”.
La favola è adatta per coloro che fanno malamente il loro mestiere.
LA RONDINE FANFARONA E LA CORNACCHIA
La rondine diceva alla cornacchia: “Io sono una fanciulla, e sono d’Atene, e sono di sangue reale, e son figlia del re d’Atene”, e continuava, con la storia di Tereo, e della violenza subita, e del taglio della lingua. “T’han tagliata la lingua”, disse la cornacchia, “e hai tanta parlantina! Che cosa mai succederebbe se ce l’avessi?”.
I fanfaroni, a forza di parlare a vanvera, con i loro discorsi si smentiscono da soli.
LA ROSA E L’AMARANTO
Un amaranto cresciuto vicino a una rosa le disse: “Che splendido fiore sei tu. Ti desiderano gli dèi e gli uomini, ti invidio per la tua bellezza e per il tuo profumo”. “O amaranto”, gli rispose la rosa, “io non vivo che pochi giorni e anche se nessuno mi recide, appassisco; ma tu fiorisci e vivi sempre così, in perenne giovinezza”.
Meglio durare a lungo, contentandosi di poco, che, dopo sfarzo, mutar sorte o magari morire.
LA SCIMMIA E IL CAMMELLO
Quello era un giorno particolarmente importante. Infatti, dalla foresta era partito un invito rivolto ai delegati di ogni specie animale che avrebbero dovuto riunirsi in una assemblea durante la quale si sarebbe discusso di un argomento molto serio.
Non mancò proprio nessuno.
Il primo a prendere la parola fu il leone, indiscusso Re degli animali. Nel rispettoso silenzio generale egli disse: "Carissimi sudditi, ci siamo riuniti oggi allo scopo di stabilire una pace duratura tra noi, eliminando ogni diverbio e ogni invidia per riuscire così ad affrontare insieme gli eventuali pericoli provocati dall'uomo alla natura". Il discorso continuò a lungo, sottolineato da applausi di assenso. Erano dunque tutti d'accordo: era necessario unirsi per superare qualsiasi problema.
Al termine dell'assemblea, ogni animale prese parte al grande pranzo organizzato per l'occasione. Ci fu cibo in abbondanza e bevande a volontà. Quando tutti furono sazi e soddisfatti qualcuno chiese alla scimmia, notoriamente allegra e vivace, di allietare la cerimonia con qualche spettacolo divertente. Questa, senza farsi pregare, salì sulla pedana e con agilità e simpatia diede inizio ad un numero spassosissimo ricco di salti acrobatici, capriole e danze. Estasiati gli spettatori applaudirono come non mai, divertiti dall'abilità di quell'insolito comico.
L'unico che rimase in silenzio fu il cammello che, geloso del successo ottenuto dalla scimmia, decise di esibirsi anch'egli sul palco attirando l'attenzione su di sé. Questo buffo animale diede il via ad un balletto goffo e sgraziato. Egli non era affatto agile ne' divertente. Tra i fischi generali fu così costretto a ritirarsi nascondendosi in un angolo dove ripensò ai buoni propositi di cui si era discusso durante l'assemblea: certo, per restare tutti uniti ed amici egli doveva cominciare ad ingoiare un po' della propria invidia.
LA SCIMMIA E IL DELFINO
Era usanza di coloro che navigavano portare con sé cagnolini e scimmie come conforto della navigazione, e un tizio che navigava aveva con sé una scimmia. Quando essi giunsero presso capo Sunion, il promontorio dell'Attica, si scatenò una violenta tempesta. E poiché la nave si capovolse e tutti si gettarono in mare, anche la scimmia nuotava.
Un delfino, vistala e pensando che fosse un uomo, la sostenne accompagnandola a riva. Ma quando giunse presso il Pireo, il porto di Atene, chiese alla scimmia se fosse Ateniese di stirpe. Poiché essa disse: "Sì, e di genitori illustri", (il delfino) chiese nuovamente se conoscesse anche il Pireo.
E la scimmia, pensando che egli parlasse di una persona, rispose: "Sì, e sono anche suo grande amico!". E il delfino, sdegnato per una bugia così grossa, la uccise affogandola.
LA SCROFA E LA CAGNA CHE SI INSULTAVANO A VICENDA
La scrofa e la cagna si insultavano a vicenda. La scrofa prese a giurare che lei — per Afrodite! — avrebbe sbranato la cagna. E la cagna, beffarda, le disse: “Sì, fai bene a giurarmelo su Afrodite, perché tutti sanno che la dea ti vuole un gran bene. Quelli che hanno assaggiata la tua sporca carnaccia, non permette nemmeno che entrino nel suo tempio!”. “Ma questa”, disse l’altra, “è una prova lampante dell’affetto che la dea nutre per me, perché essa respinge chiunque mi uccida o mi faccia in qualche modo del male. Quanto a te, poi, tu puzzi da viva e puzzi da morta”.
La favola mostra come un abile oratore possa accortamente convertire in elogi gli insulti ricevuti dai nemici.
LA TALPA E SUA MADRE
Una talpa, animale cieco di natura, annunziò a sua madre che ci vedeva. Questa, per metterla alla prova, le diede un granello d’incenso e le domandò che cos’era. Essa dichiarò che era una pietruzza. “Creatura mia”, esclamò allora la madre, “tu non solo non ci vedi, ma hai perso persino l’odorato!”.
Così ci sono dei fanfaroni che promettono l’impossibile e poi fanno figuracce nelle cose più semplici.
LA TARTARUGA E L’AQUILA
Una tartaruga pregava un’aquila perché le insegnasse a volare, e quanto più questa le dimostrava che era cosa aliena dalla sua natura, tanto più l’altra insisteva nelle sue preghiere. Allora l’aquila l’afferrò tra gli artigli, la sollevò in alto, e poi la lasciò cadere. La tartaruga casco su una roccia e si fracassò.
La favola mostra come, a dispetto dei consigli dei saggi, molti si rovinino per voler scimmiottare il prossimo.
LA VESPA E IL SERPENTE
Una vespa, posatasi sulla testa di un serpente, lo tormentava, pungendolo senza tregua col suo aculeo. Quello sconvolto dal dolore, non riuscendo a vendicarsi della sua nemica, cacciò la testa sotto la ruota di un carro sì morì lui insieme con la vespa.
La favola mostra che c’è della gente disposta a morire pur far morire i suoi nemici.
LA VOLPE CHE NON AVEVA MAI VEDUTO UN LEONE
Una volpe che non aveva mai veduto un leone, la prima volta che per caso se lo trovò davanti, provò un tale spavento alla sua vista che quasi ne morì. Avendolo però incontrato una seconda volta, si spaventò sì, ma non proprio come la prima. Quando poi lo vide per la terza volta, trovò tanto coraggio da avvicinarglisi e da attaccare persino discorso.
La favola mostra che l’abitudine rende tollerabili anche le cose spaventose.
LA VOLPE CON LA PANCIA PIENA
Una volpe affamata, vedendo, nel cavo di una quercia, del pane e della carne lasciativi da qualche pastore, vi entrò dentro e li mangiò. Ma quando ebbe la pancia piena, non riuscì più a venir fuori, e prese a sospirare e a gemere. Un’altra volpe che passava a caso di là, udì i suoi lamenti e le si avvicinò, chiedendogliene il motivo. Quando seppe l’accaduto: “E tu resta lì", le disse, “finché non sarai ritornata com’eri quando c’entrasti: così ne uscirai facilmente”
Questa favola mostra che il tempo risolve le difficoltà.
LA VOLPE E IL LEONE
Quella mattina una volpe se ne andava tranquilla per i prati rifioriti dopo la brutta stagione invernale. I profumi della natura le solleticavano le nari accarezzandole la fantasia, permettendole di sognare paesi lontani, belli e sconosciuti.
All'improvviso la sua attenzione venne richiamata da un violento ruggito.Era un verso che non aveva mai sentito e, terrorizzata, fuggì a nascondersi dietro ad un cespuglio. Da li poté vedere, riparata tra le foglie, il terribile animale che aveva emesso quel suono: si trattava di un leone, una bestia a lei sconosciuta. Spaventata, la povera volpe, scappò via il più velocemente possibile.
Trascorsero un paio di giorni tranquilli dopo quel brutto incontro che sembrava quasi essere stato dimenticato, quando, d'un tratto, la piccola volpe si imbatté ancora nel leone.
Questa volta il Re della foresta le apparve proprio davanti ostacolandole il cammino. Essa, impaurita, iniziò a tremare come una foglia senza tuttavia fuggire ma rimanendo ferma al suo posto fino a quando il leone non si fu allontanato.
La terza volta che la volpe si imbatté in quel grosso e possente animale dal risonante ruggito, scoprì che il proprio timore nei suoi confronti andava pian piano assopendosi.
Così, durante il successivo incontro con il leone, si dimostrò molto più calma e riuscì persino a guardarlo bene dentro agli occhi salutandolo con un cordiale 'buongiorno!".
Infine, quando ebbe ancora modo di vederlo, la volpe provò a parlargli e riuscì finalmente a scoprire in lui doti come il coraggio e l'intelligenza.
Da quel giorno non si stancò mai di ascoltarlo sicura che, dall'esperienza di un animale così astuto e bravo cacciatore, avrebbe tratto solo vantaggi.
LA VOLPE E IL ROVO
C'era una volta una graziosa volpe dal manto marrone e lucente che viveva in una piccola casetta in mezzo al bosco. Un bel mattino di primavera l'animale uscì dalla propria abitazione con l'intenzione di procurarsi una preda per il mezzogiorno.
Vagando per la brughiera fischiettando allegramente, la volpe attirò l'attenzione di un ingenuo leprottino il quale, incuriosito, le si avvicinò per osservarla meglio. L'astuta volpe non si lasciò sfuggire l'occasione e sorridendo al cucciolotto gli disse: "Buongiorno a te mio piccolo amico. Cosa fai tutto solo in questi boschi?" Il leprotto divenne improvvisamente diffidente di fronte a tutto quell'interessamento e, indietreggiando piano rispose: "Oh, niente, proprio niente. Anzi, adesso che ci penso, dovevo tornare a casa". Ma la volpe non aveva alcuna intenzione di lasciarsi scappare un bocconcino casi prelibato. Quindi, con un abile balzo si gettò sull'animaletto per afferrarlo. Fortunatamente il piccolino, risvegliato dall'improvviso attacco, riuscì a schivare l'aggressione con un veloce salto indietro, precipitandosi in una folle fuga verso il limitare del bosco. La volpe lo seguì fino a quando non si trovò sull'orlo di una grossa buca. Per evitare di cadere nel vuoto l'animale di aggrappò ad una siepe di Rovo graffiandosi e pungendosi con le sue spine. Abbandonando l'inseguimento la povera volpe rimase seduta di fronte al Rovo leccandosi le ferite da questo provocate.
"Che stupida sono stata!" Si disse fra sé "Mi sono aggrappata alla prima cosa che ho trovato per non cadere in una buca e mi sono procurata solo graffi e punture. Tanto valeva proseguire l'inseguimento e tuffarmi nella fossa".
Ma per quel giorno ormai non poteva più far niente e camminando piano per il male, se ne tornò a casa sconsolata.
LA VOLPE E IL SERPENTE
Una volpe, vedendo un serpente coricato, fu presa d’invidia per la sua lunghezza, e le venne voglia di uguagliarlo: si stese giù vicino a lui e cercò di tendersi, fino a che, per gli eccessivi sforzi, la malaccorta crepò.
Questo capita a coloro che si mettono a gareggiare coi più forti: prima di poterli raggiungere, vanno in malora.
LA VOLPE E LA CICOGNA
La volpe e la cicogna erano buone amiche. Un tempo si vedevano spesso, e un giorno la volpe invitò a pranzo la cicogna; per farle uno scherzo, le servì della minestra in una scodella poco profonda: la volpe leccava facilmente, ma la cicogna riusciva soltanto a bagnare la punta del lungo becco e dopo pranzo era pìu affamata di prima.
- Mi dispiace - disse la volpe - La minestra non è di tuo gradimento?
- Oh, non ti preoccupare: spero anzi che vorrai restituirmi la visita e che verrai presto a pranzo da me - rispose la cicogna.
Così fu stabilito il giorno in cui la volpe sarebbe andata a trovare la cicogna.
Sedettero a tavola, mai i cibi erano preparati in vasi dal collo lungo e stretto nei quali la volpe non riusciva ad infilare il muso: tutto ciò che potè fare fu leccare l'esterno del vaso, mentre la cicogna tuffava il becco nel brodo e ne tirava fuorii saporitissime rane.
- Non ti piace, cara, ciò che ho preparato? -
Fu così che la volpe burlona fu a sua volta presa in giro dalla cicogna.
LA VOLPE E LA MASCHERA
Una volpe penetrò nella casa di un attore e, frugando in mezzo a tutti i suoi costumi, trovò anche una ma¬schera da teatro artisticamente modellata. La sollevò tra le zampe ed esclamò: “ Una testa magnifica! ma cervello, niente “.
Ecco una favola per certi uomini belli di corpo ma poveri di spirito.
LA VOLPE E L'UVA
Che fame! - esclamò la volpe, che era a digiuno da un paio di giorni e non trovava niente da mettere sotto i denti; girellando qua e là, capitò per caso in una vigna, piena di grappoli bruni e dorati
- Bella quell'uva! - disse allora la volpe, spiccando un primo balzo per cercare di afferrarne un grappolo. - Ma com'è alta! - e fece un altro salto. Più saltava e più le veniva fame: fece qualche passo indietro e prese la rincorsa: niente ancora! Non ce la faceva proprio. Quando si accorse che tutti i suoi sforzi non servivano a nulla e che, continuando così, avrebbe potuto farsi deridere da un gattino che se ne stava a sonnecchiare in cima alla pergola, esclamò:
- Che bruffa uva! È ancora acerba, e a me l'uva acerba non piace davvero!
E si allontanò di là con molta dignità, ma con una gran rabbia in cuore.
L'AQUILA E LO SCARAFAGGIO
Un'aquila inseguiva una lepre per catturarla. Questa non sapeva come trovare aiuto; così, visto uno scarafaggio, il solo essere in cui il caso la fece imbattere, si diede a supplicarlo. Lo scarafaggio la rassicurò e, appena l'aquila gli si avvicinò, prese a scongiurarla perché non gli portasse via la povera lepre. Ma l'aquila non si curò di quel piccolo insetto nero e divorò la lepre proprio sotto i suoi occhi.
Memore dell'offesa, lo scarafaggio, da allora, prese a seguire l'aquila con costanza: osservava i luoghi dove quella faceva il nido e deponeva le uova; volava al nido, si posava sulle uova e le faceva rotolare provocandone la rottura.
Cacciata da tutti i luoghi, l'aquila un giorno si rivolse a Giove e lo pregò di procurarle un luogo sicuro, dove poter fare le sue covate. Giove le permise di deporre le uova nel proprio grembo. Ma lo scarafaggio ideò uno stratagemma: fece una pallottola di sterco, volò sopra il grembo di Giove e ve lo lasciò cadere.
Il dio, per liberarsi da quella sporcizia, si alzò n piedi con uno scatto e, senza rendersene conto, fece cadere a terra le uova.
Da quel tempo, si dice che nella stagione in cui appaiono gli scarafaggi le aquile non facciano il nido.
L'ASINO E IL GHIACCIO
C'era una volta un asino stanco che non se la sentiva di camminare fino alla stalla.
Era inverno, faceva molto freddo e tutte le strade erano ghiacciate. - Io mi fermo qui - disse l'asino buttandosi per terra. Un passerotto affamato gli si posò vicino e gli disse nell'orecchio:
- Asino, tu non sei sulla strada, ma sopra un lago ghiacciato. Stai attento -.
L'asino, pieno di sonno, fece un grande sbadiglio e si addormentò. Ma il calore del suo corpo incomincio, a poco a poco, a sciogliere il ghiaccio, finché, con uno schianto, il ghiaccio si ruppe. Quando si trovò nell'acqua, l'asino si destò allarmato; ma ormai era troppo tardi, ed affogò.
L'ASINO LA VOLPE E IL LEONE
Un asino ed una volpe fecero amicizia e insieme se ne andarono a caccia. Incontrarono un leone dall'aria minacciosa.
La volpe intuì il pericolo che stava correndo, gli si avvicinò e cominciò a parlargli: si impegnava a consegnargli l'asino, in cambio della sua salvezza. I leone le promise la libertà: così la volpe condusse l'asino verso una trappola e ce lo lasciò cadere. Il leone, appena vide che l'asino era nell'impossibilità di fuggire, assalì per primo la volpe e poi, con calma, ritornò ad occuparsi dell'animale che era caduto nella trappola.
L'ASINO SELVATICO E L'ASINO DOMESTICO
C'era una volta un simpatico asinello selvatico che trascorreva le sue giornate in libertà, passeggiando per i campi e mangiando il cibo che trovava. Durante uno dei suoi giri quotidiani ebbe modo di vedere un suo simile, dall'aspetto sano e robusto, che brucava l'erba in un grande prato cintato da un'alta staccionata di legno. Esso, osservando l'animale domestico, pensò: "Che bella vita! Lui sì che sta bene: é spensierato, senza problemi e con il cibo a volontà". In effetti l'altro asino sembrava proprio fortunato: gli venivano serviti due pasti abbondanti al giorno, riposava in una stalla bene attrezzata ed aveva un pascolo meraviglioso a sua disposizione.
L'asino selvatico, invece, doveva accontentarsi dei miseri sterpi che riusciva a trovare ai margini della strada, perché i prati ricoperti di erbetta fresca erano tutti privati. Ogni tanto, il povero asinello appoggiava il muso sulla cima della staccionata e, guardando l'altro, lo invidiava da morire.
Un giorno, pero, il giovane asinello, girovagando tranquillo, incontrò sulla via, un animale talmente sovraccarico di legna, sacchi di grano ed altro da non essere in grado di capire di che bestia si trattasse. Quando questa, per reagire ad una violenta frustata del suo padrone, tirò un calcio e alzò il muso, lo riconobbe: era l'asino domestico che fino a quel giorno aveva tanto invidiato!
"Eh, caro mio," gli gridò affiancandosi a lui "a questo prezzo non farei mai cambio con te. Nessuno mi comanda, io sono libero e leggero come una libellula. Se poi non mangio bene come te, meglio, mi mantengo in linea. E per sopravvivere mi arrangio". Dopo quell’incontro l'asino selvatico non provò più alcuna invidia per il suo simile.
LE CAGNE AFFAMATE
Certe cagne affamate che avevano visto delle pelli messe a bagno nell’acqua d’un fiume, non riuscendo ad afferrarle, stabilirono tra di loro di ber prima tutta l’acqua, per poter poi arrivare ad esse. Ma andò a finire che creparono a forza di bere, prima di giungere a toccare le pelli.
Così ci son uomini che, nella speranza di un guadagno, si sobbarcano a pericolose fatiche e, prima di raggiungere il loro scopo, si rovinano.
LE CHIOCCIOLE
Un contadinello faceva arrostire delle chiocciole e, sentendole crepitare, diceva: “Brutte bestie, mentre le vostre case bruciano, voi vi mettete a cantare”.
La favola mostra che tutto quel che si fa fuori tempo è biasimevole.
LE MOSCHE
In una dispensa s’era versato del miele. Le mosche, accorse, se lo succhiavano, e la dolcezza era tale che non sapevano staccarsene. Quando però le loro zampe vi rimasero impigliate e, incapaci di levarsi a volo, esse si sentirono affogare, esclamarono: “Poverette noi! Per un attimo di dolcezza ci rimettiamo la vita”.
Così la ghiottoneria è causa di numerosi guai per molte persone.
LE RANE CHE CHIESERO UN RE
Le ranocchie, stanche di vivere senza alcuno che le governasse, mandarono ambasciatori a Zeus, pregandolo di largire loro un re. E Zeus, vedendo la semplicità dell’animo loro, buttò giù nello stagno un pezzo di legno. A tutta prima, atterrite dal tonfo, le ranocchie si tuffarono nel fondo; ma poi, dato che il legno rimaneva immobile, risalirono a galla, e giunsero a tal punto di disprezzo per il loro re che gli saltarono addosso e vi si accomodarono sopra. Infine, vergognandosi d’avere un sovrano di tal fatta, andarono nuovamente da Zeus, e lo pregarono di mandarne loro un altro in cambio, perché il primo era troppo indolente. Allora Zeus perdette la pazienza, e mandò una biscia d’acqua, che cominciò ad afferrarle e a divorarsele.
La favola mostra che è meglio avere governanti infingardi ma non cattivi, piuttosto che turbolenti e malvagi.
LE RANE DEL PANTANO
Due rane, abbandonato il pantano dove abitavano, perché nell’estate s’era prosciugato, andavano cercandone un altro. Capitarono presso un profondo pozzo, e una di esse, quando lo vide, disse all’altra: “Ehi, tu! scendiamo giù insieme in questo pozzo”. Ma l’altra le rispose: “E se poi l’acqua secca anche qui, come faremo a uscirne fuori?”.
La favola mostra che non bisogna mai avventurarsi imprudentemente in un’impresa.
LE RANE VICINE DI CASA
Due ranocchie erano vicine di casa: una abitava in stagno profondo e discosto dalla strada, l’altra in una pozzanghera sulla strada stessa. Quella dello stagno consigliava l’altra a trasferirsi da lei, per godere una vita più comoda e più sicura, ma questa non le dava retta e diceva che non poteva staccarsi dalla sua dimora abituale; così andò a finire che passò di là un carro e la schiacciò.
Così, anche tra gli uomini, ci sono di quelli che, attaccati loro sciocche abitudini, piuttosto che cambiare in meglio, son disposti a morire.
LE VESPE, LE PERNICI E IL CONTADINO
Vespe e pernici, afflitte dalla sete, andarono da un contadino a chiedergli da bere, promettendo che, in cambio l’acqua, gli avrebbero resi questi servizi: le pernici, di zappargli la vigna, e le vespe, di tener lontani i ladri con i loro pungiglioni, facendovi la guardia tutt’attorno. Il contadino rispose: “Ma io ho due buoi, che non promettono nulla e mi fanno tutto; dunque è meglio che dia da bere a loro che a voi”.
La favola va bene per certi uomini rovinosi che, promettendo di aiutarci, ci recano gravi danni.
LE VOLPI SUL MEANDRO
Un giorno un branco di volpi si radunò sulle rive del fiume Meandro per abbeverarsi. Ma, per quanto si esortassero a vicenda, non osavano scendere, intimorite dallo scroscio della corrente. Allora una di esse venne fuori a svergognare le compagne e, irridendo alla loro pusillanimità, come colei che si credeva più brava delle altre, balzò arditamente nell’acqua. La corrente la tra¬sportò nel mezzo. Le compagne, stando sulla riva, le gridavano: Non abbandonarci; torna indietro a farci vedere da che parte si passa per bere senza pericolo! E quella, mentre la corrente la trascinava via: "Devo portare una risposta a Mileto , diceva, e non voglio mancare. Quando torno indietro ve lo farò vedere"
Questa va a chi si caccia da solo nei guai, per far lo spavaldo.
PROMETEO E GLI UOMINI
Obbedendo a un ordine di Zeus, Prometeo plasmò gli uomini e le bestie. Ma quando Zeus si accorse che le bestie erano molto più numerose degli uomini, gli ordinò di disfare un po’ di bestie per ridurle a uomini. Prometeo eseguì l’ordine. Ecco perché tutti coloro che la forma umana non l’avevano ricevuta originariamente, hanno da uomo, ma anima da bestia.
Ecco una favola buona per un uomo grossolano e bestiale.
ZEUS E APOLLO
Zeus e Apollo disputavano sul tiro dell’arco. Apollo tese il suo arco e scoccò una freccia. Ma Zeus allungò un piede, ed eccolo là dove era diretta la saetta d’Apollo. Così a combattere con i più forti, non solo non la si spunta ma ci si guadagnano anche le beffe.
ZEUS E GLI UOMINI
Zeus, quando ebbe plasmati gli uomini, ordinò a Ermes di versarvi dentro l’intelligenza. E quello, fatto un misurino uguale per tutti, cominciò a versarla in ognuno essi. Capitò così che agli uomini piccolini, la loro porzione bastò per riempirsene e diventare saggi; ma gli uomini grandi e grossi, a cui il liquido non giunse in tutto il corpo, risultarono piuttosto sciocchi.
La favola va bene per un uomo grande di corpo ma povero di spirito.
ZEUS E LA TARTARUGA
Al banchetto nuziale di Zeus erano invitati tutti gli animali. Mancava soltanto la tartaruga. Ignorandone la ragione, il giorno dopo, Zeus le chiese come mai essa sola non era intervenuta al pranzo. “La mia casa è la mia reggia”, rispose lei. Ma Zeus, seccatosi, la sua casa, le ordinò di caricarsela sulle spalle e di portarsela attorno.
Ce ne sono molti, uomini così, i quali preferiscono vivere modestamente a casa propria che passarsela da signori in casa altrui.
ZEUS GIUDICE
Zeus aveva stabilito che Ermes scrivesse le colpe degli uomini sopra dei cocci, deponendoli in un’arca al suo fianco, sì che egli potesse assegnare ad ognuno il suo castigo. Ma poi i cocci si mescolarono tra di loro e così certi arrivano più tardi e certi più presto nelle mani di Zeus, per esservi sottoposti al suo infallibile giudizio.
Non bisogna meravigliarsi che gli ingiusti e i malvagi non siano più presto puniti dei loro misfatti.
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mercoledì 25 febbraio 2009
Versioni greco gratis Favole di esopo
Pubblicato da Baiox alle 07:52
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